L’abitatore dell’anima di Alessandra Elisabeth Gravestone Paoloni

L’essere diversi non significa necessariamente essere pazzi. Ma vivere come se nel proprio corpo coesistessero due entità distinte forse lo è.
Potrei sembrare una ragazza come tante: buona famiglia, ottimi voti a scuola, educata e abbastanza carina.
Ma la realtà è ben diversa e lontana dall’essere compresa anche dallo strizzacervelli dal quale andavo fino a qualche tempo fa. Quell’ometto basso dagli abiti sempre impregnati dell’odore pungente del sigaro, mi diagnosticò quello che viene comunemente denominato “disturbo bipolare della personalità”; ma io credo che il mio malessere fisico e mentale andasse ben oltre quella definizione.
Credo di avere dentro di me qualcosa, o forse chissà “qualcuno”. Non nel ventre, per carità.
Ma nell’anima.
Questa entità, concepita forse dalla mia stessa mente, mi divide in due, sgretola le mie certezze e il mondo per me diviene frammentato in due fazioni distinte: il bianco e il nero. La luce e l’oscurità. Ciò che è corretto (o corrotto) e ciò che non lo è.
Molte volte mi sono soffermata a riflettere sui miei continui cambi d’umore, sul perché io dapprima sia felice e successivamente dopo, senza alcun motivo logico, malinconica e triste. Quasi votata alle tenebre e alla loro oscurità.
Le due estremità del mio animo si contendono la mia ragione, e in questa eterna lotta io finisco col soccombere.
Questa è la mia malattia, stare al centro di due fuochi e non saperne uscire viva. E se da una parte il pensiero di mondi e cose legate alla sfera della coscienza e della giustizia invocano il mio nome, dall’altra la pece di un universo oscuro mi brama. Pensate che la lotta tra il Bene e il Male non esista? Provate allora a sentirvi come me, dilaniata in due, sospesa tra il peccato e le virtù.
Un sorriso. Una volta regalai a un passante un sorriso. Lui ricambiò.
L’istante dopo, mutato atteggiamento, gli rivolsi un’occhiata gelida; quasi malevola. La mia mutazione, dalla luce alle tenebre, dal bianco al nero, lo fece sussultare. E la mia anima s’infiammò di quella continua lotta intestina.
Misera me e l’incapacità di porre rimedio a questo strappo dell’animo! Sarò per sempre preda di questa divisione, lacerata in due, alla ricerca di un precario equilibrio.
Per risolvere questo malessere mia madre dice di avermi trovato un nuovo strizzacervelli. Dio solo sa quanta sofferenza mi procura farmi analizzare di nuovo, come se fossi la cavia di un laboratorio, alla ricerca di una cura per quel cancro dell’anima che finirà, lo so, per diffondersi dappertutto.
Mi guasterò, avvizzirò e cadrò vinta dalla mia malattia. Perché non c’è scampo per me, né scelta. Si contendono la mia vita, lo yin e lo yang, il nero e il bianco. Le tenebre e la luce.
La follia e un barlume latente di sanità.