Una storia vera di Maena Delrio

Una storia vera

Tema: 7 foto per 7 giorni – Beatrice Maccelli

Il sole sta cominciando a calare. La spiaggia è quasi deserta, l’ora migliore per nuotare in relax. A malincuore guardo l’orologio. Non posso restare, a casa mi aspettano i ragazzi, Alessio mi ha preceduto di mezz’ora ed è rientrato senza aspettarmi, così quando tornerò avrà già fatto la doccia.

Piego gli asciugamani, li infilo nella sacca. Il telefono scivola sul fondo. Amen, penso, lo tirerò fuori dopo. Salgo in sella alla bicicletta. Quella che uso per andare al mare è sgangherata e ha pure una ruota sgonfia, ma tanto sono a cinque minuti da casa. Comincio a pedalare, ma dopo nemmeno dieci metri il suono del telefonino mi costringe a fermarmi. Smette un attimo, giusto il tempo di un sospiro, poi le note del TG di Videolina si spandono nella canicola. No, non pensate che sia una una grande fan del programma: sono stati i miei figli a farmi questo scherzetto, ma alla fine mi sono affezionata. Mentre mi avvicino al ciglio della strada e comincio a rovistare nella borsa, tiro a indovinare su chi è che mi chiama così insistentemente. Sono costretta a levare tutto fuori, poggio gli occhiali sul muretto di fronte a me, poi I racchettoni e i teli mare. Infine lo afferro:«Pronto?»

Dall’altra parte la voce di mio figlio maggiore: «Mà, stai tornando? Alessio rompe.»

Maledico il giorno in cui mi è venuta la brillante idea di farmi due figli a due anni di differenza “perché così crescono insieme e sono amici”, e con la voce più alta che ho, urlo nell’altoparlante:

«Oh, ma almeno il tempo di rientrare me lo date?»

Un piccione che tubava su un ramo vola via, impressionato. Una lucertola si insinua tra la vegetazione dell’aiuola. Raccolgo in fretta e in furia il bagaglio dal muretto e inforco la bici, pedalando come se non ci fosse un domani, che se mi vedessero quelli del Giro D’Italia mi darebbero la maglia rosa per solidarietà. Arrivo sgommando di fronte al cancello, e già penso alle terribili punizioni corporali che infliggerei a quei due disgraziati dei miei figli se fossimo nel medioevo, quando la porta si apre.

Thomas, il mio primogenito, è di fronte a me. La sua mano gronda sangue, ne ha sulla coscia, sul piede. Anche il pavimento è ricoperto di gocce rosse. Dietro di lui, Alessio ha un mestolo in mano. Il mio cuore perde un battito, poi due e tre. Immagino possibili scenari di distruzione. Vorrei ruggire chiedendo cosa sia successo in quei tre minuti nei quali ho percorso la strada che mi separava da casa, ma le parole mi muoiono in gola. Alessio, con le lacrime agli occhi, sembra dirmi “non sono stato io”. Mi avvicino vacillando, stranita. Thomas mi sorride: «È stato il piranha». Lo fisso: «Cosa?»

«Sì» continua «è saltato fuori dall’acquario, stava morendo e per salvarlo l’ho preso in mano.»

Alessio lo incalza: «Il pesce sembrava morto, mà» singhiozza «ma invece era vivo e si è attaccato al dito di Thomas ma io l’ho preso col mestolo e l’abbiamo salvato.»
Non so se ridere o piangere, abbraccio i ragazzi e medico la ferita.

«Visto come sono stato coraggioso?» conclude Thomas mostrandomi lo squarcio nell’anulare all’altezza della seconda falange.

Dopo un’ora non c’è più traccia di quello che è successo. Ho ripulito il sangue, Thomas gioca alla play e Alessio guarda un video sul divano. I due piranha nuotano tranquilli. Solo allora ricordo di aver lasciato fuori la borsa del mare. Tiro fuori i teli e il pallone, ma gli occhiali? Sono rimasti sul muretto, a riflettere i raggi del sole che scompaiono dietro l’orizzonte.

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7 Risposte a “Una storia vera di Maena Delrio”

  1. Le votazioni si sono chiuse lunedì 29/06/2020 alle ore 23.59. Vi ringraziamo per i voti e i commenti dati ai nostri autori

  2. Voto. Mi associo ad Anna. Riuscire a sdrammatizzare su un fatto simile non è da tutti

  3. Voto. Merita prima perché comprendo l’ansia del momento e poi per la capacità d’ironizzarci sopra

  4. Certo che, da mamma apprensiva tenere nell’acquario i piranha è un gesto irresponsabile… Brava, mi hai tenuto col fiato sospeso.

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