Il Pozzo delle anime di Luigi Bonzanini

Guardavo il cielo scuro attraverso i vetri della finestra e speravo che l’alba fosse vicina. In realtà l’alba è sempre lontana anni luce per chi, come me, non riesce a dormire in pace. Così mi sono rimesso a letto e sono rimasto solo nel buio a fare i conti con me stesso. Ovviamente i conti non tornano mai. Devo essermi addormentato, ma il mio era un sonno estremamente inquieto; attorno al mio letto percepivo un continuo tramestio; in principio mi sono illuso che fosse il gatto affamato che veniva a reclamare la sua cena, ma poi ho capito che erano tornati gli spettri. Per non vederli tenevo gli occhi serrati ma, anche con le palpebre chiuse, potevo distinguere vagamente ciò che accadeva nella penombra.
Mia madre fluttuava silenziosa sopra di me e mi fissava con occhi ostili; evidentemente, la mia indipendenza attuale la indisponeva. Ho cercato di raggiungere con le mani la lampada elettrica sopra la mia testa, ma quella non voleva saperne di accendersi. Alla fine mia madre è sparita senza dire una parola ed è apparsa la vecchia zia: sembrava più grigia e scheletrica del solito: forse anche i morti soffrono come noi e si consumano con le loro ossessioni. La zia si è avvicinata al mio capezzale ed ha infilato un pacchetto di dolci sotto il mio cuscino, poi ha sussurrato qualcosa come:
“ Ricordati di darne anche agli altri! ”
Quali altri? ho pensato, di tutta la famiglia son rimasto solo io in questa casa cadente.
Lentamente, in un silenzio irreale, anche la zia si è allontanata. Ora la luce funzionava; in preda all’agitazione mi sono vestito in fretta e sono uscito. Sopra i tetti, una luna tonda e giallastra illuminava le strade scure e deserte. Senza una meta precisa, mi sono avviato verso il fiume. Camminando, rimuginavo: una città di gente gretta ed inerte: gli unici che hanno vita facile qui sono i vigili urbani che sguazzano nel traffico caotico. Sul lungofiume c’è una vecchia casamatta austriaca dove anni fa dei drogati vagabondi sono stati bruciati vivi: non si è mai saputo chi sia stato a spargere la benzina e ad appiccare il fuoco mentre quelli dormivano perduti nei loro sogni intossicati. Comunque, il mattino successivo quel cumulo di ossa carbonizzate non era precisamente un bello spettacolo e dal tugurio si levava un lezzo infernale di carne bruciata. Uno soltanto aveva evitato il rogo gettandosi dal bastione nel fiume sottostante, ma s’era spezzato le gambe e la testa sull’argine.
Ho proseguito lentamente fino al Pozzo delle Anime: soltanto una vecchia cisterna vuota dalla quale, in certe notti di plenilunio, si odono uscire gemiti soffocati. Ho sporto la testa oltre il bordo: nella pallida luce lunare ho intravisto una miriade di mani spettrali che si tendevano verso di me. Ne ho afferrata una a caso ed ho preso a tirare; quello che è uscito fuori era incredibilmente leggero anche per le mie scarse forze. Un giovane pallido come il marmo, vestito alla moda del secolo passato: giacca nera e stiracchiata, colletto rigido di una camicia che molti anni addietro doveva essere stata bianca, pantaloni attillati grigi e scarpe con le ghette. Aveva l’espressione spaesata di chi si desta da un sogno, labbra sottili e grandi occhi foschi; l’unico difetto: orecchie troppo larghe ed un sorriso forzato che gli deformava l’espressione del viso altrimenti intelligente. Cominciò a parlare con un certo imbarazzo: disse che veniva addirittura da Praga ma, prima del suo prematuro trapasso, era vissuto per due anni a Berlino. Ovviamente non si esprimeva nella mia lingua: biascicava uno tedesco piuttosto arcaico infarcito di espressioni tipicamente ebraiche. Capivo pochissimo di quello che raccontava, credo di avergli udito narrare che occulti passaggi sotterranei collegano tutti i cimiteri d’Europa al pozzo da cui l’avevo appena aiutato ad uscire. Era estasiato dalla luna piena, dall’aria umida di quella notte autunnale e dal corso placido del fiume che scorreva accanto a noi. Gli chiesi il suo nome, anche se già l’avevo immaginato. Mi rispose:
“ Ich bin Franz. Franz Kafka!… Lei è stato molto cortese a farmi uscire dal pozzo.”
“ E adesso che sei uscito, che hai intenzione di fare?
“ Dopo tanto buio, io vorrei rivedere il mondo!…”
“ Non so se è una buona idea: è peggiorato parecchio dai tuoi tempi. Lo sai che c’è stata una guerra, i campi di sterminio per tutti quelli come te; sei milioni di ebrei uccisi? “
“ Ho sentito raccontare qualcosa di simile dalle mie sorelle. Quello che più mi dispiace è che la mia biblioteca sia stata saccheggiata. D’altronde ciò che scrivevo valeva assai poco. Ho incaricato il mio amico Brod di bruciare tutto. “
“ Per fortuna non l’ha fatto. Pare che tu goda ancora d’una certa fama. “
“Questo davvero non è possibile! Tutto quello che ho scritto era così… grausig!… Come si dice?… Lugubre! La mia vita non è stata facile, soprattutto a causa di mio padre. Avrebbe voluto che fossi più pratico. Una moglie, una famiglia, una casa degna di lui!…”
“ Non sei il solo ad avere questi problemi. Per qualche infernale motivo, fra genitori e figli non è mai stata possibile alcuna intesa. “
“ Neanche lei ha famiglia?…”
Dal suo tono si capiva l’imbarazzo di chi teme di fare una domanda indiscreta.
“ Io, ormai, mi intendo solo con i morti e col mio gatto. Per il resto del mondo non esisto. “
“ Lei è un artista?…”
“ Scrivo musica, ma non interessa a nessuno. Per il resto, sono messo peggio di te: tu almeno a quarantadue anni hai finito di penare. Io sono più vecchio e senza futuro. I miei lavori sono come strani fiori sbocciati in mezzo al deserto; probabilmente moriranno con me. “
“ Se lei è d’accordo, io sarei molto interessato ad ascoltare la sua musica!…”
Piuttosto sorpreso, lo fissai diritto in quel suo viso magro e cinereo.
“ E perché mai? “
“ Lei mi ha tratto dal pozzo.”
“ Comincio a chiedermi se ho fatto bene. “
“ Mi ha concesso una nuova opportunità. Consenta che le restituisca il favore.”
Per un po’ continuammo a camminare in silenzio, piuttosto a disagio entrambi. Alla fine gli dissi:
“Non credo che ti troveresti bene nel mondo moderno. Io ci sopravvivo da una vita e ti assicuro che fa abbastanza schifo.”
Finalmente, ad oriente il cielo cominciava a schiarire: s’annunciava un altro mattino grigio e piovoso. Camminando eravamo giunti all’imbocco del vecchio ponte romano. Che idea, diventare amico d’un fantasma. Certo, si trattava d’un tipo famoso, ma ormai defunto da decenni. Chissà come avrebbe reagito il mio gatto nel vederlo! Ma perché no? In fondo meglio con Kafka che solo come un cane. Con un mezzo sospiro gli dissi:
“ Andiamo, casa mia non è lontana.”