Il canto del viandante di Maena Delrio

Il canto del viandante

Tema: Quando cala il buio

Autore: Maena Delrio

L’uomo giunse infine alla radura. Si guardò intorno, spaesato. Il sentiero sembrava sempre lo stesso, eppure era cambiato qualcosa, ineluttabilmente. Nella luce del crepuscolo, gli parve che il letto di foglie sotto i suoi piedi fosse più spesso, come di una via abbandonata da tempo. Perfino i tronchi degli alberi apparivano più vecchi, le rughe che solcavano le cortecce più profonde e tormentate.

Si sedette su una pietra, vicino a un enorme pino dalla chioma tanto imponente e pesante che i rami carichi di aghi sfioravano quasi il terreno. Le mani affondarono nel muschio, percepì l’odore pungente della terra umida e dell’humus, e quello dolciastro e penetrante della resina.

Da bambino gli avevano insegnato che, quando ci si perde nel bosco, bisogna fermarsi e aspettare. Prima o poi qualcuno sarebbe venuto a cercarlo. Ma chi? Non aveva mai dovuto mettere in pratica quel consiglio, perché il bosco non aveva mai avuto segreti per lui, fino a quel momento. E allora, perché? Perché sentiva di aver smarrito la via? Perché la paura stava prendendo il posto delle sue sicurezze, perché la luce del tramonto era diventata il preludio al terrore del buio, quando fino a poco tempo prima era la commozione il sentimento predominante, di fronte alla prima stella?

L’uomo chiuse gli occhi, cercando di ignorare il battito del suo cuore stanco che accellerava a ogni respiro. Smise di cercare una fuga, di arrovellarsi su dove avesse sbagliato, per essere giunto in quel luogo tanto intimo e allo stesso tempo sconosciuto. Il verso di un gufo si perse nella selva. Riconobbe il canto del viandante nel frusciare delle fronde mosse dal vento, la nenia che l’aveva accompagnato nelle fasi della vita: il soffio leggero dell’infanzia spensierata; l’impeto combattivo e forte del maestrale che aveva animato il suo spirito in gioventù; il libeccio caldo e accogliente della maturità. E, infine, gli parve di udire lo zefiro freddo della vecchiaia.

Quando riaprì gli occhi, ci volle qualche momento perché la vista si adattasse alla luce pallida della luna, che s’era fatta immensa sopra la sua testa. D’improvviso non fu più importante riconoscere il sentiero che l’aveva condotto fin nel profondo della macchia, là dove la certezza aveva lasciato il posto all’ignoto. Un raggio lattiginoso illuminò la radura e fu allora che capì: il bosco era sempre lo stesso, semplicemente era cresciuto con lui. Il pesante pino dai rami chinati era stato un fragile fuscello quando l’uomo ancora bambino correva scalzo sulle rocce. Foglie si erano accumulate sulla terra con il susseguirsi degli inverni, e arbusti vigorosi, in primavera, avevano preso il posto di quelli che le tempeste avevano abbattuto. Il muschio aveva ricoperto i ceppi, i rami si erano fatti più fitti.

E fu così che il vecchio riconobbe la strada. La cercò nei suoi ricordi di fanciullo, nell’esperienza che l’aveva reso uomo, nella saggezza che la veneranda età aveva portato con sé. Nell’accettare il cambiamento della selva si sorprese a capire di aver accettato se stesso, e l’inevitabile ciclo della vita. E fu dolce scoprire che il bosco era in lui, e lui era negli alberi e nel vento.

Lo trovarono sotto una coperta di foglie, al mattino. La testa adagiata sul muschio, come un cuscino, con la rugiada negli occhi e la pace nel cuore.

2 Risposte a “Il canto del viandante di Maena Delrio”

  1. Bellissimo testo, poetico e descritto come solo tu sai fare Bravissima Maena, come sempre.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.