Ne ho fatta di strada di Claudia Lo Blundo

Ne ho fatta di strada

Tema: La strada

Autore: Claudia Lo Blundo

immagine personale
Che serata umida! E fa freddo!
 
Questo fuocherello fa tante scintille! Ricordo che al mio paese s’incendiò una catapecchia di legno per colpa di una scintilla sfuggita da qualche ramo marcio.
 
No! Non devo pensare al mio paese se no, ricomincio a piangere per la nostalgia. Sono sempre dell’idea che non si debba mai pensare a ciò che appartiene al passato, anche se qualche ricordo carino mi piace conservarlo. Come quella volta che mi ero presa la cotta per un garzone. Mia zia se ne accorse mi diede uno schiaffo, mi chiamò sfacciata e mi proibì di rincontrare quel poco di buono perché io mi sarei diplomata.
 
Ricordo che quel ragazzo mi guardava con interesse. Quando ero ragazzina, mi lusingava cogliere quel tipo di sguardo perché non ne capivo il fine. Come non capivo perché mia zia me ne rimproverasse, quasi fosse colpa mia.
 
«Non essere sfacciata. Non dare confidenza» e finiva con: «È proprio vero! Il sangue non mente!» Avrebbe voluto darmi un messaggio negativo per ferirmi, più che per indurmi a non commettere errori.
 
Ecco non faccio che ricordare!
 
Sono cresciuta in orfanotrofio e solo da grande scoprii che mia madre era morta quando ero troppo piccola.
«Come è morta?»
«Così… si muore… un incidente, una banale caduta dalle scale e…»
E se ne era andata via per sempre! Di lei, come di mio padre, non avevo nulla: avrei potuto dire di essere venuta dal nulla!
 
In orfanotrofio aspettavamo sempre una mamma e un papà che ci avrebbero portato in un altro mondo, invece un giorno, avrò avuto dodici anni, mi si presenta una donna: grassa, vestita di nero, una crocchia nera sul capo, e con un grosso neo peloso, attaccato alla base della narice sinistra! Era mia zia: ‘sorella della tua povera mamma! Sarei andata a casa sua e si sarebbe presa cura di me.
 
Un giorno, dopo aver ripetuto “sangue non mente”, mi disse che mia madre era viva e si divertiva con uomini diversi. Ricevetti un pugno allo stomaco. Mia madre era viva! Gioia e poi dolore: non mi aveva voluta!
 
Sono grata alla zia per avermi fatta studiare con chi sa quali grandi sacrifici. Credo che si fosse presa l’impegno di insegnarmi a difendermi dalla sporcizia che esiste nel mondo, leggi: uomini!
 
L’ultimo giorno di scuola, nell’atrio della scuola giunse una coppia. Lei era alta, elegante, i capelli biondissimi, molto truccata; lui era un bel giovane, ben vestito. Una sera, mi trovavo in piazza con le amiche; da un coupé scese il giovane visto a scuola che si diresse verso il gruppo in cui mi trovavo. Mi disse di seguirlo, doveva parlarmi. 
«Di cosa?» ero preoccupata.
 
In macchina, dopo aver preso un gelato, mi carezzò la guancia più volte. Assicurò che avrebbe potuto trovarmi un lavoro adatto al mio titolo di studio; prima di lasciarmi mi diede un bacio sulla guancia. Non dissi nulla alla zia, intanto continuavo a vederlo nonostante non avessi voluto: diceva di amarmi ed era sempre più intraprendente. Mi diceva: «Vuoi lavorare? Vuoi guadagnare? Sei carina, diventerai ricca, famosa.» Non volle mai dirmi chi fosse la signora venuta con lui a scuola.
 
Una sera, disse di volermi sposare. Ero felice ma lui volle che gli dessi la prova d’amore, o meglio, se la prese, io non volevo: lo picchiavo, l’imploravo. Lui diceva che mi avrebbe sposata, avrei fatto la signora!
 
Non lo vidi più: ero disperata! Capii cosa avesse fatto mia madre della sua vita, lo capì anche la zia che mi portò da una donna che, oltre a me, devastò la vita di una creatura che avrebbe voluto una sorte diversa. Ormai ero diventata come una vecchia ciabatta, che nessuno avrebbe voluto: con queste parole la zia mi cacciò da casa.
 
Mi rifugiai dalla mammana. Conobbi, Sacha che mi promise un lavoro ma mi ritrovai incinta: un nuovo trauma mi fece sprofondare nel gradino più infimo della mia perduta moralità. Poi uno spiraglio: «Andiamo in Italia, lì lavorerai e ti troverai bene.»
 
Ha pensato a tutto lui, anche al passaporto che non ho: però io nascondo una carta d’identità del mio paese. Siamo partite in cinque, e lavoriamo qui: tutte!
 
Brrr che freddo!
 
Continuo a ricordare, ma forse sono sogni e questo dei figli è il sogno di Lisaveta o di un’altra…!
 
Sì, perché io, non volli abortire. A quel bambolotto, che era mio figlio, diedi il mio nome, non volevo andasse in adozione ma dovetti mandarlo in orfanotrofio. Non so dov’è. Chissà come sarà cresciuto, cosa farà, mi cerca?
 
Io nascondo parte dei soldi che ricevo, anche se Sacha mi picchia perché gli dico che i clienti mi pagano poco. Appena avrò un bel po’ di soldi scappo, torno al mio paese, vado a cercare mio figlio e ritorno qui; troverò un lavoro da badante, firmo il consenso per fare adottare mio figlio, qui troverò chi vorrà adottarlo, poi lo rapisco e andrò via con lui.
 
Che sciocca! Non ho sogni, né passato, né futuro!
 
La zia sosteneva che dovevo cercarmi un lavoro che mi avrebbe permesso di fare strada.
Sì, zia! Ne ho fatta tanta. Passeggio lungo questa via buia, dove uomini si fermano e donne sono obbligate a darsi per pochi soldi.
 
Forse aveva ragione la zia: il sangue non mente.
 
* * *
 
Talvolta mi soffermo a pensare con invidia alla zia e al suo grosso neo peloso vicino la narice sinistra!

3 Risposte a “Ne ho fatta di strada di Claudia Lo Blundo”

  1. Che dire come sempre Claudia sai trascinarci nella tua scrittura così leggera anche se tratta argomenti duri e alla fine si rimane in compagnia di una nuova persona e non personaggio Complimenti!

  2. Claudia, come al solito trascini nella storia e l’emozione cresce, mano a mano che il brano prosegue. Grande cure, grande e amara realtà del quotidiano vivere: la strada di troppe ragazze si somiglia. Bello davvero.

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