L’insonne Aurora, e la piuma dell’amore

L’insonne Aurora, e la piuma dell’amore di Maruska Creanza

In una calda notte d’estate del 1650, re Stefano, preso da una tormentosa calura, decise di alzarsi e di prendere dell’acqua fresca dal pozzo. E mentre percorreva, mogio mogio, il lungo corridoio del suo castello, intravide in lontananza una luce.
Sbuffò e scosse la testa.
“E’ Aurora, sicuramente!” Fece bofonchiando. Lui sapeva il tremendo difetto che era sopraggiunto alla sua unica figlia.
Il re la vide barcollare e andare verso le reali cucine. Oggi era stato servito per pranzo agnello con patate, e la sua vorace figlia ogni tanto faceva degli assalti alla dispensa. Lui scosse la testa e pur di non vederla affondare i canini sulla carne, e dare battaglia senza scampo alle patate, decise che si sarebbe tenuto la sete. Sua moglie Serafina, la regina, che era tutto fuorché calma lo vide rientrare con il broncio.
“Allora sposo reale? L’acqua ?”
Lui la guardò sbuffando. Serafina con la maschera verde al cocomero non era proprio uno bello spettacolo, ma era anche molto permalosa, dunque su alcuni appunti, era meglio tacere … per la pace familiare!
“Mi è passata la sete … ho visto Aurora dirigersi nelle cucine!”
Serafina incrociò le braccia a fatica, aveva la settima di reggiseno. Lei era tracagnotta ma non lo notava, o semplicemente essendo regina esigeva che non le si facesse notare … invece punzecchiava sempre gli altri sul fattore peso. E con sua figlia era particolarmente severa e caustica.
“Quella tua figlia mi farà morire, ha venticinque anni, è sovrappeso … non proprio un miss, e ancora senza marito. Se penso che il principe Filippo, all’epoca, era pazzo di lei e che è stato proprio lui al liberarla dall’incantesimo … mi viene una rabbia che la prenderei a schiaffi. Era l’unico partito buono che era capitato e che era disposto a prendersela!”
Re Stefano sempre misurando le parole, timidamente abbozzò le sue deduzioni.
“Ma tesoro … aveva una dentatura più robusta del suo cavallo e gli colava la bava dai lati della bocca. Aurora si è svegliata più per schifo, che per ribrezzo direi!”
Serafina corrugò le foltissime sopracciglia nere come la notte, solo che in quel momento erano per una parte impiastricciate di pasta al cocomero.
“E va bene … bava o non bava … dentoni o meno, vedi altri pretendenti? Noi donne reali, a volte siamo costrette ad accontentarci. È la legge spietata della vita. A tutte piacerebbe un principe alla stile Lancillotto, ma ci prendiamo quello che ci tocca!” Detto ciò guardò il marito con schifo, e si distese facendo tremare il letto, le povere molle soffrirono, il materasso si affossò … lei si mise di fianco. Non era mica bello, quello che Stefano osservava. Ma senza fiatare deglutì. Avrebbe voluto dire che lei aveva perfettamente ragione, e quello che aveva appena detto, era successo anche a lui. E quando suo padre gli impose di prenderla in moglie, avrebbe preferito andare in Tibet in eremitaggio tutta la vita, piuttosto che toccarla.
Alzò le spalle, rabbrividì … era meglio comunque battere in ritirata, quando la moglie assumeva quell’ espressione.

