Tu quale stile vuoi stasera? di Francesco Gallo

Tu quale stile vuoi stasera?

Tema: romantico

Autore: Francesco Gallo

immagine tratta da burst.shopify.com
Se Dio tenesse chiusa nella sua mano destra
tutta la verità e nella sua sinistra il solo
impulso sempre vivo verso la verità, anche
con l’aggiunta che mi sarei costantemente
sbagliato ed eternamente, e mi dicesse:
«Scegli!», io cadrei umilmente alla Sua sinistra
e direi: «Dammi Padre! La pura verità è riservata
a Te solo». G.E.Lessing
 
Pioveva, già dal mattino. Senza fine. E il freddo, quando si apriva la porta d’ingresso, zelante, sembrava accompagnare quelli che entravano nel bar, finanche su al piano superiore. Diluviava senza tregua: il sole annegato in un cielo di piombo di qua l’uno e di là l’altro -chissà dove-, e la pioggia con le sue musiche. Quante musiche ha l’acqua: assordante nelle cascate, quieta nei giardini, silenziosa nei ghiacciai, inaudibile mentre vela i vetri alle finestre. E quella sera in città vi era davvero la coesistenza di una pluralità di musiche. Dal cielo, dai palazzi, dalle gronde, dagli alberi, dall’asfalto, dalle pozzanghere, con l’accento dell’avverso, del gentile, del compassionevole, del presto, del tardo, del benigno, del malvagio: così come un poeta accusò un cantore antico: “…porta via musica da dovunque: dalle puttanelle, dalle canzoni a vino di Meleto, dalle melodie carie per flauti, dai pianti funebri, dalle arie di danza…”. C’è proprio tutto stasera sotto questa coltre: mottetto, cantus firmus, madrigale, minuetto, rondò, jazz, baciata tango. Sonata senza forme, né variazioni, né tempi stabiliti. Imprevedibile, che sembra infinita. Una sinfonia irripetibile, un’unità senza schemi, pure una eccezionale unità di toni. Cosi assoluta che è impossibile non ascoltarla. Anche piacevole, sotto i porticati, in attesa che smetta.
 
«Devi dirmi la verità» aveva detto lei, scuotendo la testa all’improvviso «anche a proposito delle nostre vite». Ma mica parlavamo di quelle, stavamo parlando di libri; le nostre vite, in quel momento non c’entravano per niente, la verità poi! Continuava a piovere, ma forse è più per questo motivo che eravamo entrati in quel locale. Dentro, i lampadari a goccia risplendevano. Andammo su, e ci sedemmo a un tavolino, accanto a una finestra. Attraverso i vetri molati, proveniva, rilucente nel grigio della strada, un nitore verde. Guardai in basso e ritenni subito che sarebbe stato meglio che lei non scoprisse cos’era. Chissà perché, forse mi sembrava stonasse con quello che stavamo dicendo: sì, parole scostanti, che allontanavano. Lei mi parlava con calma, decisa: «…È qui che si squaderna ai nostri occhi, e proprio lì sono le soluzioni, basta aprire gli occhi e la vedi la verità…». Già, la verità!, per lei qualcosa di assoluto e immutabile: il vero e il falso, di qua l’uno di là l’altro, come il cielo e il sole in questo giorno di pioggia, sempre lì, lì come sempre… sì a Chissadove: la verità, amica mia, ascoltami, è nelle musiche dell’acqua, tu quale stile vuoi, stasera? da Chiesa, da Camera, da Teatro, da Discoteca?… è questo che io pensavo. E così a un certo punto m’accorsi che non l’ascoltavo più, o meglio (o peggio) trascuravo le sue parole. Attento però a scrutarla, con premura; speravo sempre che non guardasse fuori. No, non era proprio il caso. E non volevo che piangesse. Certo, avremmo dovuto alzarci, e finirla. Mancava il coraggio. Pedine in angolo, al gioco finale. Il cameriere si manteneva a una giusta distanza; era la signora, di fronte, la più interessata alla soluzione. Ci fissavamo negli occhi, con attenzione, lei infine si volse verso la finestra, io guardai il suo profilo, una piccola piega si era segnata sulla sua guancia, ed ebbi coscienza di quanto amassi quella donna. Si girò con aria interrogativa: «Di’…». «Sai che mi piacciono i tuoi tentativi di comprendere le cose, è così, stavolta hai tentato un mistero. Tu ascolta adesso questa musica, quella della pioggia di oggi, tanta acqua che sembra sfuggire a ogni logica, come le parole incomplete, le nostre parole di adesso, queste nostre povere parole, che intessiamo nel tentativo disperato di trovare qualcosa che pure sentiamo ma ci sfugge, e che sembrano ben accordarsi alle danze ambigue che spesso verità e falsità intrecciano fra loro. Noi, in attesa di un evento felice, anche piccolo, che interrompa almeno un poco la nostra angustia, questo affanno proprio dell’uomo». In quel momento ci fu uno scroscio più forte di pioggia, e lei si sporse verso la finestra, per guardare fuori, in basso, giù nella strada. Accostò il viso, con attenzione, il vetro si velò in un piccolo cerchio. Infine si volse. Entrambi sorridevamo: sull’asfalto lucido di pioggia si rifletteva l’insegna verde smeraldo del bar ROMA, come in uno specchio.
 
Sì, proprio come fa uno specchio.

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