I fiori del niente di Giuliana Guzzon

I fiori del niente

Tema: La strada

Autore: Giuliana Guzzon

immagine tratta da quimamme.corriere.it

Testo non in gara

 

PREMESSA: A volte la strada per l’amore è “incosciente”.
 
Charlotte King, forse, non avrebbe dovuto nascere, ma venne al mondo, con tutte le conseguenze che sarebbero successe.
 
Siamo a Minneapolis, una grande città del Minnesota, negli Stati Uniti, all’inizio degli anni cinquanta. Anna e Charl King abitavano in un quartiere di classe media. Non soffrivano la miseria, ma la vita comportava molti sacrifici. Charl possedeva un negozio di calzature, a cui si dedicava per dodici ore al giorno. Il negozio era modesto e i risultati erano all’altezza dei suoi sforzi.
 
Pertanto, i problemi finanziari non erano la maggiore preoccupazione di Anna e Charl King. Avevano trentacinque anni, sposati da dieci e per tutto questo tempo avevano atteso un bambino che non era mai arrivato. Per loro gioia, nel momento in cui non se l’aspettavano, Anna rimase incinta e il marito Charl sperava con tutte le sue forze che fosse un maschio: perché in una famiglia degna di questo nome il primo figlio doveva essere un maschio. Mister Charl King aveva dei principi solo suoi, delle idee arretrate ed era meglio non opporsi. All’apparenza inoffensivo e tranquillo, si mostrava con la moglie aggressivo e qualche volta violento.
 
Quando il momento della nascita arrivỏ, Anna King, che era caratterialmente il contrario del marito, sembrava tanto spaventata quanto felice. Sull’ambulanza che la trasportava all’ospedale non la smetteva di ripetere «speriamo che sia David…»; era il nome del bambino che aveva scelto il marito. Per la bambina, poiché bisognava in ogni caso scegliere un nome, avevano optato per Charlotte.
 
Qualche ora più tardi, dopo sforzi e dolori, l’ostetrica presentè alla mamma una piccola bambina fragile, con un viso strano e dolcissimo. Mister Charl che aspettava nel corridoio, imprecò quando apprese la notizia. Si rimise il cappello in testa ed entrò nella stanza d’ospedale.
 
“Sembravano arrabbiati.
Arrabbiati e confusi.
Forse combattuti tra ciò che vedevano e ciò che credevano di
guardare.
Guardavo i miei genitori per la prima volta.
Erano pallidi come un cencio.
Il dubbio, sempre quello.
Quel dubbio che ti lacera con la silenziosa facilità di un bisturi.
Glielo leggevo nei solchi della fronte, nella smorfia tirata delle labbra, nei loro occhi.
I pugni stretti trattenuti.
Puntavano lo sguardo su di me.
Alcuni gesti andavano oltre l’intenzione, non sempre le parole gestiscono gli stessi.
Io, non sono stata capace di fare altro che emettere un vagito.
Per me, il mondo esterno era ancora irraggiungibile”.
 
I cromosomi sono piccoli animaletti che si combinano tra loro per creare coordinate; muscoli pelle e sensazioni, ma l’anima no, quella non la toccano, non è affare loro.
 
“Ero quasi rassegnata a essere diversa; sindrome di Down avevano bisbigliato.
E pensare che in un primo momento l’avevo scambiato per il mio nome!
Sono nata e questa mia percezione distaccata mi permette di gestire le mie cose.
La vita mi dona già la prima prova: bisogna resistere con tutte le forze per vivere.
Mio padre ha chiesto di uscire dalla stanza per ricomporsi, mentre io ho sentito il mio cuore affondare. Sono pronta a sacrificarmi per avere il suo amore”.
 
La piccola Charlotte era lontana dall’immaginare che un percorso di guerriera della vita l’aspettava. I suoi genitori avevano una relazione molto difficile. Stavano insieme in quanto marito e moglie. Sarebbe stato uno scandalo in quegli anni disubbidire e non sottostare all’uomo che aveva sposato Anna. Mister Charl King portava la consorte con sé poche volte, era autoritario e prepotente e la trattava da essere inferiore; comandava e decideva ogni cosa.
 
Charl uscì dalla stanza, e ficcandosi a malo modo il cappello più profondamente in testa, rientrò a casa, senza andare più a rivedere né la bambina, né la moglie.
 
“Non sono altro che una semplice bambina.
Eppure ogni giorno mi controllano, mi studiano e con giri di parole senza senso cercano di plagiarmi. Dicono che sono malata, ma io non credo a tutte queste menzogne.
In ospedale si ritengono esperti in un campo che per loro sarà sempre inaccessibile.
S’illudono di trovare una spiegazione logica e scientifica, anche nei casi in cui è evidente che non n’esiste una, ma io non mi lascerò ingannare, anche se mi hanno rinchiusa qui
dentro, fra queste quattro bianche e tristi mura.
Per alcuni sono il numero venticinque, quello del letto, per
altri sono la piccola C, per i dottori sono Charlotte.
Non riusciranno a spaventarmi e a convincermi che sono anormale.
Non vorranno farmi credere che ho una regressione a livello celebrale?
Non stanno per caso vaneggiando?
Vogliono forse convincermi che sono incapace di pensare?
Io ho raggiunto l’acutezza massima dei sensi poiché l’amore è più forte di qualunque cosa.
Loro sanno udire soltanto le voci di chi è presente fisicamente col proprio corpo e sono incapaci di abbattere le barriere del reale, come invece so fare io”.
 