La giovane principessa arrivò alle reali cucine che lo stomaco stava facendo un concerto. Già sentiva tra i denti la consistenza saporosa dell’agnello, e il sapore delle croccanti patate di contorno.
La chiamavano da un po’, l’insonne Aurora. La povera ragazza non riusciva quasi più a dormire da quando le sue fate madrine l’avevano liberata dal sortilegio della strega cattiva. E da quando aveva visto le labbra bavose del principe, che altro che adone , aveva dei denti equini che la poveretta credette di essere divorata e non baciata. E poi la risata, ne vogliamo parlare? Una scimmia urlatrice era più contenuta.
Lei respirò a fondo. Pensò a se stessa e al fatto che doveva per forza prendere marito entro i ventisei anni, altrimenti l’avrebbero tacciata come zitella per tutta la vita. Ma da quando aveva dato il ben servito a quell’essere equino e bavoso del principe Filippo, non le era più capitata nessuna proposta, nessuna opportunità di matrimonio. Qualche ricevimento, qualche disperato tentativo della madre di appiopparla al primo principe di passaggio, ma tutti appena la vedevano alzavano spalle e sopracciglia e se la davano a gambe. E si che aveva messo su dieci chili dopo il risveglio dal sortilegio … ma si disse, era mai possibile che i principi dovessero per forza essere legati alla forma fisica?
Aurora non era certo una cima di bellezza, aveva i suoi difettucci, come tutti, il naso un po’ gobbuto, non molto alta e con qualche chiletto imputabile alle melanzane alla parmigiana che le cuoche del castello quasi sempre sfornavano. Per non parlare delle torte e del favoloso tiramisù, che sapevano fare, morbido al punto giusto. E poi i biscotti al burro e i cornetti ripieni di ogni buona crema, che appena venivano morsi traboccavano di ogni ben di Dio. Aveva i peli alle gambe così scuri e resistenti, che i rasoi le duravano quando una buona crostata al cioccolato, appena sfornata, tra le sue mani.
Ma nonostante i suoi peccati di gola, e tutti i suoi difettucci, se si sistemava … si truccava e metteva la pancera bella stretta a compressione graduale, era passabile.
Aurora già da giorni provava a contattare tramite paggi velocissimi, le sue benedettissime fate madrine, per aggiustare il tiro sull’incantesimo. Ma loro erano sempre in giro. Ora erano al mare a tanti chilometri di distanza. Sembrava che volessero ignorarla apposta. E aveva saputo, che finalmente sarebbero tornate a fine settembre. Ma lei altri due mesi in quelle condizioni, non li avrebbe retti. E da li la decisione di partire e raggiungerle. Quel suo dramma doveva finire. Sognava, desiderava farsi una bella dormita … certo non lunga i cento anni, come per l’incantesimo, ma due giorni di fila se li sarebbe fatti volentieri.
La speranza era quella non solo di dormire ma, possibilmente, quella di mangiare pure di meno.
Si avvicinò alla finestra e immaginò il suo principe ideale. Anzi si disse, il ragazzo ideale non necessariamente reale. I principi, anche se brutti, erano pretenziosi. Dovevano esibire la bella principessa. Mentre un ragazzo del popolo, magari, si sarebbe accontentato di una come lei.
Sorrise, e pensò che alla madre sarebbe venuto un colpo, se solo avesse saputo come lei immaginava il suo uomo ideale. Ma sorrise malinconica, con gli occhi rossi per la mancanza di sonno e la pancia brontolante. Sospirò, guardò un ultima volta le stelle.
“Chissà se esisti, innamorato mio … chissà!”
Mangiò fino a scoppiare, e tornò in camera. Osservò i bagagli quasi pronti per la partenza.
Per viaggiare aveva già scelto delle vesti modeste e un carro con cocchieri anonimi, che in realtà erano due soldati ben addestrati.
Nella zona c’erano dei briganti, ed ostentate ricchezza per una fanciulla sola, non era il caso. Avrebbe avuto con se la sua damigella personale Brunella il canguro. Scoprirete presto perché la chiamavano così!
Ma ignara di tutto, un’ altra anima in pena c’era, che alla stessa ora nello stesso momento, si aggirava in un altro castello … lontano lontano.

