La svolta – tratto da: Voglio andare all’inferno di Irma Panova Maino

Accarezzavo la sua pelle morbida, notando come il sole giocasse sulla superficie, facendo risaltare le gocce di sudore.
“Sei felice?” Nel momento stesso in cui posi quella domanda mi resi conto dell’assurdità del quesito. Tuttavia la sua risposta mi stupì.
“Come potrei non esserlo? Tu lo sei.” La sua constatazione mi lasciò a bocca aperta.
Come poteva sapere se ero felice o meno? Come poteva avere un’idea di ciò che soddisfaceva il mio bisogno di felicità, se non aveva memoria di quanto accadeva?
“Cosa ne sai tu? Come puoi sapere che cosa mi rende contento e cosa mi lascia insoddisfatto?”
“Sono qui. Questo non ti rende felice?” Mi scostai da lei palesemente imbarazzato ed inquieto. Lanciai un’occhiata alle lame che avevo già preparato sul comodino, sentendomi rassicurato dalla loro presenza. Se non fosse stato per loro, quella conversazione avrebbe potuto sussistere fra due amanti comuni.
Tuttavia non vi era nulla di comune fra me e lei.
Sirianna si alzò dal letto e mi venne vicino, la sua pelle nuda rifletté i raggi del sole, spandendo singolari riflessi tutt’intorno. Si accostò a me e mi circondò la vita, appoggiando la fronte alla mia schiena. La sentii sospirare.
“Che cosa t’inquieta?” Che cosa m’inquietava? Che cosa mi rendeva improvvisamente insofferente? Non sapevo cosa rispondere e tutta quella situazione mi pareva paradossale, assurda.
“Sono un assassino Sirianna. Ogni giorno faccio il tuo corpo a pezzi, te ne rendi conto? Ogni giorno ti uccido, t’ammazzo come un cane e tu ad ogni tramonto muori. Il giorno dopo ricomincio e tu non hai mai detto una parola in merito. Mai che ti sia lamentata, mai una volta che tu mi abbia pregato di fare qualcosa di diverso.” L’irritazione spuntava da ogni singola parola e francamente non capivo il motivo che mi faceva s entire così nervoso. Perché me la stavo prendendo con lei?
Lei si strinse ancora di più contro di me, potevo persino sentire il suo cuore battere attraverso il contatto fra la nostra pelle.
“Io non ho ricordi di quanto è accaduto ieri…” sussurrò contrita.
Non potevo vederla, ma il tono della sua voce mi dava l’idea dell’espressione addolorata che doveva avere. Mi sentii stranamente colpevole. E non tanto per quello che le avevo fatto, di cui non serbava memoria, quanto per il fatto che lei se ne sentisse addolorata.
“Ho inciso la tua pelle con il bisturi. Ho aperto un solco profondo dalla base della tua gola fino all’inguine e ho tenuto il tuo cuore fra le mie mani. Prima di recidere le vene, mi sono divertito a sentire le contrazioni sui miei palmi.”
“Hai fatto questo?”
Mi girai per affrontarla. Dovevo guardarla in viso. Dovevo capire che cosa pensasse.
Tuttavia il suo volto non lasciò trasparire l’orrore che avrebbe dovuto provare.
Perché non ne provava? Perché se ne stava lì a fissarmi fiduciosa? Fiducia per che cosa?
La presi per le spalle e la scossi. Possibile che non capiva?
“Ti ucciderò anche oggi! Lo capisci o no?” sbottai nei suoi confronti come se la sua arrendevolezza mi risultasse insopportabile. “Ti ucciderò così come ho fatto in tutti questi giorni! Dovresti andartene, tentare di scappare. Perché non cerchi di salvarti?”
Lei sgranò gli occhi. Finalmente una reazione.
“Salvarmi? Andarmene? NO! Questo non è possibile! Perché mi vuoi punire in questo modo? Che coso ho fatto per meritarmelo?”
Mi raggelò. Punirla se la mandavo via? Ma che razza di scherzo idiota era? Vidi le lacrime ballare ai bordi delle sue lunghe ciglia. Vidi i suoi occhi colmarsi di una sofferenza che nemmeno la peg-giore delle mie lame era riuscita a procurarle. E incredibilmente questo mi eccitò. Mi eccitò al punto da provocarmi un’erezione istantanea.
“Ti manderò via! Ecco che cosa farò!” rincarai la dose, solo per il gusto di vederla soffrire ancora. Scie argentee le solcarono il volto, raccogliendosi in gocce tremolanti sotto il mento. Sirianna piangeva.
L’idea di essere abbandonata le procurava un dolore intimo che non sarei stato in grado di spiegare. Tuttavia in quel frangente non mi soffermai a chiedermene la ragione, i miei sensi erano appena stati catturati da quell’improvviso risvolto della faccenda.
“Ti caccerò! Mi libererò di te. Definitivamente!”
