In un quieto mattino d’agosto di Luigi Bonzanini

Una roccia! Nonostante tutte le abominevoli iatture con le quali il destino beffardo si divertiva a vessarlo, Domenico Sangallo restava comunque saldo  ed inamovibile come una vetta alpina a sfidare le avversità. Benché provato da una cocente delusione amorosa egli, nel giro di pochi giorni, s’era già ripreso ed ora sognava impossibili rivincite in cui la donna che lo aveva respinto sostava per giorni e notti senza fine presso il portone della sua casa, esposta al freddo ed alla pioggia, aspettando vanamente che lui le manifestasse in minimo cenno d’affetto. Purtroppo gli Dèi non amano le persone colleriche e rancorose per quanto ben fondato sia il loro risentimento, o forse non amavano Sangallo in particolare. Perduto nelle sue fantasie di rivalsa, egli non s’accorse affatto che la sua casa s’andava rapidamente popolando di entità maligne pronte a colpirlo.

Svegliandosi in una limpida mattina d’agosto dopo una notte di sogni assai tetri Sangallo, ignaro più che mai della malevolenza divina, si scaraventò letteralmente fuori dal letto con un grido ingenuamente ottimista:

” Evviva il mondo! Evviva la vita, purché la pasta sia ben condita!… “

Tese l’orecchio per sentire se qualche uccello canterino dalla strada fosse disposto a fargli eco con un trillo melodioso, ma intese soltanto il lancinante suono di un clacson subito seguito da una sgommata isterica e da un sinistro cozzo misto al rumore di vetri infranti.

Evidentemente gli uccelli non ne volevano sapere di condividere il suo slancio ottimista. Pazienza, nella vita si può benissimo essere festosi senza la loro collaborazione. Adesso si trattava di progettare qualcosa per giungere felicemente a sera. L’unico problema era che Sangallo non riusciva a farsi venire in mente niente di notevole per riempire quella tediosa giornata estiva. Provò a concentrarsi fissando intensamente la propria immagine nello specchio e ripetendosi mentalmente:

Cogita, cogita o mio alto ingegno!…

L’unica idea che gli balenò fu che il frigo era vuoto e si trovava nella necessità impellente di riempirlo.

” Bene,” dichiarò ad alta voce; ” andrò a fare spese! “

Si mise subito alla ricerca di carta e penna per stendere una lista accurata delle vettovaglie mancanti. Non s’avvide minimamente degli impercettibili bisbigli che cominciavano a propagarsi negli angoli in penombra della sua stanza da letto. In realtà, i demoni malevoli cominciavano proprio  in quel momento la loro opera devastatrice. Sangallo trovò una penna a sfera ed un blocco d’appunti; staccò un foglio e prese a scriverci sopra. Dovette subito arrestarsi perché la penna non funzionava. Un po’ seccato, si recò in cucina a cercare un mozzicone di matita che teneva abitualmente sul ripiano della credenza. Non lo trovò e, vagamente inquieto, prese a rovistare in tutti i cassetti e negli angoli più remoti. Non trovò nulla che assomigliasse neanche vagamente ad una matita. Certo, era un contrattempo tedioso, ma Sangallo era ben deciso a non cedere al disappunto e dunque, di buona lena, tornò nella stanza da letto a cercare la matita o qualche altro accidente utile a scrivere. In camera, scoprì con un moto di sgomento che il blocco d’appunti era sparito dal tavolo sul quale l’aveva posato. Rimase per un attimo perplesso, poi dedusse che doveva averlo portato con sé in cucina e tornò sui suoi passi. In cucina non c’era nulla e, quando ritornò in camera era sparita dal tavolo anche la penna a sfera.

Sangallo prese a tirar moccoli sottovoce, maledicendo la sua inguaribile distrazione. Cercò ancora per tutta la stanza, sotto il letto, dietro la poltrona ma tutti quei banali oggetti di cui necessitava sembravano di colpo essere svaniti nel nulla.

” Non importa! ” dichiarò sempre ad alta voce; ” la mia ferrea memoria supplirà a tutto! “

Mentalmente, prese ad elencare le cose che doveva comprare:

Il sale, il caffè, la pasta, una penna nuova, un quaderno, una bistecca, quattro carciofi…

Entrò nel bagno per darsi una rinfrescata. La penna, ed il blocco d’appunti col foglio staccato stavano lì, posati in bella mostra sul bordo del lavandino.

