Le scarpe viola di Elena Grifoni

Potrei continuare ancora a cercarle ma, a questo punto, avendo ormai guardato ovunque, non sono affatto sicura di riuscire a trovarle. Ho praticamente messo a soqquadro la mia vecchia cameretta buttando tutto all’aria quando mia madre, forse disturbata dal rumore, si affaccia alla porta e con un tono fra il sorpreso e il seccato esclama: “Ma si può sapere cosa stai combinando?” Emergo da sotto il letto e rispondo “Sto cercando le mie scarpe viola. Sai quelle con il tacco alto e le decorazioni in Swarosky? Quelle del compleanno! È la tradizione!”
“Ah quelle… credevo che le avessi portate via quando ti sei trasferita” “Mamma, lo sai benissimo che non è così! Quelle scarpe sono sempre rimaste qui, in questa stanza, e precisamente in una scatola nera sulla mensola dell’armadio; e adesso sono sparite! Tu hai idea di dove siano andate a finire?” “Scatola nera hai detto? Ah, quella… L’ho messa giù in cantina insieme ad altre cianfrusaglie di tuo padre, per fare un po’ di spazio.”
“Cavoli mamma! In cantina? Adesso vai e la recuperi!” rispondo seccata.
“Ma neanche per idea, se vuoi quelle vecchie scarpe te le vai a cercare!” Detto questo si gira ed esce senza nemmeno aspettare una mia risposta.
-Giù in cantina… vale a dire perdute per sempre!- penso mentre cerco di ricordarmi la disposizione degli spazzi nel grande seminterrato. L’estensione è praticamente quella della casa ad eccezione del locale caldaia e della lavanderia che sono separato e da cui si accede da una scala esterna. Alla cantina invece si arriva da una ripida scaletta di legno e da una porticina bianca in corridoio poco distante dalla cucina. Ho sempre odiato quel posto umido e buio, pieno di cianfrusaglie accumulate negli anni, in cui mia madre mi metteva in castigo quando ne combinavo una davvero grossa. Tutti i miei giocattoli, prima o poi, andavano a finire la dentro e, irrimediabilmente, sparivano per sempre. Con gli anni lo spazio si è via via ristretto, invaso da mobili e suppellettili per la casa sostituiti con dei nuovi o più alla moda, ma mai gettati perché “non si sa mai”. Ora anche le mie adorate scarpe viola, quelle che indosso sempre, senza eccezione, in occasione del mio compleanno, sono state fagocitate dalla famigerata cantina. “Eppure lo sapevi che sarei venuta” grido a mia madre dal piano di sopra.
“Ti ho chiamato ieri apposta per dirtelo”
“Dirmi cosa?” risponde lei da sotto.
“Dirti che oggi sarei venuta a prendere le scarpe”
“Quali scarpe?” – Ma allora me lo fa apposta! – penso.
“Quelle che hai esiliato in cantina!” urlo arrabbiata mentre scendo le scale. Nessuna risposta. “E va bene, vorrà dire che scenderò giù a cercarmele…”
“Ecco brava” dice lei passandomi davanti mentre si dirige verso il salotto.
“Ma non buttare tutto all’aria anche laggiù!” aggiunge poi con aria seccata.
Sto per esplodere, ma riesco, con un respiro profondo, a mantenere un discreto autocontrollo. Mi incammino lungo il corridoio in direzione della cucina. Eccola lì, la porticina bianca tanto temuta. La maniglia oppone un po’ di resistenza, forse a causa del poco uso, e quando riesco finalmente a sbloccarla la porta si apre emettendo quel sinistro cigolio che ho sempre associato a case di fantasmi e film dell’orrore. – Ecco, non avrei dovuto pensarci – mi dico mentre un soffio di aria gelida proveniente dallo spazio buio davanti a me mi fa rabbrividire. Apro totalmente il battente appoggiandola contro il muro del corridoio per avere un po’ di luce mentre scendo quei quattro gradini che mi separano dall’interruttore. Devo stare attenta a dove metto i piedi perché la scala non solo è ripida ma ha anche i gradini belli stretti. Ne scendo un paio, anche questi molto scricchiolanti e cedevoli sotto il mio peso, cercando di posizionare i piedi in diagonale e appoggiandomi al muro con una mano per non perdere l’equilibrio. Mi sto sporgendo per raggiungere l’interruttore quando vedo che il cono di luce proveniente dal corridoio si riduce velocemente fino a che, con un sonoro tonfo, la porticina alle mie spalle si chiude lasciandomi completamente al buio. Un’imprecazione mi esce spontanea solo per perdersi nel vuoto davanti a me dandomi l’illusione di trovarmi in una caverna. Fortunatamente dopo un minuto i miei occhi si abituano un po’ all’oscurità e riesco a scendere, trattenendo il respiro, i due scalini che ancora mi separano dall’interruttore. Individuo al tatto la placca sul muro e torno a respirare. – Ok sono salva – penso mentre spingo il bottone e mi aspetto di vedere la luce. Niente. Per esasperazione più che per convinzione spingo il bottone più volte sperando che così facendo cambi qualcosa. Corto circuito o semplicemente lampadina fulminata che mia madre non si è preoccupata di cambiare? Ok non importa, c’è una torcia elettrica nel cassetto di cucina, salgo a prenderla e magari, già che ci sono, prendo anche una lampadina nuova. Risalgo gli scalini inciampando evitando per un pelo la caduta schiacciandomi contro il muro, ma una volta arrivata alla porta mi accorgo che manca la maniglia.