“Ti prego…! Ti prego, non farmi questo!” Si aggrappò alle mie braccia disperata. Tentai di scostarle le mani, scoprendo quanto fosse forte la sua presa. Più di quanto mi sarei mai aspettato. Al punto che mi accolse la certezza, che semmai le fosse venuto in mente di ribellarsi alle mie attenzioni, avrei avuto il mio bel daffare per sottometterla.
Lottammo silenziosamente per qualche istante, ma alla fine riuscii a liberarmi, scostandola da me con una certa violenza.
“Cosa ci fai ancora qui? Vattene! Non ti voglio più!” Non parlavo sul serio, almeno non dal profondo di me stesso, tuttavia in quel momento mi resi conto che era esattamente quello che volevo. Per un giorno, per un solo giorno volevo sentirmi libero di non ammazzarla, di non trucidarla come al solito. Volevo provare l’ebbrezza di non sentirmi schiavo, del desiderio che mi coglieva ogni volta che notavo le sue vene azzurre scorrerle sotto la pelle. E con quel pensiero, ansimante, mi bloccai al centro della stanza, guardandola per la prima volta come se fosse stata un insetto.
“E’ questo il trucco?” Allargò le mani con aria disperata, scuotendo lentamente la testa.
“Quale trucco? Di cosa parli?”
“E’ questa la mia punizione? Mi tenete incatenato ai miei vizi, ai miei peccati, costringendomi ogni giorno a ripeterli? Ogni giorno uguale, da qui all’eternità?” Il dubbio aveva appena messo radici nel mio cervello, iniziando a roderlo dall’interno. Un dubbio mostruoso e terrificante. Ebbi finalmente paura. Paura della dannazione eterna.
Quando ero in vita, uccidere rappresentava la trasgressione, l’atto di libertà estrema.
Dal momento che mi era negato e che rappresentava il peggiore dei miei peccati, cedere alla tentazione assumeva un aspetto quasi mistico, dandomi la certezza di aver compiuto qualcosa che la maggior parte degli uomini non si sognava nemmeno. Ero potente, un Dio. Ma in quel momento mi sentii l’essere più miserabile della terra.
Dell’inferno. O dovunque fossi capitato realmente. Non ero più libero, non ero più in grado di compiere delle scelte dettate esclusivamente dal mio libero arbitrio. Ero legato e costretto in qualche modo a ripetere, giorno dopo giorno, la procedura che mi aveva portato fino a quel punto.
Mi sentii fregato! Fottuto!
Per la prima volta avvertii le sbarre di una prigione chiudersi intorno a me. Ma se questo era il piano, si sbagliavano di grosso! Non avrei ceduto, non mi sarei fatto intrappolare come un cretino; avevo ancora un cervello ed intendevo usarlo. Mi diressi come una furia verso la porta d’ingresso e la spalancai. Fuori la giornata era meravigliosa come sempre. Mai una goccia di pioggia, un temporale, un po’ di nebbia o foschia. Mai la neve, il freddo, il gelo. Provai nuovamente un moto di rabbia soffocarmi la ragione.
Tutto troppo perfetto. Troppo bucolico. Troppo ameno.
Dov’era il grigiore dell’inquinamento? Le bestemmie dei vicini di casa? L’odore della spazzatura? Dov’era l’umanità? Ero morto, per Dio! Morto e sepolto.
Tentai di varcare la soglia, ma non vi riuscii, non riuscii a muovere un passo oltre la porta di casa, rimanendo con il piede sospeso fra le mattonelle dell’anticamera e la parte ricoperta in legno della veranda. Rimasi lì come un idiota, sentendomi un idiota, avendo la certezza di essere stato appena fottuto per bene.
“Dove vai? Non puoi andartene in questo modo. Non puoi circolare liberamente con questo stato d’animo.” La voce di lei alle mie spalle mi ricordò la sua presenza.
Una presenza che in quell’attimo mi ricordò tutta la mia frustrazione, tutta la mia rabbia.
Mi voltai di scatto a fronteggiarla, cedendo al mio impulso primordiale. Non ebbi modo di potermi avvalere delle lame che erano rimaste in camera da letto, ma lo scempio che feci del suo corpo fu piuttosto notevole, anche a mani nude.
Fui crudele.
Mi comportai realmente come un pazzo, perdendo ogni lume, ogni consapevolezza.
Reagendo puramente d’istinto, abbracciai in pieno la mia indole violenta e sadica. Quel giorno la feci a pezzi come mai prima di allora. Le procurai una sofferenza tale, da indurmi a credere che questa volta non sarebbe più risorta, non avrebbe più avuto la capacità di rigenerarsi e tornare.
Per un momento, mentre le cavavo gli occhi, ebbi quasi la sensazione d’intravedere un bagliore bluastro sulla sua pelle, come se il meccanismo che le permetteva di apparire ai miei occhi come un essere umano, fosse improvvisamente venuto a mancare. Parti di lei finirono ovunque e nel delirio della mia follia, forse qualcosa me lo sono anche inghiottito. Mi addormentai disteso sui rimasugli ricavati dal suo corpo, immerso in una pozza di sangue ancora caldo.