Come campanelli d’argento di Maena Delrio

Come campanelli d’argento

Tema: 7 foto per 7 giorni – Max Olmi

La creatura camminava piano. Mise un passo davanti all’altro, come se fosse in equilibrio su un filo immaginario, con la grazia di una ballerina classica. Non toccò nulla.

Le mani danzavano nell’aria, disegnando tele di seta con le dita aperte, cercando di afferrare gli ultimi raggi di sole. Si limitò ad accarezzare ogni cosa con lo sguardo, alla luce rosata del crepuscolo. I piedi scalzi si appoggiavano delicati sulle foglie cadute, bagnate dell’umidità della sera, producendo un lievissimo scricchiolio, quasi impercettibile da udire per un orecchio non allenato.

La sua esile figura spiccava tra i tronchi dalla corteccia rugosa. La sua vestina bianca, troppo corta e troppo sottile, contrastava con la tenebra delle ombre che si allungavano dalle radici e inghiottivano ritagli di sentiero. Un refolo di vento s’incuneò tra i rami, s’intrufolò tra i capelli sciolti, giocò con le ciocche ondulate e le fece scompigliare. Una risata argentina, squillante, riecheggiò tra le cime dei lecci e delle sughere, perdendosi oltre le fronde, quando i riccioli biondi le solleticarono il naso appuntito, le guance pallide.

Improvvisamente, la fanciulletta si fermò. I suoi occhi si spalancarono curiosi, scrutando il terreno. Batté le palpebre. Annusò l’aria, come un gatto, vibrisse invisibili agitarono i suoi sensi. Qualcosa attirò la sua attenzione, si mise a correre.

Una civetta si alzò in volo, emettendo un verso simile a un lamento, ma non se ne curò. Continuò ad avanzare sicura fino al limitare della selva, finché gli alberi lasciarono il posto alla radura. Una decina di passi la separavano dal dirupo e li percorse senza più alcuna fretta. Da quel punto la scogliera precipitava in verticale, tuffandosi nell’abisso blu cobalto.

Di fronte a lei, il disco d’oro del sole stava lentamente sprofondando nel mare. Se avesse sollevato lo sguardo, si sarebbe accorta che in cielo era apparsa la prima stella della sera, ma non aveva alcuna intenzione di perdersi neppure un istante dello spettacolo cui stava assistendo. Sulla distesa d’acqua aleggiava un impalpabile velo di nebbia, tale che l’orizzonte tremolava e pareva infiammarsi di fuoco vivo.

E a tal punto l’impeto di quell’immagine animata scosse l’animo della bambina, che le sembrò di incendiarsi anch’essa, mentre le iridi avide di bellezza brillavano con l’intensità delle braci accese tra le onde. Pigramente il disco luminoso annegò tra i flutti, l’ocra scomparve e il rosso impregnò l’aria, virando al violetto.

La piccina trattenne il respiro, quasi a volerlo intrappolare dentro al petto, il profumo di quell’istante. Non aspettò oltre. Girò le spalle al tramonto, che la luna già riversava la sua luce lattiginosa lungo la piana. Tornò nel bosco, protetta dalle ombre. Il suo vestitino s’impigliò tra le spine di un groviglio di more, ma a lei non importò. Corse più veloce, e lo scalpiccio dei suoi passi sembrava quello di un cerbiatto che scappa dal lupo. E più andava svelta, più rimpiccioliva, fino a diventare pulviscolo dorato, la stessa materia impalpabile delle fate. Rise di nuovo mentre scompariva. L’alba l’avrebbe sorpresa ancora addormentata, tra le pieghe della corteccia di una quercia antica, rannicchiata sotto il cappello di un fungo.

Angela chiuse il libro. Si sentiva stanca. Due mesi di lockdown e la paura per l’immediato futuro avevano minato tutte le sue certezze. L’indomani sarebbe tornata al lavoro. Avrebbe portato la bambina da sua madre, avrebbe cercato di riconquistare una sorta di normalità. Dubitava che fosse facile, ma cosa era stato semplice, negli ultimi tempi?

«Ora dormi, Emma. È tardi.» sussurrò all’orecchio della figlia, deponendole un lieve bacio sulla guancia. La pelle rosea fremette di piacere al contatto.

«Mamma» rispose la bambina, chiudendo le palpebre e abbracciando il cuscino «Quando potremo uscire di nuovo, andiamo a cercare le fate?»

La donna sorrise. «Tesoro, in città dove potresti trovarle?» replicò mentre le rimboccava le coperte «…E poi, le fate non esistono».

La bambina riaprì gli occhi, solo per un istante, li depose nei suoi e sembrò quasi che le scandagliasse l’anima. «Le inventerò io, per te.», ribatté, seria, prima di scivolare nel sonno.

E lo affermò con tale convinzione che d’un tratto Angela percepì la durezza delle parole che aveva appena pronunciato a sua figlia, pesanti come macigni. Si diresse verso la porta ma rimase in piedi, con la maniglia tra le dita. Chi era lei per decidere che per Emma fosse giunto il momento di smettere di sognare? Per quale motivo aveva cercato di macchiare la sua fantasia innocente con la tinta greve della realtà?

Forse, pensò, poteva davvero bastare una briciola di quella fiducia incondizionata nel futuro, per ritrovare una sorta di equilibrio nel presente, nonostante tutto. D’improvviso le parve di udire l’eco di una risata infantile, squillante come il suono di mille campanelli d’argento. Si girò, scrutò nella penombra della stanza. Emma già dormiva, la guancia appoggiata al cuscino.

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5 Risposte a “Come campanelli d’argento di Maena Delrio”

  1. Una favola che riporta alle antiche leggende, delicata e soave, bella come il sorriso di un bimbo. Complimenti Maena.

  2. Ammetto non mi siano piaciuti molto i giochi coi tempi verbali (Prima il passato remoto, poi l’imperfetto, poi il passato prossimo e il ciclo ricomincia), ma nella mia scrittura soffro della stessa altalenanza. quindi, ci son passato sopra. Storia dolce e leggera come il croissant mattutino sotto il profumo del primo caffè.

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