Porcaccia Mariana, ma guarda cosa ti fa fare la distrazione!… Basta, basta! Meglio uscire!

Si decise a vestirsi e quando ebbe finito s’infilò le scarpe. Mentre se le allacciava, una stringa dispettosa si spezzò di netto restandogli penzolante fra le dita. Inutile dire che Sangallo non aveva in casa alcuna stringa di ricambio. Cominciò ad imprecare a voce alta. Adesso gli sarebbe toccato d’uscire in strada con una scarpa slacciata e tutti i passanti si sarebbero voltati a guardarlo ridacchiando, scambiandolo magari per un morto di fame che non poteva comprarsi neanche le stringhe delle scarpe. Provò vanamente a cercare un gomitolo di spago per supplire a quella noiosa iattura, ma lo spago era misteriosamente svanito, forse trasferito da invisibili mani nel Mondo della Luna dove si dice finiscano tutti gli oggetti smarriti. Decisamente contrariato, si  rassegnò ad uscire con la scarpa slacciata, sbattendo con stizza la porta d’ingresso.

Manco a farlo apposta, appena in strada si trovò ad incrociare una giovane gobba dal naso adunco che, dopo averlo scrutato con uno sguardo malevolo, sbottò a sghignazzargli in faccia.

” Ma come si permette?!… ” strillò Domenico, livido di rabbia.

” Hai la bottega aperta!…” sentenziò la gobba con una vocetta querula, e schizzò via come una lepre. Inorridito, Sangallo abbassò lo sguardo per verificare,  e la cruda realtà del suo stato gli balzò agli occhi: per la smania d’uscire, aveva dimenticato d’abbottonarsi i pantaloni. Stravolto dalla vergogna, s’appoggiò ad un lampione e prese a mugugnare maledizioni contro tutto il mondo. Terminata la sequela di vituperi, volle rimettersi in moto ma, scostandosi dal lampione, percepì una strana resistenza al livello della schiena. Si girò di scatto e solo in quel momento s’avvide d’un biglietto appiccicato al lampione. Il foglio recava una scritta minuta, soltanto due parole, ma letali come pugnalate: VERNICE FRESCA.

Ma bene! Proprio il massimo della fortuna! Si tolse la giacca frenando a stento la rabbia che lo rendeva quasi cianotico e vide lo scempio di una larga striscia di appiccicosa vernice verde che ne sconciava grottescamente il dorso. Senza neanche rendersene conto, prese a sbraitare:

” Ottimo, ottimo!… Meglio di così non potrebbe andare!… Ma io non mi spavento mica per così poco!… Ho deciso d’andare a far spese e ci andrò comunque! … Porco qua e porco là!… “

Si rimise la giacca e, in spregio alla malasorte, decise che non valeva neanche la pena di riabbottonarsi i  calzoni. In quelle precarie condizioni s’avviò verso il negozio di alimentari, mentre la collera malcelata lo induceva a marciare con un piglio militaresco molto simile al mussoliniano passo dell’oca.

Proprio come aveva temuto, i passanti si voltavano perplessi a scrutarlo; alcuni ridacchiavano, altri proferivano commenti caustici. Imperterrito, anche se interiormente saturo di livore, Sangallo continuò nella sua marcia da granatiere verso il negozio di alimentari scandendo il ritmo ad alta voce  per non perdere l’andatura. Dopo una folle camminata di circa ventina di minuti svoltò un angolo e si ritrovò dinnanzi all’ingresso del negozio. Il grido di trionfo che stava per sgorgargli dal petto si mutò di colpo in un lamento strozzato; sulla porta d’ingresso scorse infatti un cartello con una scritta inequivocabile:

