La strada di Maena Delrio

La strada

Tema: La strada

Autore: Maena Delrio 

immagine tratta da pixabay
Aziza camminava svelta, avvolta nei suoi veli impolverati. Fatma, la sua bambina di cinque anni, si affrettava alle sue spalle, cercando di tenere il passo. I piedini avanzavano leggeri sul terriccio riarso, ormai abituati alla durezza della roccia quanto alla superficie bollente dell’asfalto. Nessuna delle due parlava. Il silenzio era rotto solo dai flebili vagiti del neonato, stretto al seno della donna attraverso una lunga fascia multicolore legata alla vita.
 
Erano rimaste indietro. La comitiva le aveva abbandonate a pochi chilometri dal confine, perché la bambina camminava troppo piano e loro avevano troppa fretta di varcarlo. Fu proprio Fatma a interrompere il mutismo irreale che le aveva accompagnate fino a quel momento.
«Mamma, dove stiamo andando?»
 
La donna continuò nel suo incedere costante, senza rispondere alla domanda della figlia. Quest’ultima dovette mettersi a correre e tirarle un lembo di stoffa, che un tempo doveva essere stata blu notte, ma che ormai era grigia come le nuvole in tempesta che cominciavano già ad addensarsi in lontananza.
 
«Mamma, dove stiamo andando?», ripeté la bambina, provando a mettere nel tono di voce un’autorità tale da rendere evidente la sua decisione di non poter accettare l’ennesimo rifiuto come replica. La donna si fermò di scatto, come se fosse stata morsa da un serpente. Non si voltò, temendo forse che, se si fosse girata, avrebbe dimenticato la strada; come se l’obiettivo fosse un punto oltre le colline e, per raggiungerlo, fosse necessario non perderlo di vista nemmeno per un istante. Quando parlò, la bambina indietreggiò di un passo, non riuscendo a riconoscere in quella voce la dolcezza di colei che l’aveva cullata tra le braccia, prima della partenza.
 
Si era alzato il vento. A ogni folata, la sabbia si sollevava in aria, graffiava la pelle. Se avesse avuto lacrime, Aziza avrebbe pianto. I suoi occhi rimasero asciutti quanto i suoi seni, dai quali ormai da giorni il neonato succhiava solo poche gocce di latte. All’inizio il piccolo si era lamentato per ore, per la mancanza di cibo e la disidratazione. Ora il suo pianto somigliava più a un miagolio.
 
La donna sentì gli occhi della bambina su di lei, rapaci di speranza, di una risposta soddisfacente, di certezze. La domanda pesava come un macigno sulle sue spalle. Quando avrebbe desiderato gettarsi a terra, lì, nella polvere e addormentarsi per non udire più nulla! Quanto bramava l’oblio della ragione, la fine della sofferenza! Eppure, dopo aver preso un lungo sospiro, rispose soltanto:« Tuo padre ci aspetta.»
 
E poco importava che dalla Turchia non fosse mai arrivato nessun messaggio, nessuna lettera in cui suo marito le invitava a raggiungerlo. Quando si scappa dalla morte, non è necessario conoscere la prossima meta, ma rimanere vivi. La bambina non credette neppure per un attimo alle parole di sua madre.
«Non è vero. Tu menti»
«Perché rispondi così, Fatma?»
«Perché baba non ci avrebbe chiesto di camminare così tanto, senza indicaci la strada.»
 
Aziza si voltò. Fu come vedere sua figlia per la prima volta. Dal sacco che la copriva, sbucavano un paio di braccia ossute e due gambe ferite simili a stecchi. I capelli scarmigliati, appiccicati alla testa, avevano la stessa consistenza delle stoppie. Le accarezzò le gote scavate, le labbra circondate dalle croste della sete. Gli occhi accusatori, neri come la notte, avevano perso l’ultimo briciolo d’innocenza, sostituita dalla disillusione di chi non ha più niente. Alla donna cedettero le ginocchia e si ritrovò seduta a terra, con la bambina tra le braccia, implorando perdono per una colpa che non aveva commesso.
 
Quando il vento cessò di soffiare, calò la notte. Una miriade di stelle accese il cielo, indicando la via a chi avesse sollevato lo sguardo per consultarle. Aziza alzò la testa. «Sveglia piccola Fatma, sveglia! Baba ci ha mandato le stelle!» Fatma si tirò in piedi, stropicciandosi gli occhi. Anche il neonato in grembo a sua madre emise un vagito accorato, quasi volesse partecipare anche lui alla gioia della donna, piccolo esule appena nato e già testimone delle colpe dei suoi predecessori.
 
Aziza si scosse la veste. Alla luce della luna, la seta blu non sembrava più sbiadita. La donna e la bambina si presero per mano, mentre tante piccole comete cadevano dal cielo, posandosi ai loro piedi per indicare la via. E a ogni passo, la stanchezza svaniva; e la fame; e la tristezza. Le loro sagome scomparvero nella notte, incontro a un futuro fatto di sogni, senza bombe che piovono dal cielo e polvere e sabbia che ferisce gli occhi. Dietro di loro, un mucchio di cenci composti in un ultimo abbraccio, sepolto per sempre da una tempesta di sabbia.

4 Risposte a “La strada di Maena Delrio”

  1. Indiscutibilmente, credo sia tra i più belli scritti negli ultimi contest. Dolce e amaro, bello. Come sai rendere poetica una storia triste tu, soltanto. Grazie Maena.

  2. Triste, malinconicamente vero. Descritto con una tale dolcezza, quella che ti contraddistingue, da sembrare poesia. A vlte, la pace si trova solo imboccando quella via e viaggiando tra le stelle. Brava.

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