Il peso dell’immortalità di Antonella Di Leonardo sr

Il peso dell'immortalità

Tema: Quando cala il buio

Autore: Antonella Di Leonardo sr

Aspetto che il sole tramonti per poter uscire da questo loculo umido e maleodorante.

Ormai mi sta stretto e il tempo sembra infinito. Non riesco a dormire ormai da anni e il buio che un tempo amavo, è insopportabile. Infinito, odio questo termine. Persino il suo suono mi è diventato sgradevole.

Eppure un tempo l’immortalità mi eccitava e il calar della sera mi affascinava. Significava libertà. Libertà di uscire all’aria aperta, libertà di respirare aria fresca. Respirare. Per me è solo un modo di dire. Non respiro più da oltre 200 anni. Da quella sera di Maggio in cui travolto dai sensi entrai con Charlotte in quella casa convinto che avrei partecipato a una festa e dopo, chissà… dopo forse Charlotte mi si sarebbe concessa. Così aveva detto o almeno così avevo immaginato.

Quella festa non finì come avevo sperato. Quella notte partecipai ad un banchetto, ma come portata principale. I commensali si cibarono di me, del mio sangue, dopo aver dissanguato due giovani donne che lasciarono senza vita e senza pietà sul pavimento. Fu forse questo che mi salvò. Quando arrivò il mio turno erano quasi sazi e mi lasciarono in corpo quel poco sangue che mi permise di sopravvivere.

Salvezza e sopravvivenza in questo caso assumono un significato paradossale. Per me non ci fu più salvezza né vita, solo tenebre.

Fu Charlotte a trasformarmi e di questo ancora non capisco il motivo. Avrebbe potuto finirmi, togliermi quel poco di vita che mi restava e lasciare che il mio corpo si decomponesse insieme agli altri che ogni sera, finito il banchetto, venivano gettati nei sotterranei a marcire. Non posso nemmeno descrivere quel luogo. Forse l’Inferno è meno buio e fetido.

Dolore, il dolore più atroce ed indescrivibile che mai avessi provato fino ad allora, questa l’unica cosa che ricordo della trasformazione. Poi il dolore svanì e sopraggiunse la fame. Lo stomaco si contorceva e reclamava cibo. Per un attimo pensai che avrei potuto nutrirmi come prima, ma fu solo un momento.

Realizzai in fretta che se volevo placare quel tormento avrei dovuto uccidere. Chi mi avrebbe insegnato come fare? Charlotte era sparita, lasciandomi abbandonato a me stesso, appena la trasformazione aveva completato il suo corso.

Al calar della sera uscii, le strade erano ancora affollate di gente e non avrei potuto far nulla senza che qualcuno mi vedesse. Dovevo aspettare. Il mare era lì, a pochi passi. Mi sdraiai sulla sabbia umida e aspettai. Ben presto il silenzio prese il posto del vociare festoso di chi, dopo una giornata di lavoro, tornava a casa impaziente di abbracciare i propri cari, pregustando la cena che sapeva avrebbe trovato.

La cena. Questo pensiero mi riportò alla realtà e mi resi conto di non essere più solo. Non perché avessi sentito un rumore o visto un movimento. Fu un odore pungente, acre e allo stesso tempo dolciastro che solleticando le mie narici mi diede quella sensazione. L’olfatto era stato il primo dei miei sensi che si era sviluppato, seguito a stretto giro dagli altri.

C’era una ragazza davanti a me. Immobile scrutava il mare calmo che a brevi intervalli le lambiva i piedi nudi. Intuii le sue intenzioni un attimo prima che entrasse in acqua. In una frazione di secondo capii cosa fare. La raggiunsi quando l’acqua le arrivava alle ginocchia. Il resto non ve lo racconto. È fin troppo scontato. Non ebbi alcun rimorso, tanto voleva morire e aveva avuto la possibilità, morendo, di rendersi utile. È strano come sia facile creare giustificazioni al nostro comportamento. Un essere umano avrebbe cercato di salvarla. Io no, ma non ero più umano.

Da quel momento ogni notte girovagai per le strade ed i vicoli in cerca di potenziali suicidi. Ben presto sviluppai una particolare abilità a scovarli. Ogni volta ripetevo come un mantra la frase “Tanto volevano morire” e mi sentivo in pace. Fino a quando una sera accadde qualcosa di strano. Insieme al sangue della mia giovane vittima che entrava nello stomaco placando gli spasmi di un digiuno durato troppo a lungo, sentii nel cervello una vocina flebile che mi supplicava di non farlo, di fermarmi, ma era troppo tardi. Il suo corpo senza vita ormai giaceva ai miei piedi. Cosa era successo? Mi ero forse sbagliato? Avevo frainteso le intenzioni di quel giovane? Come era possibile?

Quello fu l’inizio della fine. Da allora non faccio altro che pensare a come porre rimedio al tormento. Ora lo so e questa notte metterò in atto il mio piano. Ho conosciuto una ragazza che col tempo mi si è affezionata. Non le ho mai detto chi sono, o meglio cosa sono, ma lo farò questa sera e le chiederò di porre fine al mio dolore.

Esco, attraverso le strade e i vicoli e arrivo al mare. Lei è già lì che mi aspetta. Mi sorride e mi corre incontro. Io stringo in mano il paletto che tengo nascosto dietro la schiena.

Mi abbraccia. La bacio. Tra poco sarà tutto finito.

9 Risposte a “Il peso dell’immortalità di Antonella Di Leonardo sr”

  1. In fondo il male è una scelta e dove una scelta non esiste è la coscienza che deve scegliere per il male, basta solo che ci sia… un bal racconto, intenso.

  2. Bello, ma terrificante. Ben descritto, il finale dà un aspetto più “umano” alla vicenda. Brava.

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