La solitudine del girasole di Maena Delrio

La solitudine del girasole

Tema: 7 foto per 7 giorni – Beatrice Maccelli

«Che fai, piccola ape bottinatrice?» sussurrò il fresco vento di ponente all’insetto che sbatteva in fretta le ali, sotto il caldo sole di luglio «Ti brucerai le antenne, se continui a volare così velocemente!»

Lei non si diede pena di rispondere a quel refolo insolente. Continuò a guizzare per l’aria, ondeggiando, seguendo la scia di delicato profumo che l’attirava a sé, invitante. Il vento si stizzì e soffiò più forte, come a volerla dissuadere dal suo intento. Lei, imperterrita, tirò dritto, volando leggermente più in basso, tra i pedicelli verdi e l’erba medica.

D’improvviso un bagliore giallo, quasi accecante, la costrinse a rallentare. Era forse il fiore più grande che avesse mai conosciuto, e sì che ne aveva visti parecchi, nel suo zigzagare lungo la piana. Si fermò a osservarne lo stelo, descrivendo cerchi concentrici attorno al fusto imponente. Era ricoperto da una sottile peluria, simile a quella del suo addome ma meno fitta. Si ergeva dritto e fiero, superando in altezza i papaveri e i denti di leone. La sorpresa maggiore la ebbe quando arrivò in cima e si posò delicatamente sulla corolla. Intorno a lei una distesa infinita di piccolissimi fiori gialli disposti in modo concentrico inebriò i suoi sensi, e quasi perse l’equilibrio.

Non aveva mai conosciuto una gioia più grande! «Sono in paradiso, non sarò mica morta!?» pensò abbandonandosi tra i minuscoli petali.

«Attenta!» la redarguì una voce, e il gambo si mosse impercettibilmente, quel tanto che bastava per evitare che l’esserino giallo e nero ruzzolasse via.

«Chi è che ha parlato?» ronzò l’ape, ricominciando a battere le ali trasparenti e sollevandosi di qualche centimetro.

«Sono io» rispose la voce, «puoi tornare sul mio capolino se vuoi, non mi offendo mica.»

L’insetto improvvisò qualche giravolta nell’aria, poi tornò a posarsi sul bordo dentellato. «Come ti chiami?», domandò curiosa.

«Sono un girasole, non lo vedi?» e mentre pronunciava queste parole, il fiore si allungò più che poté per impressionare il suo ospite.

L’ape scosse la testa, incredula: «È la prima volta, per me.»

Il vento, che fino allora era rimasto a guardare, s’intromise nella conversazione, ridacchiando: «Sei proprio una sciocca! Si vede che non hai mai messo il pungiglione oltre la collina. Laggiù le distese di girasoli si perdono a vista d’occhio!»

L’insetto fece vibrare le antenne: «E come ci sei finito qui?»

«Mi ci ha portato lui» fece il fiore rivolto al vento di ponente, che per tutta risposta gli solleticò la lanugine del gambo. Il movimento sollevò una sottile polvere gialla e appiccicosa, e in breve tempo l’ape ne fu ricoperta.

«Ma stai qui tutto solo?» replicò scuotendosela di dosso, senza troppi risultati. Il girasole annuì. «E non ti mancano i tuoi simili?»

Il solo pensiero di dover vivere senza l’alveare rattristò l’ape a tal punto che le passò la fame: «Io non riesco a concepire un’esistenza priva delle mie compagne.» annunciò risoluta, cominciando a sentire nostalgia di casa. Quando si era allontanata, per seguire quel profumo mai sentito prima, non aveva avvertito nessuno. Era passata qualche ora, di certo le altre si erano accorte della sua assenza e la stavano cercando.

Il fiore intuì i suoi pensieri: «Non crucciarti, mia cara. Sai, in realtà io sono un fiore composto, non potrei mai sentirmi solo» e appena pronunciò queste parole i minuscoli petali dell’infiorescenza ondeggiarono nella calura, e un altro sbuffo leggero di polline si sollevò nell’aria. L’ape starnutì e quasi cadde giù, aggrappandosi con le zampe al margine di una foglia ruvida.

Il girasole rise. «Inoltre, fai caso al mio nome: Helianthus vuol dire fiore del sole» e indicò il disco d’oro che ormai aveva oltrepassato lo zenit e stava lentamente declinando verso l’orizzonte, oltre le colline. «Finché lui illumina la mia vita, non ho bisogno di nient’altro per essere felice.»

L’ape annuì. Non capiva fino in fondo quel discorso, ma il fiore era così entusiasta! Per un momento, provò una punta d’invidia per quella creatura strana, che provava tanta gioia nonostante non potesse volare e vivesse lontana dai suoi affetti. Mentre affondava la ligula nei calici per succhiare il dolcissimo nettare, immaginò di poter volare libera dalle regole della sua casa, dalla rigida disciplina. Sognò di svincolarsi per sempre dagli obblighi che l’essere un’ape bottinatrice comportava, e s’incupì quando si rese conto di non avere alcuna scelta.

Il vento di ponente era scomparso da un pezzo quando s’incamminò in direzione dell’alveare, gravida di dubbi e del peso del nettare che aveva raccolto. La sua caposquadra ne sarebbe stata soddisfatta. In fondo, era davvero capace di svolgere bene il suo lavoro. Ma tutto questo la rendeva felice?

Il sole scomparve nell’esatto momento in cui le sue zampe toccarono la superficie porosa della celletta. Il brusio tra le pareti indicava che anche le sue compagne erano rientrate dalla lunga giornata lavorativa. Scivolò lentamente nel sonno. E sognò di volare sopra immense distese di girasoli, che ridevano con le corolle rivolte al cielo.

Se vuoi tornare all’elenco dei testi, clicca Qui

E ora vota con il cuore

6 Risposte a “La solitudine del girasole di Maena Delrio”

  1. Le votazioni si sono chiuse lunedì 29/06/2020 alle ore 23.59. Vi ringraziamo per i voti e i commenti dati ai nostri autori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.