Curiosità di Jonathan Prazzoli

Curiosità

Tema: 7 foto per 7 giorni – Beatrice Maccelli

Alan e Frank desideravano da tempo intrufolarsi in quel castello.
“Allora, che facciamo?” domandò Frank, con voce titubante.
Alan alzò le spalle. “Entriamo, no? Ho fregato le chiavi del portone principale.”
“E se ci beccano le telecamere?”

“Beh, che ci becchino pure. Non stiamo scassinando nulla. Se abbiamo le chiavi, significa che ci hanno autorizzato a entrare. Nessuno può dimostrare che le abbiamo rubate, se poi le rimettiamo a posto.”
Detto questo, Alan si avviò a passi decisi verso il monumentale ingresso. Frank esitò, ma poi si decise a seguire l’amico.
Alan infilò la chiave nella toppa e la serratura scattò con un clangore metallico.
“Ci siamo” disse, e spinse con entrambe le mani.
Il portone si aprì cigolando, e i due ragazzi si ritrovarono in un salone completamente buio. Accesero le torce degli smartphone e mossero i primi passi all’interno del castello.
C’era uno strano odore, come di acque stagnanti.
“Qua dentro non puliscono molto spesso, eh?” disse Alan con aria arrogante.
“Ma se fanno il servizio di pulizia quasi ogni giorno!” esclamò Frank, che aveva ritrovato un po’ di entusiasmo.
“Sarà, ma con questo lezzo credo debbano cambiare i prodotti che usano.”
Tum.
Alle loro spalle, il portone si chiuse di colpo, facendoli sobbalzare.
“Cristo santo!” sbraitò Alan.
“N-non r-rimangono aperti d-da soli, questi p-p-portoni?” farfugliò Frank, che aveva iniziato ad avere la tremarella.
Alan gli diede una pacca sulla schiena. “Certo che tu sei proprio un cacasotto! Vieni, andiamo a vedere se troviamo qualcosa di interessante.”
Aveva appena finito di parlare, che si udì un gorgoglio provenire da un punto imprecisato del salone. Frank afferrò il braccio di Alan e glielo strinse.
“C-che c-c-cosa è stato?” chiese terrorizzato.
Alan si scostò da lui. “E lasciami, fifone! Mi stai bloccando la circolazione! Diamo una controllata, deve esserci un problema idraulico.”
Il gorgoglio si ripeté. Stavolta il suono sembrava più vicino. A ciò si aggiunse il rumore come di qualcosa di flaccido e umido che sbatte sul pavimento.
“A-Alan, la c-c-cosa n-n-non mi p-p-piace!”
Non c’era niente da fare, ogni volta che Frank si spaventava si metteva a balbettare. Certe volte esagerava, ma forse quella sera i suoi timori erano fondati.
“Deficiente! Possibile che non si possa mai fare niente di diverso con te? Se avessi saputo che eri così pappa molle, sarei venuto qui da solo!”
Alan prese a camminare nella direzione da cui proveniva il suono misterioso. Frank si costrinse a stargli dietro. Mai come in quel momento desiderò essere a casa, spaparanzato sul divano a giocare con la play-station.
Mannaggia ad Alan che mi ha convinto, pensò, cercando di smettere di tremare.
All’improvviso, Alan si bloccò. Il gorgoglio non si udiva più, e nemmeno lo strano suono sul pavimento.
“Che c’è A-Alan? P-p-perché ti sei fermato?” disse Frank.
“Shh!”, gli intimò Alan. “C’è qualcosa che non va.”
Frank si avvicinò ad Alan e gli prese la mano. Stavolta l’amico non si ritrasse.
Un vento gelido soffiò sui due ragazzi, facendoli rabbrividire. Forse non solo di freddo.
“Ma che cazzo?” fece Alan, cercando di mostrarsi sfacciato come al solito. Eppure non riuscì a reprimere il leggero fremito nella sua voce.
Frank aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
A un certo punto, gli smartphone si spensero. I due ragazzi furono avvolti dall’oscurità.
“Oddio” mormorò Frank in preda al panico.
Alan schiacciò più volte il tasto di accensione, ma il telefono era morto.
“Come cavolo è possibile? La batteria era al 50%!” blaterò.
Il gorgoglio si fece sentire nuovamente. Ci fu anche un altro rumore, come se sul pavimento stessero strisciando migliaia di serpenti bagnati.
Alan, usciamo di qui!” gridò Frank.
“D’accordo, aspetta che…”
Qualcosa di viscido si avvolse intorno al viso di Alan e soffocò la sua voce. Frank non poteva vederlo, le tenebre erano troppo fitte. Ma sapeva cosa era successo. Il suono che aveva avvertito era inequivocabile, e poi l’odore…
Come quello di un cadavere che si è decomposto in una vasca piena d’acqua.
Frank non pensò più. Si mise a urlare come un folle e a correre all’impazzata, senza sapere dove stava andando. Il gorgoglio si amplificò; era dappertutto: intorno a lui, sopra di lui, sotto di lui, nella sua testa…
Frank inciampò sul pavimento di marmo. Si aspettò di sentire il freddo di una mattonella e la botta che ne sarebbe risultata… ma non andò così. Frank batté la testa su qualcosa di morbido e spugnoso, qualcosa di umido, molliccio…
Si muove… questa roba si muove…
Il gorgoglio gli esplose nell’orecchio, e Frank avvertì di nuovo quel vento gelido.
Non è vento… È alito… È alito…
Qualcosa di gelatinoso gli si infilò nelle orecchie, nelle narici, negli occhi, nella bocca…
Una risata agghiacciante echeggiò nella sala.
Fu l’ultima cosa che Frank udì.
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