Il labirinto di Luisa Cagnassi

Il labirinto

Apro gli occhi che il cielo ha appena acceso la sua luce. Intravedo le sagome delle siepi di lauro, le sue lisce foglie specchiano lievi cenni di albore. É un giardino, ma non riconosco quello di casa: dove sono finita allora?
Cerco di prendere in mano la situazione, non vedo altro che fronde verdi, ne sento l’odore acre e penetrante, lo spazio che c’é intorno è piuttosto stretto.
La luce del giorno ora è più chiara, la mia mente è confusa, avverto un senso d’ansia. Intravedo appena, in alto, un lembo di cielo incolore.
Il cupo silenzio mi ossessiona, procedo con calma e mi trovo davanti a un muro di piante che m’impedisce di proseguire. A sinistra invece il percorso continua, è un sentiero preciso che poi s’interrompe di nuovo, procedendo poi sulla destra. Al prossimo tratto svolto ancora a sinistra.
D’un tratto mi rendo conto di vivere in una dimensione ignota: non so ne da dove vengo ne dove vado. Mi palpo, avverto il mio corpo sotto il tocco delle dita: sto sognando?
A un certo punto, comprendo che quei tratti di linee rette, disegnano un labirinto: progettato da chi?
«Ahhh!!! Poverino…» Pronuncio sorpresa dai resti di un uccellino multicolore dal cui corpicino martoriato stillano gocce di sangue. D’istinto alzo gli occhi e scorgo due occhi gialli minacciosi emergere da una massa corvina: è un gatto l’assassino. Punta sulla mia persona, la sua coda oscilla nervosamente, vuol difendere la sua preda, la situazione è critica.
«Vattene via!» Gli grido e lui rizza il pelo sulla schiena, pronto ad attaccare. Lo anticipo di un soffio, lui manca l’obiettivo precipitando sulla siepe, emette un miagolio orribile e svanisce nel nulla.
«Qualcuno mi sente? Aiutatemi!» Grido, è alquanto angoscioso lo stato in cui mi trovo. Ho freddo.
Sono imprigionata in una sorta di scatola verde delineata a settori: credo di intuirne il senso.
Il primo tragitto rappresenta l’imprevisto, la paura che non si sa dominare, ma forse anche il mio lato oscuro, malvagio. Una verità racchiusa nel mio inconscio affiora rivelando verità negate dietro la maschera del buonismo?
Devo trovare l’uscita o mi smarrirò dentro a un contenitore misterioso, non devo perdermi d’animo.
Ho sete, mi sento male e perdo la pazienza poi penso a chi è rimasto sepolto sotto le macerie di un terremoto: non ho ragione di lamentarmi.
Questo tratto ostenta la coscienza, la consapevolezza di dover abbracciare la sofferenza altrui.
«Tiratemi fuori di qui o impazzisco!» Urlo con un tono sconcertato, sto perdendo la cognizione del tempo: sono trascorse troppe ore ormai.
L’aria mi rimanda un odore nauseabondo. Lo realizzo tardi: sono escrementi, purtroppo li calpesto.
Il ribrezzo fa parte della vita, ma è veramente disgustoso. Sarà il risultato di un animale gigantesco, o evidenzia il significativo l’effetto delle azioni di questa società malata?
Non so come ripulirmi le scarpe. Le tolgo e cammino a piedi nudi sull’erba.
La puzza si affievolisce ma non il disgusto. Ecco cosa rimane di ciascuno di noi: fetore e ribrezzo.
Avanzo ancora e un enorme lupo dagli occhi iniettati di sangue mi mostra i denti; con la bava alla bocca è inquietante e non so come potermi difendere.
«Se credi di farmi paura, ti sbagli..» Gli grido. Il suo sguardo mi sfida minaccioso, spalanca le fauci enormi, ma resta lì in agguato: un avvertimento?
Lottare per superare gli ostacoli, nulla è facile, certo: occorre riflettere per trovare la soluzione.
Passo rasentando la siepe a un lato del lupo, il mio sguardo lo sfida e lui si ammansisce.
Sgorgano da alcuni rami costanti gocce d’acqua, sento singhiozzare: sono le lacrime dei bambini maltrattati, abusati, e mai confortati «Che pena!» Rappresentano l’indifferenza?
Nel tratto seguente, una donna si nasconde dentro un mantello, non vedo il suo volto, ma ha un che di familiare: sì, è mia madre. Mi giunge la sua voce lontano, sussurra il mio nome chiedendo il mio aiuto. Troppo tardi per darle conforto, lei è volata via da tempo.
Piango: «Mamma, perdonami!» Ecco, ora conosco il rimorso.
Scendono le mie lacrime sino a penetrare la terra e iniziano a sbocciare mughetti, i fiori preferiti da lei. Il loro profumo pervade l’aria. Simboleggiano il suo perdono?
Torno percorrendo i tratti a ritroso, non trovo intralci. Davanti la porta di casa qualcuno ha deposto una scatola. Tolgo il nastro che la chiude e ne apro un lato, non vedo che buio. Apro l’altro e incredibilmente ne escono farfalle dai colori sgargianti: bellissime. Volano sempre più alte, le siepi del giardino riacquistano le dimensioni normali: ecco la gioia e la meraviglia!
Ho ritrovato la mia coscienza. Il cielo è di un azzurro intenso, respiro profondamente, felice.
Le farfalle fluttuano nell’aria pochi secondi formando la sagoma di un cuore, poi un suono le dissolve e apro gli occhi.
È il postino, mi consegna un pacco, firmo senza connettere. Il dondolo mi ha conciliato il sonno, ho dormito vivendo un incubo o un sogno? Il labirinto rappresenta il mio ego confuso.
Il pacchetto? Lo aprirà mio marito stasera…

15 Risposte a “Il labirinto di Luisa Cagnassi”

  1. Brava Luisa. Niente meglio di un labirinto può rappresentare le nostre contraddizioni. Voto!

  2. Brava Luisa, molto originale e fa riflettere. Anche il finale rafforza il tema che hai voluto affrontare.

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  3. Grazie davvero Claudia, ero molto incerta, questa la causa della confusione e del ritardo. Sono molto felice di questo tuo commento.

    1. Escluso tuti i miei ringraziamenti, per il commento qui e per la dimostrazione di sensibilità. Sono molto felice di questo.

    1. Grazie di cuore Anna, mi lusinga molto il tuo commento. Un po’ furi dal mio stile consueto, è vero.

  4. Veramente originale e bello. Il finale poi veramente catartico.
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    1. In quella sottile parete tra sogno realtà a volte”spuntano” sensazioni forti, così cosi forti e vive da sembrarci reali per i suoi suoni colori odori che queste producono, ma esse ci lasciano stordita e perplesso poiché scavano profondamente nel nostro inconscio.Io voto questo testo

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