18 luglio 1972 di Renata Morbidelli

18 luglio 1972

Erano le nove di sera del 17 luglio del 1972 ed ancora, dopo ben sei ore di ricovero ospedaliero la piccola creatura che la signora Margherita portava in grembo non accennava a voler uscire. I medici della clinica di Ancona avevano detto al dottor Martinelli, suo marito, di tornare a casa perché erano certi che, a meno di un improvviso cambiamento, non sarebbe accaduto nulla prima della mattina seguente. Giuliano, benché desiderasse stare accanto a sua moglie per confortarla in ogni evenienza, cedette alla stanchezza e decise di obbedire al consiglio dei suoi colleghi. Anche se non fosse riuscito ad addormentarsi, a causa della preoccupazione e dell’emozione, aveva decisamente bisogno di una doccia rinfrescante e di mettersi qualche ora in relax, magari guardando un po’ di televisione. Erano mesi che quasi non l’accendeva più se non quella mezzora per guardare il telegiornale: la sua professione, il terremoto che da mesi scuoteva gli edifici e gli animi degli anconetani e la gravidanza di sua moglie gli lasciavano poco tempo libero per godersi almeno un paio d’ore per guardare un film. Prese il giornale per leggere quali fossero i programmi della serata. La sua scelta cadde su “Spartacus”che, anche se era iniziato da circa un’ora, lo aveva già visto e rivisto e, comunque, gli piaceva sempre molto. Si alzò dal divano e accese il televisore premendo il tasto posto in basso a destra del monitor. Con il telecomando, si sintonizzò su RAI 2 e iniziò a godersi la visione del film, mentre dal frigo, nonostante non fosse uno dei suoi cibi preferiti, estrasse una mozzarella e la condì con un po’ di sale, pepe, olio e vi aggiunse dei fagioli. Non s’era mai cimentato ai fornelli e non aveva certo intenzione di iniziare in quel momento rischiando di far scoppiare un incendio in cucina. Seduto sul divano della sala si mangiò la cena che si era preparato da solo. Per evitare di sporcarsi e di imbrattare il divano, cosa che sua moglie non gli avrebbe di certo fatto passare liscia, indossò un grembiule a mo’ di tovagliolo. Così sistemato era pronto per affrontare la serata. Mentre le immagini del film scorrevano sullo schermo, Giuliano, armato di cucchiaio, mangiava mozzarella e fagioli direttamente dalla ciotola. Proprio pochi minuti prima della fine della pellicola, il dottor Martinelli, sfinito dal caldo e dalle emozioni della giornata, con il telecomando in mano, cedette a Morfeo e si addormentò così com’era. Alle tre di notte venne svegliato di soprassalto dallo squillo del telefono. Ancora assonnato e confuso, si alzò di scatto, rovesciando la ciotola sul tappeto, e andò a rispondere. “Pronto?” disse con voce impastata. “O..nto, sono il …ttor …” furono le uniche parole che gli giunsero dall’altra parte del cavo. Un boato seguito da una forte scossa gli impedirono di captare altro. Riconoscendo la voce del collega, ricompose immediatamente il numero della clinica, ma niente. Il telefono era completamente muto: nemmeno squillava. Barcollando, per via del sonno e del terremoto, si affacciò alla finestra: i palazzi oscillavano a destra e sinistra come se fossero di gelatina. “Porca miseria – pensò – ci mancava solo un’altra scossa!”. Seppur in preda all’agitazione, decise di recarsi di persona verso l’ospedale. Non poteva restare a casa a tormentarsi: doveva assolutamente raggiungere sua moglie, sapere come stava e rassicurarla. Mentre era al volante mille domande affollarono la sua mente: perché l’ospedale aveva chiamato proprio a quell’ora? Cosa era accaduto a sua moglie? Stava bene? E la piccola vita che portava in grembo? Il terremoto aveva causato dei danni alla struttura? Avevano dovuto operarla d’urgenza? Con queste domande che gli rimbalzavano tra mente, cuore e stomaco, Giuliano quasi volava lungo la “nazionale” e per le vie di Ancona evitando pezzi di cornicione che cadevano dai tetti delle case. Raggiunse la clinica in poco più di dieci minuti, entrò dal portone come una saetta e salì i gradini fino al terzo piano due a due. Spalancò la porta della stanza dove era ricoverata sua moglie come un tornado: vuota. Il respiro divenne affannoso e le pulsazioni aumentarono. Tutto intorno a lui iniziò a girare e dovette reggersi allo stipite della porta mentre, con voce tremante, chiese alla prima infermiera che incontrò: “Dov’è la signora Martinelli?”. La donna, che fortunatamente aveva appena trasportato sua mogli in sala parto, con tono pacato, tentando di rassicurarlo, gli indicò la strada. “Ma non può entrare!” Esclamò “Ci sono delle complicazioni nel parto c’è …”. Ma Giuliano ormai non sentiva più nulla: voleva solo vedere sua moglie. Il pianto di una nuova vita venuta al mondo sciolse ogni tensione. Noncurante di ciò che gli aveva detto l’infermiera, entrò. Un medico stringeva fra le braccia un fagottino minuscolo. “Ecco Claudia, sua figlia. Aveva due giri di cordone attorno al collo ed un nodo completo, ma alla fine è nata!” Il miracolo della vita si era compiuto ancora una volta.

18 Risposte a “18 luglio 1972 di Renata Morbidelli”

  1. Voto questo questo testo, emozionantissimo conoscendo l’autrice!

  2. Voto questo testo. Il miracolo della vita in questo mondo a volte così ingiusto è l’essenza di tutto

  3. Voto questo testo.
    Fa sempre breccia nel cuore il miracolo della vita, in questo caso ancor più commovente abbinato al trauma del terremoto. Bravissima Renata.

  4. Voto questo testo. Liberamente tratto da un sorprendente e meraviglioso romanzo già scritto che è la vita reale.

  5. bello, al di là del telecomando e dell’eventuale esistenza dei film o meno, io voto!

  6. In effetti il telecomando nel 72 non c’era. Ho avuto qualche dubbio anche sul fatto che trasmettessero i film su RAI “, però…questo non lo ricordo bene.
    Comunque brava
    . Lo Voto

  7. Voto questo testo. Mi è sembrato di vederlo, un dubbio: il telecomando!

  8. Voto questo testo. Il miracolo della vita si compie sempre e comunque.

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