Il cancello di Daniela Vasarri

Il cancello

Tema: un senso

Autore: Daniela Vasarri

immagine tratta da pixabay

Ho smesso di credere. In tutto, nell’amore, in Dio, nell’amicizia, nella giustizia.

Centinaia di libri che raccontano il passato, i sentimenti, nobili o crudeli, le aspettative e le promesse mancate, concetti che si sovrappongono nella testa, un monito presente e costante a non lasciarmi più ingannare.

La vita è questa, uguale a quella di ieri, identica a quella di chi ha preceduto e di chi verrà. A cosa serve sapere, conoscere, approfondire se poi ci ritroviamo soli, pieni di paure e di sconfortanti certezze che nulla cambierà?

Percorro spezzoni di questo film che è stato la mia vita per tentare di smentirmi, carpendo, come un ricercatore solitario, un particolare che mi contraddica, attimi di effimera felicità, di conferme che valga la pena di continuare a credere in questo ciclo perpetuo, una linea retta costellata da eventi sempre uguali a sé stessi. Ma non trovo nulla, se non episodi insignificanti mascherati da una precaria serenità.

Così mi incammino lungo un viale alberato, austero e silenzioso, nessuno dietro e davanti a me, posso persino fingere che non vi sia un passato né un futuro. Mi fermo e rimango in ascolto, non un filo di brezza, uno scalpiccio, un cinguettio lontano, solo il mio respiro che cerca spazio.

Dove sto andando? Mi domando. Non vedo la fine di questo viale ma non ne ho paura. Proseguo, sono sempre stata curiosa. Ho imparato, questo lo devo ammettere, che la curiosità premia sempre. La salita è lieve, sarà dolce la discesa al ritorno.

Intravedo la sagoma di un cancello, di quei bellissimi cancelli in ferro battuto che si aprono sul nulla, utilizzati dai registi per creare un’aspettativa nel pubblico. Anch’io questa volta voglio essere una protagonista, salirò e mi affaccerò, tanto, già lo so, oltre non vi è nulla, proprio come la vita.

Ti si presenta come un bel panorama, che percorri da solo, e quando giungi a quel cancello, puf, un salto. Si sparisce, il viale ritorna vuoto. Di te non un ricordo, forse nemmeno le orme sullo sterrato. Rimane il nome che ti hanno dato, pronunciato spesso o subito dimenticato, a seconda di come è stata la tua vita.

Darò solo un’occhiatina, mi dico, poi tornerò alla mia quotidianità e alle mie certezze.

Sto camminando da un po’, la meta sembrava più vicina, nessuno a cui chiedere che ore siano, a giudicare dalla posizione del sole presto ci sarà il tramonto, questo lungo viale sterrato si coprirà di nero ed io dovrò fare i conti con la mia paura del buio, che non ho mai vinto.

Vado avanti ancora un poco, ma non sembro progredire, insisto, gettando spesso un’occhiata alla luce del sole che si fa sempre più basso. Mi volto indietro e mi rendo conto di aver fatto pochissima strada, di essere quasi ancora al punto di partenza.

Il cancello è là, una sagoma ancora indistinta. Che senso ha, mi domando questa volta, insistere, andare avanti, cercare di capire il motivo della mia esistenza?

Sono un puntino invisibile sulla retta della vita, l’anello di una catena di cui non ci è dato di vedere la foggia. Poi, di colpo, come se avessi aperto un forziere, percepisco la magia della mia esistenza e torno a credere, in tutto, nell’amore, in Dio, nell’amicizia, nella giustizia.

Vorrei rivolgere un ultimo sguardo al cancello ma, al posto della sua sagoma ora, vi è una luce potente che mi acceca e mi fa riprendere la via del ritorno.

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