Nei giorni e mesi che seguirono, l’attitudine di Mister Charl non cambiò: non voleva vedere sua figlia, l’ignorava. Per lui, lei non esisteva. L’amore per Charlotte poteva essere bello o poteva sfociare in maltrattamento severo o indifferenza: aveva imboccato quest’ultima strada. Anna, la madre, se ne occupava da sola il meno possibile, giusto il minimo indispensabile, per non dispiacere a suo marito.
 
Dopo un anno dalla nascita di Charlotte, Anna si ritrovò nuovamente incinta. Lei e il marito speravano nuovamente nella nascita di David, ma nacque una seconda figlia che chiamarono Rachel.
La bambina non era down.
 
E qui accadde un fenomeno strano: mentre continuava a ignorare Charlotte, il padre si comportava con la seconda figlia Rachel in maniera normale: andava a vederla nella culla, le sorrideva, si preoccupava per la sua salute, era con Rachel come tutti i papà del mondo.
Nel suo pensiero solo Charlotte era colpevole, perché aveva preso il posto del primogenito e per di più era affetta da una sindrome. Se il secondo figlio era una figlia non era grave, se David fosse nato secondo o terzo non avrebbe cambiato niente, ormai il primogenito era perso per colpa di Charlotte.
 
Nel proprio cuore, col passare del tempo, la madre Anna provava un amore sincero per Charly; un vezzeggiativo che esprimeva solo mentalmente per paura del marito.
 
“So che la mamma è triste.
Lei soffre e le manco, mi osserva con curiosità e affetto, non ha risposte da darmi, ma almeno lei ci prova a non deludermi e mi piace quando lo fa, perché ogni volta mi dona una carezza e mi dice “il silenzio di chi tace ha molto da dire.”
A volte smette di ascoltare i miei occhi e mi fa cenno di no, mi sfida a muso duro o col sorriso.
Vuole che faccia da sola. Mi arrabbio e penso che non capisca quanto mi costi questa cosa.
Vorrei saperle spiegare questo fatto. Cerco di riassumere certi meccanismi. Li comprendo.
Il problema è che qualcosa non li fa funzionare.
Alla fine, la mamma lo sa che ci provo e mi accarezza sempre la testa: la sua mano tradisce la sua anima.
Ogni pensiero, ogni sentimento, proviene da una sola fonte; il mio cervello.
È il mio cervello a contenere l’anima.
L’anima come tutte le energie ha bisogno di espandersi.
Pensano che io non ce l’abbia solo perché non parlo molto bene.
La mia è vera e unica.
L’innata e particolare sensibilità mi ha permesso di capirlo.
Libero il mio spirito, permettendogli di librarsi leggero nel cielo, fino a salire sempre più in alto.
L’innocenza e la purezza si combinano insieme per formare una luce.
Tutti, là fuori, hanno un tesoro, un pensiero, esperienze da donarmi, questo mi permetterà d’essere come ho sempre voluto.
Ma la mia metamorfosi non è ancora completa, ho ancora molti veli da scostare.
Sarà faticoso, ma io ci proverò.
Anche se a volte si perde la speranza persino di sperare.
O è follia anche questa?
Ci vuole l’intenzione per comprendere “noi di dentro”.
Siamo isole che il mondo evita, fiori del niente.
Qualche volta mi convinco che con voi di fuori e noi di dentro non sia ancora tutto perduto.
E per fortuna, qualcuno ancora ci crede”.
 
Questi furono i primi anni della bambina.
Ma nel pensiero di Charlotte, col tempo tutto era possibile.
Di fronte all’ostilità di suo padre era confusa; negli ultimi tempi, lui, la fissava acutamente. Il suo volto era serio, ma si poteva notare una sfumatura di sorriso agli angoli della bocca.
Era il momento di rischiare tutto e di cominciare a sondare il terreno.
 
Mister Charl una sera aprì con decisione la stanza della sua primogenita e col cuore in tumulto entrò. In principio non cessò di scrutare negli occhi la bambina e Charlotte si sentì a disagio, ma non tanto come prima. Nella sua espressione di uomo rigido, passò un leggero turbamento.
 
Però, ben presto si riprese e le sorrise per la prima volta, da quando lei era nata.

Una risposta a “I fiori del niente di Giuliana Guzzon”

  1. Fa male leggere quanto l’uomo può essere crudelmente insensibile. Molto bella questa storia, non bisogna arrendersi mai. Questa è la forza.

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