In una regione confinante al regno di re Stefano, il principe ereditario Gustavo era chiuso doppia mandata nella sua grande stanza reale. Aveva ormai ventisette anni , e vicino alla grande finestra su una comoda poltrona, stava facendo fuori con avidità un cestello di gelato al pistacchio e fragola. E tra una cucchiaiata e l’altra osservava le stelle. Era una calda e limpida serata estiva e il gelato e quella visione, erano un paradiso per lui. Ma la madre che lo tormentava per via del suo peso lo costringeva a diete inutili e forzate. Gustavo quando poteva si nascondeva nella sua stanza e trangugiava tutto quello che la regina gli vietava. Aveva un cuoco compiacente, che gli faceva trovare dentro l’armadio, la sera, ogni ben di Dio. Era l’unico principe del regno che invece di acqua di colonia sapeva di arrosti varie e sformati di ogni tipo. Anche se una volta, il cuoco aveva messo il gorgonzola della fonduta … beh, il suoi vestiti erano stati impraticabili per un po’. Da quel giorno infatti non erano più stati serviti cibi del genere.
Gustavo finì il suo cestello e si toccò la pancia. Grazie al panciotto super imbottito riusciva ad evitarsi qualche taglia, ma avrebbe tanto voluto essere un semplice contadino e vestire comodo e ingrassare e invecchiare in santa pace. Non poteva invece, aveva dei stramaledetti doveri. E doveva avere presto, a detta della madre, una bella principessa che fosse disposta a stare con lui. E non solo, gli sarebbe toccato di presenziate tanti noiosi convegni e riunioni. Era l’unico erede e gli toccava. Ma si disse, una vacanza, da tutto quello ci stava. Sua mamma stava preparando un nuovo ricevimento per fargli conoscere una principessa che finalmente avrebbe accettato di sposarlo. Lui rabbrividendo per la solita ennesima delusione, aveva deciso di farsi un paio di giorni fuori. Ma non da principe. Da semplice cittadino. Sotto le sue vesti reali avrebbe indossato un semplice abito rubato al suo giardiniere. E al momento opportuno avrebbe fatto il cambio di immagine.

La mattina della partenza Aurora con beneplacito di sua madre, mezza rassegnata e mezza speranzosa, finì di mettere gli umili panni. Serafina la vide e scosse la testa, si vedeva che la ciambella attorno alla vita era lievitata parecchio.
“Figlia mia appena le fate madrine ti avranno liberata di questo effetto collaterale, e tornerai a dormire invece che mangiare … io e la regina Gertrude, abbiamo organizzato un ballo. Conoscerai suo figlio …”
Ma Aurora la bloccò con la mano.
“Mamma ti prego … non organizzare fidanzamenti, per favore. Per ora non me la sento nemmeno di sentire la parola! Mi viene da vomitare solo a pensarci!”
Detto ciò la ragazza vestita più o meno come la sua damigella si avviò verso la porta. Dietro di loro un paggio con il bagaglio.
Serafina si mise le mani in viso.
“Come devo fare con questa figlia?”

La mattina della partenza Gustavo vestito sopra da principe a sotto da giardiniere, si avviò con il suo destriero verso il ponte levatoio. I genitori da lontano lo guardavano contrariati. Lui da solo, senza la solita scorta, aveva detto che faceva una passeggiata nei paraggi, e che avrebbe mangiato fuori da nobili che si trovavano nelle vicinanze. La madre gli aveva raccomandato di comportarsi bene, e che tra tre giorni ci sarebbe stato questo benedetto ricevimento.
Lui sbuffando e buttando gli occhi al cielo se ne era andato via quasi di corsa, anche perché sotto al mantello aveva un grosso barattolo di stufato e una enorme pagnotta di pane nero.
Gustavo appena fuori il castello si sentì già meglio. Fece qualche chilometro e assicuratosi che ormai nessun occhio indiscreto lo potesse guardare, scese dal cavallo voltò la sella alla rovescia per farla sembrare vecchia. Dietro un grosso albero, si tolse i panni reali stretti e rigidi, e li mise insieme al sacco del cibo. Indossò le povere vesti, leggere e comode, e già si sentì meglio. Ma come al solito, ora, odorava di stufato. Sorrise, sapeva sicuramente di buono.

Aurora, appena fuori dal castello, che era diventato una specie di prigione, vide passare davanti al suo viso una piccola piuma bianca. La damigella, Brunella, l’osservò, sorrise e saltellò come al solito, come se avesse le molle sotto ai piedi. Faceva sempre così quando era eccitata. E se poi ci mettiamo due orecchie enormi, un grosso naso a patata e due incisivi da far concorrenza ad un castoro, l’associazione ad un canguro, è bella che servita!
“Principessa … è un segno di buon auspicio, dalle mie parti si dice che appena ci vola davanti una piuma bianca, questa non è altro che la piuma delle ali dell’angelo che ci protegge … e che ci porterà belle cose.”
Aurora sorrise, quella piccola storia che aveva già sentito, la rese inaspettatamente felice. Prese aria nei polmoni, e chissà perché pensò subito all’amore, quello vero che non bada alle apparenze. Prese la piuma dalle mani dell’ancella, e la conservò nella scollatura.

