Capitolo 8 – Reazioni – tratto da “Il peccato di Rennahel” di Irma Panova Maino

“Che ci fai qui?”
La voce alle spalle la fece girare di scatto e il predatore, che era in lei, la portò ad assumere automaticamente un atteggiamento offensivo. Gli artigli si allungarono velocemente sostituendo le unghie e le zanne che, fino a quel momento lunghe quel tanto che bastava per arrivare a punzecchiarle il labbro inferiore, improvvisamente si allungarono di un altro centimetro, inspessendosi come per poter affrontare un impatto più violento.
Soffiò istintivamente accucciandosi leggermente e, contraendo i muscoli, fu pronta ad aggredire o a difendersi da un assalto. Una postura totalmente differente da quella che doveva aver avuto nel vicolo, dal momento che in quell’occasione non si era proprio difesa.E il solo pensiero che era stata pronta a saltare alla gola dell’uomo apparso sulla soglia, pronta a squarciargli la giugulare, strappando tendini e lembi di carne, la fece raddrizzare raggelandosi.
Ogni velleità bellica sparì dalla postura lasciandola immobile e barcollante al centro della stanza.
Dio! Aveva fame!
Solo questo.
Vide l’uomo socchiudere gli occhi diffidente e squadrare la sua nudità, seguendo il percorso del lenzuolo che si afflosciava svolazzando sul parquet. Tuttavia non si sentiva esposta, non avvertiva più l’impellente esigenza di dover soddisfare una sorta di pudicizia. Aveva fame.
Questo era l’unico pensiero che s’ingigantiva, ad ogni scorrere di secondo, nella sua mente. Un pensiero che assorbiva ogni altro concetto logico, qualsiasi altra considerazione opportuna. Il bisogno primordiale prese il sopravvento su qualsiasi altro percorso mentale, diventando l’unico aspetto primario e fondamentale.
Fame…
Non era in grado di pensare ad altro.
Le capacità cognitive della propria massa grigia si richiusero su se stesse, lasciando che fosse il puro istinto predatorio a prendere le redini dell’aspetto motorio del corpo.
Si mosse verso di lui senza nemmeno rendersene conto e il fatto di vedergli fare un passo indietro, la portò istintivamente a passarsi la lingua sulle labbra gonfie, inclinando leggermente il capo di lato in un’espressione provocante, quasi beffarda.
“Ren…?”
Lo chiamò con una voce falsamente dolce e gentile, imprimendo nel suono quell’acuto e disperato bisogno che aveva di lui. Una necessità che scaturiva dalle viscere e che le scaldava il ventre.
Siria non si rendeva davvero conto di quello che stava facendo, non capiva fino a che punto la malia del vampiro scaturisse da lei e con quale potenza colpiva i sensi dell’uomo.
Lo vide vacillare, come se una spinta lo avesse portato a spostarsi, ma i piedi, incollati al pavimento, gli avessero impedito di compiere quell’ennesimo passo all’indietro.
Lo vide in affanno.
Il torace che si muoveva rapido sotto la camicia di seta, gonfiandogli i polmoni alla ricerca di un’aria che sembrava venire a mancare ad ogni passo che lei compiva verso di lui. Ogni muscolo si tese, irrigidendosi sotto la stoffa lucida e i pugni si serrarono decisi, come se fossero stati pronti a colpirla.
“Ren.”
Lo chiamò ancora, più decisa, più accattivante e lui barcollò facendo un passo sofferto in avanti
Poi un altro e un altro ancora. Strisciando i piedi sul pavimento, costretto a spostarsi contro la sua volontà e contro tutto ciò che lo avrebbe portato invece ad allontanarsi.
Non voleva venirle vicino, la ferocia nel suo sguardo era lampante.
Le iridi, scuritesi dall’ira, l’ammonivano a non proseguire oltre, a non portare a termine la malia, a non lasciare che l’istinto predatorio prendesse il sopravvento, per non provocare in lui una reazione violenta.
Avrebbe reagito. Siria ne era più che consapevole. Sapeva istintivamente che non le avrebbe lasciato fare ciò che il suo corpo agognava disperatamente.
Non si sarebbe lasciato mordere senza lottare. E quella presa che aveva ancora su di lui, andò lentamente sfaldandosi sotto l’impatto della sua rabbia di uomo.
Gli vide allungare le mani e afferrarla saldamente per le spalle e, con un gesto secco, respingerla.