Goldoni di Francesco Gallo

Goldoni

Tema: Come due gocce d’acqua

Autore: Francesco Gallo

1

Nell’età dei sogni ancora, in dormiveglia. Nel cortile c’è un’aria di mosche che sussurra.
«Sì, è bello…»
Il sole è sul pavimento, e quell’aria profuma, e sento:
«e anche coi goldoni è bello…»
La grammatica non c’è, le mosche non parlano, di teatro poi? Mi accosto alle gelosie socchiuse: l’aria calda spira dal giardino, è odorosa di limoni, di fichi asciugati al sole, e la voce giunge a tratti.
«… e con la bocca…» È Raffaele «non so come…» dice piano.
Un riso trattenuto risponde:
«sua mamma… beato te… stava in un casino.» È Carmine, e ridono. Vanno a governare la giumenta che l’altra sera ha partorito.
Pensai di aver capito. Non tutto, ma avevo capito. E sentii allora come un languore che partiva, lì alla bocca dello stomaco. Spalancai le gelosie all’allegria del giorno nuovo, nella casa di campagna, da mio nonno.

2

Lei abitava allora in una strada stretta, dietro al palazzo dei miei nonni. Mi attraevano i capelli biondi, la magrezza ed il suo seno; seni accostati e rigonfi; mi aveva colpito per la bocca e quelle occhiaie alla Jean Moreau, perché era più grande di me, e perché non mi guardava. Mi piaceva pensare che fingesse. E mi rodeva, all’uscita del Liceo, vederla salire sulla vespa di uno dell’ultimo anno. Ci conoscemmo proprio al Mac π 100 del suo amico. Non per caso: avevo pagato il triplo per avere un biglietto che m’assicurava di sedermi al suo stesso tavolo. Quella serata finì in rissa. Tra me e lei sarebbe finita, dopo qualche tempo, con qualche lacrima.

Fu proprio lei che mi disse di comprarli. Li chiamò goldoni. Quel giorno ebbi la sensazione d’essere diventato adulto, senza vergogna. E mi sbagliai.

Provai imbarazzo e vergogna due giorni dopo. Non dimenticherò mai.

Il viso di mio padre era arrabbiato ma agli angoli dei suoi occhi c’era un sorriso.
«Allora!» esclamò ed aprì il cassetto invitandomi con un cenno a guardare. «Almeno stai attento!»

Come la coda colorata di un aquilone, un nastro di preservativi era disteso sul contenuto del cassetto. Mi chiesi se si riferisse alla mia poca attenzione nel celarli o alla necessaria attenzione per utilizzarli.
«Ora siediti qui, un po’. E stammi a sentire.»

E dopo…
Dopo, lo sguardo afflitto di mia madre. Di rimprovero e di turbamento. E di preoccupazione. Come un addio. Ma nessuna parola. Per non guardarla negli occhi -avrei pianto- mi voltai verso il balcone.
Pensai di aver capito. Non tutto, ma avevo capito.
Fuori nel giardino, dagli alberi, un vento di disordine staccava le ultime foglie.

3

Con tutte le sue tinte Forcella è qui, e mi circonda. I suoi piccoli vicoli, come affluenti, ingombri di panchetti multicolori, in alto i panni stesi fra finestre e palazzi, e dappertutto in continuo le sue voci.
«Hai capito!?»

Hai capito? Manco fossi un deficiente. «Ha soltanto cinque anni più di me, è una mia ostinazione, fissazione» dice Roberto  «vabbe’, ma che cazzo.»

Mi ero sfilato i guanti di lattice, li avevo gettati nel bidone in acciaio. Che ci stavo a fare lì. Fossette e fori cranici, inserzioni e passaggi di nervi non hanno segreti, nessun dubbio. Perfetto. E poi?… poi mi ritrovo a sminuzzare così con il bisturi un pezzo di una povera vecchia e a spingerne i ritagli nei fori del tavolo autoptico… e che cazzo! E questo perché lei mi ha detto: Hai capito?

Fanculo! Ma se lo sanno tutti!
Avevo riposto bisturi e camice, risistemati in frigo i pezzi anatomici, salutato Anastasio, solo con un cenno. Lui mi aveva raggiunto:
«Guardate che vostro nonno, dopo la lezione, vi aspetta nel suo studio. Gesù, ma è proprio vero, siete come due gocce d’acqua!»

Ero passato, camminando sulle punte, davanti allo studio di mio nonno, è capace di riconoscere il mio passo e così i miei pensieri, si sentivano delle voci, vi trascorre molte più ore da quando è rimasto solo. E sono andato via.

Dopo San Biagio dei Librai, eccomi a Forcella. Un milione di colori sulle bancarelle, coperte dai pacchetti di sigarette. E non ci sono solo sigarette, sui panchetti ci sono anche cumuli, ben ordinati, di ellissi dorate, con su la scritta Gold One. Gold Uan, così si pronuncia in americano. Sì, certo, i preservativi. Oggi comprerò Lucky Strike senza filtro.

Ora vi dirò quello che era accaduto quel mattino, a casa di Silvia. Avevo dormito da lei e stavamo prendendo il caffè. Mi dice:
«Non devi più venire qui. Non possiamo continuare a vederci. Non riusciamo nemmeno a studiare come dovremmo. Per l’anno venturo voglio assolutamente finire e le cliniche assorbiranno completamente il mio tempo. Lo penso davvero, almeno per il momento.»
«Almeno per il momento?»
«Non devi venire più. Non voglio; altrimenti…» dice.
«Altrimenti?» dico, e mando giù il caffè.
«Non ti ho mai visto bere il caffè così celere» dice.
«Celermente» dico io.
«Celermente?» chiede lei «cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che facciamo adesso?»
«Se torni ancora, lo dirò a tuo nonno. Hai capito?»

Certo. A mio nonno. Sì, ho capito. Come al solito non proprio tutto, ma ho capito.

Sono arrivato. In Piazzetta, all’Antica Osteria. È ora di pranzo.
«Per voi c’è sempre posto, dotto’!»

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