Gustavo risalì in groppa al cavallo, felice come una pasqua. Dopo un po’, davanti al viso, fluttuò una piccola piuma bianca. Lui d’istinto la raccolse nella sua grande mano. Gli venne di conservarla, era piccola candida e ispirava tenerezza. E chissà perché , gli venne in mente che l’avrebbe regalata alla sua amata … una ragazza che possibilmente l’avrebbe amato per il suo animo e non per il suo aspetto.

Aurora sentì brontolare lo stomaco. L’ancella conoscendola aveva portato in un sacco a parte con dentro ogni ben di Dio. Ma Aurora poté solo odorare quelle meraviglie, appena stava per addentare un bel pezzo di formaggio stagionato, sentì la carrozza fermarsi di colpo, i cavalli nitrire e i cocchieri urlare.
Scese insieme all’ancella e vide tre briganti con il volto mascherato li stavano circondando.
“Se volete salva la vita, lasciate tutto … cavalli,carrozza e bagagli e andate via!”
L’ancella si mise a piangere e i cocchieri che in realtà erano due soldati furono subito legati e dagli altri due briganti.
Aurora che sarebbe presto diventata regina, fidanzato trovando e permettendo, scelse subito la soluzione più saggia.
“Va bene è tutto vostro, ma lasciate i cocchieri liberi … noi ce ne andremo ma voi sparirete dalla nostra vista!” Fece Aurora con le mani ai fianchi fiera e senza paura. Dalla sua posa le venne di ondeggiare quasi che stesse facendo la <mossa!>
Il delinquente a cavallo si avvicinò la guardò serio, poi inaspettatamente sbottò a ridere a crepapelle. Batté più volte le mani alle sue stesse cosce e sentì le lacrime pizzicare gli occhi, la grassona che aveva davanti, ne aveva di coraggio, pensò!
Dopo che si fu ricomposto la guardò sempre sorridendo.
“Come comanda vostra donzella, tracagnottella!” E detto questo scoppiò di nuovo a ridere. Poi fece segno ai compari di lasciare i cocchieri.

Gustavo sentì il suo stomaco brontolare, osservò il sole e facendo i calcoli doveva essere circa mezzo giorno, il momento giusto per mangiare le sue prelibatezze. Proseguì ancora per un po’ e da lontano, vide una carrozza scortata da due cavalieri correre velocemente. Poi vide un gruppetto di persone poco distante. E da come mettevano le mani in viso e si consolavano a vicenda, scommise con se stesso che erano stati appena derubati!
Spronò il cavallo e si avvicinò di corsa.

L’ancella Brunella non saltellava, e singhiozzando si mise le mani al viso. Aurora sbadigliò, più per nervosismo che per altro. Il fenomeno le peggiorava nei momenti di stress. Poggiò una mano sulla spalla della sua serva e cercò di farle coraggio. Ma dentro macinava senza sosta.
<Cara Brunella, appena mi parli di piume, angeli e buon auspici te lo dico io … te lo dico!> Pensò la principessa Aurora tra se e se, ma non se la sentì di inveire sulla poveraccia.
I soldati arrabbiati, ma soprattutto umiliati, se ne stavano fermi e zitti, come statue di sale pallidi e mortificati.
Da lontano videro arrivare un uomo a cavallo. Aurora ad occhio valutò che poteva essere benissimo un altro brigante, anche perché tutto sembrava tranne che un nobile cavaliere, e arrivava troppo spedito al galoppo. Si armò di pietra e allertò i suoi soldati.
“Ora a questo lo aggiusto io!” Fece decisa e preparandosi a lanciare il grosso sasso come una esperta giocatrice di Football americano, anche se ancora quel gioco non l’avevano inventato.
Senza attendere le presentazioni, scagliò il sasso quando valutò che l’avrebbe beccato in pieno. Lo vide cadere da cavallo e urlò come uno dei tavernieri del regno e buttò il pugno in alto. Fiera e feroce andò a vedere se la sua preda fosse sopravvissuta.

