Strade senza rispetto di Anna Ciraci

Strade senza rispetto

Tema: La strada

Autore: Anna Ciraci

immagine tratta da wallsheaven.com
Sara era agitatissima, aveva passato le ultime tre ore a inventarsi abbinamenti con tutto quello che aveva nell’armadio, l’unico risultato ottenuto era stato quello di far sembrare il suo letto come un bancone di vendita di vestiti a peso.
 
Disperata infilò i primi jeans in cima alla pila, una maglietta a caso, la solita felpa nera sgualcita, i suoi anfibi e uscì di corsa da casa. Era in un ritardo spaventoso, doveva incontrarsi con il resto della compagnia mezz’ora prima e ovviamente aveva perso il cellulare sotto la pila immensa dei suoi tentativi di sembrare un po’ più sexy.
 
Gabbi era il suo migliore amico da sempre, si conobbero il primo giorno d’asilo, appena l’aveva vista le era corso incontro per presentarsi: «Ciao» aveva detto «mi chiamo Gabriele.»
 
Sara lo aveva guardato dritto negli occhi e aveva risposto: «Ciao, Gabbi sono Sara» e da allora era rimasto Gabbi per tutti.
 
Era nervosissimo, aveva passato l’ultima mezz’ora a tentare di fermare il gruppo per aspettare Sara, faceva la spola da un motorino all’altro col telefono in mano, tra una telefona a Sara senza risposta e un «dai ancora un attimo, arriva di fisso, sicuramente ha un motivo per non essere ancora qui.»
 
Fu tutto invano partirono poco dopo per una discoteca fuori paese, lasciando a piedi gli unici due senza mezzo di trasporto: Gabbi e Sara che ancora non si vedeva. Gabbi percorse a ritroso il tragitto che doveva fare Sara, sperando di riuscire a incontrarla e poter passare comunque il resto della serata in sua compagnia.
 
Si guardava intorno ma non c’era traccia di Sara da nessuna parte. Attraversò la statale che taglia in due il paese sempre troppo trafficata, con tutto il rischio che ogni volta comporta, già due ragazze della compagnia l’anno prima avevano rischiato di schiattarci su quella maledetta strada per colpa di un pirata ubriaco, se l’erano cavata con un ginocchio frantumato e una spalla rotta, ma se l’erano davvero vista brutta. Un mese prima un ragazzino di ritorno da scuola ci è rimasto secco, ma nessuno aveva mai pensato a metterci un semaforo pedonale.
 
Arrivò fin sotto casa sua, suonò il campanello, rispose sua madre dicendogli che era uscita almeno un’ora prima e che doveva incontrarsi con i suoi amici, era tutto quello che sapeva. Gabbi tornò in dietro, passo passo lungo il percorso, lo fece lentamente, per non perdersi nessun frangente e nessuna rientranza ma Sara non c’era.
 
Riattraversò la statale, percorrendola per tratti anche di lato, verso nord e verso sud, prima in un senso, poi lo fece nell’altro. In quel lato il buio era inquietante, i lampioni erano quasi tutti nel senso opposto e al di là del guardrail non si vedeva quasi nulla. Usò la torcia del telefono, illuminando il fossato che affiancava la strada.
 
Aveva percorso almeno venti metri dal passaggio pedonale, stava quasi per girarsi e tornare indietro, quando vide una sorta di fagotto scuro spuntare dalle erbacce. Scese di corsa nel fossato senza neppure preoccuparsi dello schifo che poteva esserci dentro. Era Sara, agonizzante e semi cosciente, era lì arrotolata su se stessa, in un groviglio di fango e sangue.
 
Quando arrivarono i soccorsi era già senza vita. Gabbi aveva solo fatto in tempo a dirle che l’aveva sempre amata, da quel primo sorriso scambiato all’asilo. «Ora devi restare con me» le aveva detto «perché io senza di te non sono che un Gabriele qualunque.» L’aveva vista sorridere. Sotto tutta quella putrida sporcizia l’aveva vista comunque sorridergli.
 
Restò a guardare il suo corpo spegnersi tra le sue braccia.
 
Dopo questo ennesimo incidente il semaforo pedonale comparve miracolosamente dopo tre giorni, ma non trovarono mai il colpevole.
 
Gabriele una volta al mese passa almeno un’ora seduto sul ciglio del fossato e non permette più a nessuno di chiamarlo Gabbi.

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