La vanità uccide di Laura Avella

La vanità uccide

Tema: thriller

Autore: Laura Avella

immagine tratta da Pixabay

Testo non in gara

La luce filtrava dalla portavetro e si riusciva a intravedere la sagoma di ogni oggetto all’interno dello studio fotografico di Luciano. Le voci in strada cominciavano a essere più concitate per il via vai delle persone incuriosite su cosa fosse accaduto. Intanto Salvo aveva da poco aperto le saracinesche del ristorante di specialità siciliane.
 
Alle prime luci dell’alba si era recato al mercato del pesce, perché un vero chef deve essere consapevole del cibo che serve ai propri clienti. Sin da ragazzo, quando aveva iniziato a lavorare come aiuto cuoco nel ristorante paterno, aveva sperato di ottenere un giorno una stella Michelin. Oggi era un giorno importante, tra tanti clienti aveva prenotato un rinomato artista e la sua affascinante moglie, benché sempre a dieta, amava la sua cucina e non disdegnava di fare tanti complimenti, portando nel locale una ventata di allegria con le sue argute battute.
 
Anche la vetrina di fronte era stata allestita di buon ora, la signora Marilù era arrivata molto presto dal giro delle serre e, come ogni mattina, tra uno sguardo allo specchio per sistemare i capelli e una passata di rossetto sulle labbra non più carnose, sperava di preservare la gioventù di un tempo, convinta che stare tra i fiori avrebbe giovato alla sua vita, migliorando l’umore e facendola apparire più bella. Non aveva ancora aperto l’edicola la vedova Gegè, da quando suo marito non c’era più, la puntualità non era una sua dote.
 
Sicuramente si era fermata con le sue amiche e con la sua cugina zitella tuttofare a prendere il caffè, accompagnato da un pasticcino, tutto il tempo necessario per “ordire” la cronaca locale, non prima di aver rimproverato gli astanti al bar che al suo passaggio l’avevano ignorata.
 
La folla davanti al laboratorio fotografico aumentava con l’arrivo dell’auto dei Carabinieri, dalla quale era scesa per prima una figura dinoccolata che si faceva strada tra la curiosità generale.
 
Intanto, anche la giovane signorina del primo piano dello stabile aveva abbassato vezzosamente le tendine e guardava tutta la scena e il giovanotto in divisa non le era indifferente.
 
A entrare nello studio fu il capitano dei Carabinieri, che avendo degli occhiali con i vetri a specchio e fumè, sembrava non vedere oltre il proprio naso. Aveva ricevuto una strana telefonata che aveva registrato e dalla quale cercava di capire cosa fosse successo dal rumore cupo e l’interruzione improvvisa della linea. La scena si presentava con un uomo riverso a terra e con i rullini distrutti che coprivano parte del corpo. Uscì per chiamare il subalterno perché avvisasse il medico legale e il magistrato.
 
Il dottore arrivò tutto trafelato poiché, per non tardare, aveva iniziato a correre dal parcheggio tenendo le mani sul cappello per non farlo volare a causa del forte vento, aveva affidato alla sua assistente, una donna minuta e strana, nota per camuffare i propri anni, la valigetta professionale e finalmente era arrivato sulla scena del crimine. Aveva costatato il decesso e attese il magistrato che stava arrivando a sirene spiegate con l’auto del Tribunale.
 
Antoinette era stata sua compagna di liceo e poi aveva perso di vista il suo amore inconfessato perché mentre lui si era iscritto alla facoltà di medicina e lei aveva preferito la carriera giuridica.
 
Il giudice con professionalità e arguzia entrò nel laboratorio e fece un giro per i locali, guardando con attenzione tutte le foto in bella mostra, anche quelle che sembravano scattate da poco e in attesa di far comparire l’immagine.
 
C’erano varie cose immortalate: pietanze in bella vista, una testa di donna con due maschere, un gruppo di vecchie signore che stringevano in mano un rosario, ma la loro immagine di riflesso proiettava figure con sembianze demoniache, una foto di un’altra donna che sembrava sentire cantare la sua voce, tanto era reale l’immagine.
 
Antoinette uscì dal laboratorio e vide volare nel cielo tanti palloncini colorati, oggi in città ci sarebbe stato uno spettacolo circense e “forse erano le prove tecniche di qualche artista” pensò. Intanto Salvo, Gegè e le amiche, Marilu’ e anche l’assistente del dottore sembravano terrorizzati e la bella signorina del primo piano aveva rialzato le tendine guardando in basso.
 
Il giudice fece un cenno con la testa al capitano che si avvicinò verso la fioraia.
Questa, per nulla intimidita, urlò a gran voce: “Non poteva farmi un torto, ho dovuto ucciderlo”.
La gente intorno rimase esterrefatta, un delitto quasi perfetto e senza motivo apparente senza arma.
 
Antoinette aveva notato che c’erano dei fiori freschi in un vasetto, uguali a quelli esposti nella vetrina, e tra le foto scattate da Luciano c’erano le vanità del genere umano, ognuno poteva avercela con lui, ma mancava la foto di Marilù, quella che la ritraeva con la sua vera età, e un petalo di fiore avvelenato era caduto tra i rullini quando la donna aveva cercato il negativo della foto.
 
La vanità fredda gioiva al pensiero di aver fatto un’altra vittima.
 

3 Risposte a “La vanità uccide di Laura Avella”

  1. Mi è piaciuto molto e ritengo tu debba proseguire nello scrivere gialli o thriller. Brava.

  2. Sorprendente ed affascinante lettura.
    Complimenti cara Laura, anche questo racconto sulla vanità mi ha sorpreso e piacevolmente entusiasmato, come quelli precedenti. Non vedo l ‘ora di poterne leggere altri.

  3. La vanità degli umani desideri, questo il racconto molto bello di Laura. A questa che definisco regola non c’è scampo, il destino dell’uomo resta doloroso. Affermava José Saramago: “Tutto è vanità, vanità è desiderare, possedere è vanità.”Complimenti vivissimi Laura.

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