Gustavo che non aveva una buona vista da lontano, non si aspettò quel colpo alla fronte. E cadde dal cavallo con i suoi cento chili e passa sul terreno. Si sentì un tonfo con un nuvolone di polvere. Si toccò la fronte, non sentiva sangue ma stava venendo fuori un bernoccolo bello grosso. Si arrabbiò parecchio. Sentì attivare qualcuno di corsa si preparò alla sua vendetta.
Appena il suo assalitore lo toccò con la punta del piede, lui con scatto repentino lo afferrò dalle gambe e lo tirò giù. Ma quello che vide lo scioccò piacevolmente. Gustavo non sapeva a quel punto se ridere o piangere. Ridere perché la bella e formosa fanciulla che l’aveva atterrato gli piaceva parecchio, soprattutto per l’irruenza e la forza. Piangere perché era stato atterrato probabilmente dalla vittima di qualche torto, presa dallo spavento. E da una donna!
Intanto, la piuma che stava nella sua tasca … quella piccola, bella e bianca, volò sul naso della sua attentatrice.

Aurora si sentì afferrare e tirare da due braccia forti e incavolate, e nel modo di venire giù, la piuma che stava dentro la scollatura si posò sul naso, di forma importante, del presunto brigante. Si osservarono stupiti negli occhi per qualche secondo.
“Signorina! Perche mai mi avete colpito? Io le stavo venendo in contro … ho visto che vi hanno derubato!”
Aurora deglutì imbarazzata. E notò che il ragazzo su cui era praticamente sdraiata sopra, parlava bene e in modo fine e non poteva essere un brigante. Fece segno a Brunella e ai soldati, che era tutto apposto.
“Mi scusi messere … davvero, ma ero scossa. Eh si, ha ragione mi hanno portato via il calesse! Dei briganti a cavallo!”
Brunella che li osservò bene e vide le piume rispettive volare l’una sul naso dell’altro, mise le mani al cuore, e saltellando di gioia non riuscì a frenarsi.
“Oh mio Dio … Santo Leopoldo! È il segno. Le piume, è il segno. È arrivato, finalmente è arrivato!”
Aurora e Gustavo si girarono entrambi e contemporaneamente parlarono, nemmeno se si fossero messi d’accordo ci sarebbero riusciti così bene.
“Ma di che parli?”
E detto ciò con eccezionale sincronia, si misero a ridere. Gli occhi di lui si persero in quelli di lei. furono solo pochi secondi ma bastarono per battere forte i loro cuori. Ma Aurora da donzella perbene, si sollevò prendendo la piuma del ragazzo che aveva colpito quasi a morte. Gustavo fece lo stesso. Ognuno osservò la piuma dell’altro.
Brunella non la smetteva di saltare e di sospirare.
Aurora si spolverò le povere vesti e osservò quelle altrettanto semplici del ragazzo che aveva di fronte. Lui non era bello, ma la risata e la bella luce che aveva negli occhi la incantarono. Poi mentre gli era spalmata sopra, aveva sentito su di lui buon odore di cibo, e questo le piacque tanto tanto. All’improvviso si sentì leggera leggera, come la piuma che teneva fra le mani.
Osservò il bernoccolone che si era gonfiato al lato della fronte del giovane, che la faceva sentire così strana. Si morse le labbra imbarazzata. E indicò verso di lui.
“Mi perdona, messere?”
Gustavo la vide veramente imbarazzata e anche se non era una snella fanciulla piacente, nel senso classico, il rossore sulle sue gote lisce e bianche e le labbra carnose che lei stava tormentando per via dell’imbarazzo, gli piacquero da morire. Sentì il suo cuore fare un battito di troppo. La piuma nelle sue mani si era come incollata. Le sorrise.
“Tutto perdonato signorina, non pensiamoci più. Io comunque mi chiamo Gustavo .”
Aurora ricambiò il sorriso. Che bel nome, pensò … evocativo!
