Al tatto di Annarita Petrino

Al tatto di Annarita Petrino

Tema: Duro

Estratto da: “Al Tatto” finalista al concorso Omero indetto dalla Casa Editrice Il Papavero e pubblicato nella relativa antologia

Quando fecero ritorno al campo, Hella andò dritto nella sua tenda. Si sedette sulla branda e si slacciò il visore, piombando nell’oscurità che lo accompagnava da quando, anni prima, una granata lo aveva privato della vista. Ora aveva un chip impiantato nel cervello, che riceveva le immagini direttamente dal visore senza passare per i nervi ottici, ormai inutilizzabili. Nei due anni che erano trascorsi tra lo scoppio della granata e l’operazione, però, aveva dovuto arrangiarsi con mezzi antiquati, gli stessi che in quel momento forse gli avrebbero permesso di svelare il mistero che sembrava circondare i manufatti. Aprì il baule, che teneva ai piedi della branda e frugò fino a che al tatto non riconobbe quello che stava cercando. Quindi tirò fuori il suo vecchio alfabetiere braille. Percorse con i polpastrelli la tavola di legno consunta, cercando di individuare la serie di punti che, stranamente, era rimasta ben impressa nella sua memoria. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva dovuto ricorrere alla scrittura per ciechi, che poteva anche essersi sbagliato. Ben presto, però, capì che non era così.
Kalì, questa era la parola che aveva avvertito sotto le dita. Ma era davvero scritta in braille o si trattava di un curioso scherzo della mente? In ogni caso non ne conosceva il significato. Si stese sulla branda e cercò di recuperare il sonno perso durante la notte precedente. Una forte luce arrivò a popolare i suoi sogni e, nello stato di incoscienza in cui si trovava, ebbe la certezza che quella luce, proveniente dagli antichi manufatti, lo stesse in qualche modo chiamando. Si svegliò nel tardo pomeriggio con la convinzione di dover tornare alla Conca. Indossò il suo visore e lasciò la tenda con l’intenzione di andare a mangiare qualcosa. Vicino al distributore di razioni era seduto Salim Al Sayed, il medico del campo, anche lui di origine Sogeniana.
-Salve capitano, ha riposato bene?- lo salutò quest’ultimo.
-Non come avrei voluto.- rispose il soldato, prendendo una razione di cibo e una di acqua dal distributore.
-Incubi?-
-Non esattamente.-
L’uomo gli scoccò un’occhiata perplessa, dopodiché decise di cambiare argomento: -A quanto pare avete riportato alla luce le antiche colonne.-
-Lei sa cosa rappresentano? Dovrebbe, in fondo è un Sogeniano ed è l’unico che non se la sta facendo sotto. Cosa sono questi antichi manufatti?-
-Io sono un medico, non uno studioso, ma sono a conoscenza di un po’ di storia. La Conca è stata la prima zona sogeniana a essere occupata dai Keoniani, i quali sapevano molto bene quale valore avesse per il popolo quel luogo. Da lì, infatti, ci hanno mosso guerra.-
-Cosa c’era di così prezioso nella Conca?-
-La Conca è la sede della Kalì.-
Hella esitò: -La Kalì?-
-Oh, mi perdoni. Questa è la parola che i Sogeniani usano per indicare la Speranza.-
-Me ne parli.-
-Essa proviene da un’antica religione professata dalle genti che abitavano questi luoghi prima di noi, prima della Grande Guerra che ha devastato il mondo antico. Non conosciamo quella religione, ma abbiamo sempre avuto un grande rispetto per quel luogo e per la Kalì.-
Hella fu sul punto di ribattere, ma rinunciò, preferendo mangiare la sua razione. Attese le tenebre per muoversi verso la Conca. Una volta arrivato, si avvicinò nuovamente alla colonna che aveva toccato quella mattina. La sfiorò esitante e, quando sotto le sue dita sentì formarsi la parola Kalì, ebbe la certezza che non si era sbagliato. All’improvviso la terra prese a tremare e lui riuscì ad allontanarsi dalla zona delle colonne, giusto un attimo prima che un’enorme voragine si aprisse nel mezzo per far uscire una quinta colonna, molto più bassa delle altre e scolpita con un fitto bassorilievo che ne percorreva tutta la superficie. L’uomo si guardò intorno nervosamente, ma il silenzio della notte non era in grado di suggerirgli cosa fosse più giusto fare. Allungò le mani e toccò il manufatto, facendo scorrere le dita sul bassorilievo, che in pochi secondi si trasformò in una serie di punti. Contemporaneamente la colonna prese a girare su se stessa e a sollevarsi, in modo da poter raccontare la sua storia, una storia vecchia di centinaia di anni. Quando Hella riuscì a staccare le dita, si accorse che la colonna aveva raggiunto l’altezza delle altre. A un tratto il bassorilievo scomparve e tratti simili a quelli di un viso umano comparvero sulla superficie ormai liscia della colonna. Hella la osservò prendere le forme di un corpo levigato con le braccia aperte e… inchiodate a una croce.
Fu invaso da un moto di commozione, tornando con la mente ai giorni successivi allo scoppio della granata, quando infermo in un letto di ospedale aveva sentito sotto le dita quel corpo e quella croce. Qualcuno, non sapeva chi, gli aveva dato quell’oggetto da tenere in mano, anche se lui non ne conosceva il significato. Ricordava, però, cosa quell’oggetto gli aveva trasmesso… speranza.

11 Risposte a “Al tatto di Annarita Petrino”

  1. Molto bello! La speranza é ciò a cui solo possiamo fare affidamento.
    Lo voto.

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