Chiuso per ferie fino al 30 agosto

Cosa poteva fare? Con chi se la poteva prendere? L’unica soluzione che gli saltò in mente fu di mettersi a ballonzolare in tondo biascicando imprecazioni intercalate da grugniti e levando al contempo i pugni serrati contro il cielo indifferente. Quasi subito gli si formò attorno un crocchio di passanti incuriositi che restarono a fissarlo per qualche minuto mentre lui si esibiva in quella sua curiosa danza guerresca. Alla fine, quando Sangallo ormai esausto s’accasciò a terra, gli astanti proruppero in un prolungato applauso e vi furono anche pressanti richieste di replica per l’insolita esibizione. Ma Domenico, prostrato dallo sforzo e madido di sudore, rimase disteso di traverso in mezzo al marciapiede senza più dare segno di vita. D’un tratto, fra la calca si fece avanti un tracagnotto dall’aria trucida, si chinò su Sangallo e, forse credendolo svenuto, prese a schiaffeggiarlo ripetutamente su entrambe le guance urlandogli al contempo nelle orecchie:

“ E svegliati per Dio!… Tirati su, rimbambito!… Non vedi che blocchi il traffico!… ”

Domenico sbarrò gli occhi di colpo, giusto in tempo per beccarsi l’ ennesimo ceffone, ma la sua innata dignità gli impedì di lamentarsi sotto quella girandola di sganassoni. Muto ed impassibile, restò immoto a subire quell’insensata violenza senza che un muscolo del suo corpo si muovesse per manifestare il suo disagio. Alla fine l’energumeno, ormai annoiato dalla mancanza di reazioni, si levò in piedi e, dopo aver rifilato a Sangallo un’ultima pedata, s’allontanò sbraitando:

“ Al manicomio!… Certa gente bisognerebbe  rinchiuderla al manicomio!… ”

Finito lo spettacolo, la folla si diradò lentamente lasciando il disgraziato disteso supino sul marciapiede. Sangallo, respirando a fatica e con la vista appannata, trovò comunque la forza di biascicare una frase:

“ Datemi una sigaretta!… Ho bisogno di fumare per rilassarmi!… ”

Purtroppo, ormai nessuno badava più a lui. Terminata la crudele esibizione, la gente gli passava ora accanto senza degnarlo d’uno sguardo. Sangallo, con la faccia gonfia e le ossa dolenti si drizzò in piedi a fatica e con un gesto meccanico si frugò in tasca per prendere una sigaretta. La tasca era desolatamente vuota.

Mi sono scordato di comprarle!… Ma non è grave, posso provvedere immantinente!

S’avviò barcollando verso una tabaccheria che aveva scorto a pochi passi di distanza. Quando entrò nel negozio, la frescura dell’ambiente fu un balsamo  benefico per il suo povero corpo tanto provato.

S’appressò al banco e chiese:

“ Due pacchetti di Blagues senza filtro!… ”

Il giovane commesso lo scrutò con aria sfottente e rispose:

“ Fanno dodici euro e ottanta centesimi! ”

Sangallo si tastò la tasca posteriore dei pantaloni e strabuzzò gli occhi. Il suo labbro superiore si inarcò in una smorfia curiosa. Il commesso, spazientito, lo incalzò:

“ E allora?…”

“ Temo d’aver scordato a casa il portafoglio!… ”

Il giovanotto lo fissò con aria beffarda e sibilò fra i denti:

“ L’avevo capito! ”

Il disgraziato Domenico dovette sortire dal negozio più basito e mortificato che mai. Molto lentamente, a passi strascicati, rifece il tragitto che poco prima aveva percorso a passo di marcia fino a quando, in lontananza, scorse il portone della palazzina in cui abitava e che pareva invitarlo al riposo dopo tutte le tempeste che aveva attraversato. Quando finalmente fu dinnanzi al portone d’ingresso trasse un sospiro di sollievo ed il suo volto parve per un attimo rasserenarsi. Ma subito, come se una serpe velenosa l’avesse morso, il suo sguardo si fece vacuo, i tratti del viso si irrigidirono in un’ espressione d’orrore  e dalla strozza gli uscì una risata  diaccia ed isterica. Gli spiriti malevoli che presiedevano al suo ingrato destino avevano posto in atto il loro ultimo ed efferato scherzo: nella fretta spasmodica d’uscire, l’avevano indotto a dimenticare sul tavolo della cucina le chiavi di casa. Sangallo viveva da solo, ed ora s’era sbarrato l’uscio con le sue stesse mani.

 

31 luglio 2004