“Io mi chiamo Aurora.” Fece un leggero inchino. Si fissarono. Nessuno fiatava. Persino insetti e uccelli si zittirono. Le guardie facevano vagare i bulbi oculari, da una parte all’altra … senza osare muovere un muscolo.
Brunella non ne voleva sapere di mollare. Li osservò, e sembravano due pezzi di marmo. Non andava proprio bene, quello stallo, qualcuno doveva fare qualcosa.
“Adesso che si fa? La nostra missione?” Fece ad alta voce. I due si girarono di scatto come sincronizzati.
Aurora strinse le labbra demoralizzata.
“Si hai ragione … arriveremo a notte fonda al mare! Sarà pesantissimo!”
Gustavo si sentì spinto da una forza sconosciuta. Osservò che al galoppo del suo fido destriero, avrebbe potuto far guadagnare parecchie ore, alla graziosa fanciulla. Osò proporre.
“Perdonate l’ardire … ma io e il mio baio potremmo scortarla dove vuole, signorina … sempre se non le sembra sconveniente!”
Brunella emise un gridolino compiaciuto. Aurora la guardò con rimprovero ma la serva non mollò la presa.
“Si, ottima idea … signorina Aurora, la piuma … la piuma, ricorda? È cosa buona e giusta … accetti l’aiuto. Sarete dalle madrine in poche ore, ed io ho sempre la compagnia di loro due!” Fece indicando i soldati che ci capivano sempre meno.
Aurora fece finta di arrabbiarsi e di prendere la cosa con calma ma si sarebbe tuffata fra le braccia di quel simpatico ed educato giovane … anche se poi pensando al suo peso, era meglio lasciar perdere, per non spezzargli la schiena.
Si prese giusto quel minuto per denotare contegno, ma avrebbe voluto urlare.
“Va bene … non vedo altra soluzione, sono veramente stremata!”
Gustavo si contenne l’avrebbe presa di peso, e non era mica una passeggiata, e l’avrebbe sollevata in aria urlando di gioia. Ma da perfetto gentiluomo, con un gesto teatrale, la invitò a salire sul cavallo.
Brunella fece l’occhiolino alla sua principessa, così forte , che forse non sarebbe riuscita più a scollarlo.
Il cavallo poveraccio, con a bordo la bella coppia extralarge giovane e promettente, si avviò verso la città incantata di Marebello, dove soggiornavano le tre fate madrine di Aurora.
La giovane era costretta dal lungo abito, a stare seduta di lato … ma avrebbe voluto cavalcare all’amazzone. E stava davanti a quel ragazzo, che sapeva di arrosto e di spezie appetitose. Aveva così fame che aveva paura di mangiargli una mano, da un momento all’altro. Lui era costretto a tenere le briglie e involontariamente la circondava con le sue robuste braccia. Ad Aurora quel contatto quella vicinanza fece un mondo di piacere. Durante il lungo viaggio si fermarono ai piedi di un enorme albero secolare e mangiarono di gusto tutto quello che Gustavo aveva portato. Il ragazzo, con piacere, constatò che la donzella era di buon appetito. E si dovette affrettare, le mandibole della dolce e in carne pulzella, macinavano senza sosta. Sembrava uno schiaccia sassi. Lui si meravigliò, mai nessuno lo aveva battuto nel divorare il cibo. E si osservavano quasi ridendo, mentre si sfidavano all’ultimo morso. E notò che la vorace ragazza, si sbavava e si impiastricciava con le salse proprio come lui. Per Gustavo, fu la mangiata più soddisfacente di tutta la sua giovane vita.
“Da dove vieni Aurora? Cosa fai per vivere?”
La ragazza che stava per spazzolare l’ultimo boccone di carne di montone, restò perplessa su cosa dire. Ma decise in un istante. Voleva vedere cosa si provasse ad essere una persona qualunque.
“Sono una cortigiana al castello di Re Stefano e regina Serafina! Tu?”
Anche Gustavo , senza saperlo, aveva le stesse paturnie mentali della sua compagna di avventura.