“Hai tolto la maniglia?! Ma sei impazzita?” grido a mia madre sperando che mi senta. “Mamma! Non posso uscire” grido ancora battendo sulla porta per attirare la sua attenzione. Poi accosto l’orecchio per sentire eventuali rumori. Niente. Silenzio totale. – Quando esco da qui giuro che la uccido! – Cerco di calmarmi, devo trovare una soluzione. Esploro al buio la porta con le mani e mi accorgo che c’è una serratura vecchio stile; allora mi ricordo che in fondo alle scale c’è una bacheca con attaccate ed etichettate le chiavi di tutte le porte di casa! E di sicuro c’è anche quella della cantina, e nel cassettone poco distante c’è una scorta di candele. – Per fortuna ho sempre con me il mio fidato accendino… – Faccio un respiro profondo e l’aria umida di muffa mi pizzica il naso facendomi venir voglia di starnutire. Lancio un altro colpo alla porta più per rabbia che per altro e poi di nuovo giù, un passo alla volta, appoggiandomi al muro, cercando a ogni passo di far aderire bene il tallone alla parte posteriore dello scalino per non rischiare di scivolare e farmela tutta a rotoloni. A ogni gradino la scala scricchiola sempre più sonoramente. – Me la ricordavo più corta, adesso sembra senza fine… – non so proprio come orientarmi immersa nel buio e nel silenzio, rotto solo dai gemiti del legno e dallo strusciare della mia mano sul muro; non riesco a capire quanto ho già percorso né quanto manca alla fine. Man mano che scendo la parete si fa più fredda e ruvida. Poi il piede incontra una superficie più solida, ecco il pavimento; sono arrivata in fondo alla scala, finalmente! Mi sento la brutta copia di un mimo mentre con entrambe le mani appoggiate al muro lo percorro a tentoni in cerca della famosa bacheca. La trovo, tocco le chiavi appese e realizzo che al buio non potrò mai riconoscere quella della cantina. Continuo allora il mio percorso verso il fondo della stanza in cerca del cassettone e delle candele. Dopo qualche passo sbatto contro una libreria che ostruisce il mio cammino; cerco allora di camminare scostata dal muro. Adesso sì che sono disorientata… mi sembra di fluttuare, a braccia tese come un funambolo, su un ponte sospeso! D’un tratto mi blocco. Sono sicura di aver sentito un rumore: un movimento strascicato proveniente dal centro della stanza. Poi, una sorta di respiro. C’è qualcuno che sta respirando qui sotto… e si sta muovendo! D’istinto indietreggio solo per trovarmi a sbattere di nuovo contro la libreria provocando un piccolo sbuffo di polvere e la caduta di qualcosa dal ripiano più alto a cui fa eco un risolino soffocato. Sempre con le spalle incastrate fra gli scaffali cerco freneticamente qualcosa con cui difendermi, ma prima che io riesca ad afferrare un oggetto qualsiasi improvvisamente la luce si accende lasciandomi, per qualche istante, abbagliata e disorientata. Poi, un grido mi fa sobbalzare “Sorpresa!!!” Con il cuore in gola sbatto gli occhi più volte per riuscire a mettere a fuoco il gruppetto di persone che, sorridenti davanti a me, agitano le mani e gli striscioni di auguri. Ancora un paio di secondi per capire che quei pazzi dei miei amici con la complicità di mia madre, mi avevano organizzato una festa a sorpresa per il mio compleanno.
“Ma siete tutti impazziti? Mi potevate far venire un infarto!” Esclamo mentre tutti mi si avvicinano per farmi gli auguri. “Grazie di cuore, ragazzi, questa proprio non me l’aspettavo… ma state pur certi che prima o poi ve la farò pagare!”