“Io … sono, un contadino. Vivo semplicemente, seguendo solo i ritmi del sole e della semina. Non mi manca ne cibo e ne libertà!”
Gustavo provò qualcosa di sconvolgente sentendo le sue stesse parole. Quello era il suo desiderio più grande, ma non avrebbe dato un dolore a sua madre abbandonando tutti i suoi doveri. Aurora invece ne rimase folgorata, e in quel momento avrebbe dato tutta la sua dote di principessa per restare con quel giovane, e vivere alla sua maniera. Ma i due ignari, l’uno della bugia dell’altro e mezzi colpevoli … per loro stesse bugie, finirono il pasto in silenzio. Ma senza saperlo, entrambi ogni tanto stringevano la piuma che si erano involontariamente scambiati. Dopo aver mangiato parlarono del più e del meno. Aurora aveva solo detto che doveva andare a trovare delle vecchie zie.
Ripresero con sostenuto galoppo il viaggio. C’era un bel venticello e il cielo limpido rendeva quella giornata veramente bellissima. Giunsero alle porte di Marebello. Aurora sapeva che la casa delle madrine era la prima in riva al mare. Ma non poteva portare con se Gustavo, lui avrebbe scoperto la sua bugia. Ma si sentì male al solo pensiero di congedarlo.
Gustavo dalla sua parte, doveva rimettersi sulla via di casa e riprendere la sua strada. Per forza! Non poteva illudersi di frequentare quella bella ragazza, che l’’aveva incantato. I suoi genitori non glielo avrebbero mai permesso. Pensò che se non fuggiva via subito, si sarebbe affezionato troppo ed entrambi sarebbero andati in contro a cocenti delusioni. Entrambi prigionieri delle reciproche bugie si separarono con gli occhi lucidi. Ma nessuno dei due ebbe il coraggio di fare diversamente.
“Grazie messere … io penso che non la dimenticherò più!” Fece lei con il magone.
“Nemmeno io … dolce pulzella.” Rispose lui trattenendo le lacrime.
Lui salì sul cavallo. Stringeva ancora la piuma fra le mani.
Lei lo vide allontanare al galoppo. Strinse la piuma al petto. Ma da dietro tre vocine acute la distrassero dal suo dolore.
“Aurora!” Fecero in coro le tre fate madrine che con il costume a due pezzi erano davvero uno spettacolo, avevano più onde di carne loro, che l’intero oceano.
Le tre madrine osservarono il cavaliere che lentamente spariva all’orizzonte. Poi guardarono la loro figlioccia. Tutte e quattro si strinsero forte, non si vedevano da tanto.
“Cara, sei qui per l’incantesimo … vero?”
Aurora che conosceva la natura soprannaturale delle sue madrine, non si stupì.
“Si … il principe Filippo mi ha svegliata, troppo! Ancora ho i suoi dentoni bavosi davanti agli occhi!”
Risero tutte.
“Lo so conosciamo l’effetto collaterale, ma in questi anni non siamo intervenute per un motivo semplice.” Disse la madrina più anziana.
Aurora respirò a fondo. Strinse le labbra, osservò l’orizzonte. Gustavo era ufficialmente, solo un ricordo da quel momento.
“Quale motivo?” Fece la giovane, triste.
“Non esiste soluzione. Come ogni sortilegio … solo l’amore vince su tutto!”
Aurora scosse la testa con gli occhi lucidi. Voleva dormire … ma più di tutto voleva Gustavo.
Le tre madrine sollevarono le sopracciglia. Si osservarono a vicenda. La mezzana tra le fate parlò, prendendo il viso triste e paffuto della sua protetta.
“Cara torna a casa. Vai in contro a Brunella e alle guardie …” Detto ciò con la bacchetta che teneva tra il mutandone e la pelle raggrinzita, la fata madrina fece apparire un calesse e un cocchiere.
Aurora con le lacrime che colavano sulle guancie, non si sentì di dire nulla. Avvilita salì sopra la carrozza. Le tre fate madrine si diedero la mano e sospirando sorrisero sotto i baffi … che non era tanto per dire!

Due giorni dopo. Epilogo.

Aurora avvinghiata al cuscino e chiusa a chiave, non ne voleva sapere di uscire dalla stanza. Sua madre bussava da ore . Ormai ci aveva perso le speranze. La sala era piena, la reale famiglia ospite era arrivata da un pezzo, ma lei faceva i capricci come una ragazzina. Veramente era dal ritorno dal viaggio per Marebello, che era strana. Triste e avvilita. Stranamente aveva mangiato pochissimo e aveva persino perso due chiletti.
Ma a Serafina si avvicinarono tre arzille vecchiette, abbronzatissime.
“Ci pensiamo noi alla nostra figlioccia!”
E apparendo dal nulla le fate madrine, spuntarono nella stanza di Aurora, con le braccia conserte e sguardo severo.
“Su su … non è così che ti abbiamo cresciuta. Esci da questa stanza , e affronta questa situazione!”
Fece la fata maggiore di tutte, che con un colpo di bacchetta fece sparire la vestaglia da dosso ad Aurora e le fece apparire un meraviglioso abito color oro e argento. E quei due chili in meno alla vita, si vedevano proprio.
Aurora si vide vestita e pettinata di incanto, magicamente … e guardò le madrine sentendosi in colpa.
“Scusatemi ma io non merito tutto questo. Io resterò sola … lo so. La fuori c’è uno spocchioso principe che appena mi vedrà, se la darà a gamba come quelli precedenti!”
Detto ciò si rituffò sul letto, singhiozzando più di prima. Perse il conto del tempo. Sentì borbottare le fate tra di loro.
Ma Aurora presa dal pianto non si accorse che nella stanza era entrato qualcuno. Qualcuno che odorava di arrosto, di stufato e spezie orientali buonissime. Ma scosse la testa, non poteva essere.
Ma sentì sedersi sul materasso un peso considerevole … credette che le molle del suo letto rinforzato, si sarebbero presto rotte. Si sentì accarezzata, sul braccio nudo, da una piuma piccola e soffice. Lei deglutì. Stava sicuramente sognando. E decise si girarsi e di godersi almeno quello della sua triste esistenza.
Si girò per vedere chi fosse seduto accanto a lei, e rimase senza parole.
Leggermente più magro e con gli occhi più brillanti del mondo, vide il volto che da giorni la stava tormentando.
“Tu?”
Gustavo le prese la mano e le poggiò la piuma nel palmo aperto. Le sorrise.
“Si … io. L’ho scoperto appena sono arrivato nel tuo palazzo. Ci sono tanti dipinti con il tuo bel volto!”
Lei deglutì sconvolta. Il cuore le stava uscendo dal petto. Lo osservò. Poteva mai essere lui il principe che doveva incontrare?
“Io ti ho mentito!”
“Anche io!” Lui le baciò la mano. Dal bacio più tenero del mondo, uscirono delle belle scintille colorate. Aurora sentì arrivare il sonno … ma cercò di resistere. La ragazza sentì che l’effetto collaterale dell’incantesimo era sparito per sempre. E vide le fate madrine che erano più emozionate di lei. Ora capiva il senso delle loro parole.
Lei si alzò, si sarebbe messa a dormire per una settimana, ma le stava succedendo una cosa meravigliosa. Senza mollarsi con lo sguardo, mano nella mano, i due innamorati reali, più felici che mai … andarono in contro al ricevimento, che attendeva solo loro due. Fine

26 Risposte a “L’insonne Aurora, e la piuma dell’amore”

  1. bello, voto questa fiaba. un po’ lunghetta però, per poco per finirla non me la facevo sotto.

  2. voto questo testo, è un divertente seguito pieno di ironia ma anche di tanto amore.

  3. Voto questo testo.
    Si sente la passione che Maruska ha per la scrittura, ad ogni singola parola, riga e capoverso!

    Complimenti Maruska, sei veramente una grande scrittrice con la S maiuscola!

  4. La bella addormentata é una storia bella e sdolcinata; appassionata che la sua vita di ragazza – bella e addormentata” riesce a preludere i suoi amori, romanticissima e deliziosa nel suo fare… Storia bella e interessante che si trascorre dentro questa breve favola un momento di pace e serenitá aleggiante.

  5. voto questo testo grand emix di romanticismo passione ed umorismo complimenti davvero

  6. Voto questo testo . Bella, divertente ed originale …. gli animi affini di attraggono sempre.

  7. Il romanticismo e la passione fanno parte della tua vita anzi sei tu così quindi anke le tue storie….. Complimenti tesorina

I commenti sono chiusi.