Fantasticherie di Elena Grifoni

Fantasticherie

Tema: noir

Autore: Elena Grifoni

acquarello di Elena Grifoni

Testo fuori gara

Adoro passeggiare per le vie di Lucca, dove gli austeri palazzi rinascimentali e le medievali case, a forma di torre, se ne stanno strette le une alle altre dentro le mura che le circondano, creando un dedalo di stradine, vicoli, corti interne e piazzette nascoste.
 
Amo perdermi per quelle viuzze, specie in quelle più distanti dal centro, dove non arrivano i turisti. Anzi, a volte non passa proprio nessuno: come adesso. Beh, non proprio nessuno. Qualcuno c’è e la stavo aspettando.
Mi passa davanti ma non mi vede; ha lo sguardo immerso nella luce del suo cellulare. La saluto con il suo titolo e lei si gira. Posso leggere una domanda sul suo viso e, visto che sono una persona educata, le rispondo.
«Ero alla riunione che è finita poco fa, quella che lei presenziava. Non mi riconosce?» Le dico avvicinandomi.
«Ah sì?»
«Sì. Ho anche fatto un intervento ma, a quanto pare, non sono stata abbastanza incisiva.»
«Senta, quello che c’era da dire è già stato detto e non ho altro da aggiungere. E poi questa non è la sede appropriata, mi pare…» Mi liquida indicando con un gesto la strada deserta.
«No certo, si figuri.» le dico sorridente. Ma non mi muovo, per me la faccenda non è affatto chiusa.
«Dunque, arrivederci.» mi dice secca e gira i tacchi.
 
Ha ancora quell’orrendo foulard annodato al collo; ci si pavoneggiava dentro fuori dalla sala comunale, decantatone la qualità della seta e il decoro dipinto a mano. Che colore ha detto che era? Tiffany, mi pare. A me sembra verde… ma che ne so io. Quella tutta moda e bon ton è lei.
 
Afferro al volo un lembo svolazzante di quel foulard e tiro. Lei emette una specie di gridolino e annaspa arretrando traballante sui tacchi. Ha provato ad urlare ma ho tirato più forte e il grido si è dissolto in un rantolo. Porta le mani al collo; le cade la borsa e il cellulare si infrange in un reticolo di schegge; lo schiaccio col piede e la sua luce sparisce lasciando solo il viola del crepuscolo a illuminare il vicolo.
Lei inciampa e strascica i piedi, ma io non la mollo e la spingo con forza contro il muro, nel cono d’ombra di una macchina parcheggiata. Il mio slancio la schiaccia contro i mattoni facendole urtare la testa, forte.
 
È una bella e fredda serata d’aprile, ho indossato i guanti in un gesto inconsapevole che adesso mi sta tornando utile: può sforzarsi quanto vuole, ma non riuscirà a graffiarmi le mani. Ho arrotolato il foulard intorno ai palmi per non farlo scivolare e i guanti mi proteggono anche da quello.
 
Prova ancora a gridare, la stronza… passa ancora troppa aria dalla sua gola. Arrotolo il foulard di un altro giro e accorcio la distanza che separa le mani dal suo viso. Le sbatto la testa contro il muro. Ancora. E ancora. Mi piace il suono sordo e liquido del terzo colpo: l’ha calmata. I suoi occhi si allargano e cercano i miei.
«Cosa ci leggi?» Le chiedo «Pietà? Compassione? Non credo…»
Mi sfarfalla le mani davanti al viso ma senza energia, mosse solo dalla disperazione.
«Stai forse cercano di schiaffeggiarmi brutta troia? Sì dai, fammi vedere come ti dai da fare.»
Stringo ancora. Dalla sua bocca spalancata in cerca di aria escono suoni indistinti.
«Che c’è? Vuoi dirmi qualcosa? Hai già parlato abbastanza e quello che hai detto non mi è piaciuto.»
 
Mi distraggo nel ricordo del suo intervento in assemblea e allento la presa. Lei se ne accorge e cerca di prendermi a calci. Patetica.
«Sai cosa? Non era così che l’avevo immaginata. Sta accadendo tutto troppo in fretta e non stai soffrendo abbastanza. Te lo dico giusto perché tu lo sappia.» Le sussurro stringendo la morsa ancora un pochino.
«Sai, la mia idea era quella di trovare un posticino tranquillo, al chiuso, dove non ci sentisse nessuno. Ti avrei legato a una sedia e ci saremmo divertite un po’. Non ti meriti una morte veloce e indolore.» Lei si irrigidisce, io le sorrido.
«Ti avrei staccato quei tuoi bei dentini bianchi e te li avrei fatti ingoiare, uno ad uno, insieme al tuo sangue. Poi le unghie, con quello smalto rosso da troia che sei… giù per la gola anche quelle. E le tue manine immacolate? Quelle che non hanno mai fatto un lavoro pesante? Te le avrei frantumate, una falange alla volta. I tuoi splendidi capelli? Strappati via a ciocche. Ti avrei inciso la pelle e versato acido sulla carne aperta, poi spezzato le giunture… rotule, polsi, caviglie, dita dei piedi. È una bella fantasia, vero? Sono sicura che sarebbe stato liberatorio e appagante. Un rituale da eseguire senza fretta, con tutta la calma e la solennità che merita.»
 
Sospiro per la mia fantasticheria ormai impossibile da realizzare.
«Perché te lo sto dicendo? Forse per il piacere che provo nel vedere l’espressione sgomenta sulla tua faccia cianotica e gonfia; i tuoi occhi arrossati bagnati di lacrime; la tua bocca che sbava e che si apre e chiude come quella di un pesce fuori dall’acqua. Sembri un clown… No, non mi fai pena, mi fai solo schifo.»
Mi accorgo di un suono acuto e stridulo: sono io che rido. Mi zittisco all’istante. Siamo in strada, non voglio essere beccata sul più bello.
«È un vero peccato non poter realizzare questa mia fantasia, non trovi?» Le sussurro all’orecchio. «Tu comunque muori lo stesso.»
 
Stringo con forza il foulard. Lei annaspa e inarca la schiena, una mano al collo  e l’altra in alto ad afferrare un impalpabile stralcio di cielo.
Quando sono sicura che non respira più, allento la presa. Il corpo si accascia a terra scivolando contro il muro e piegandosi di lato. Con la testa reclinata su una spalla sembra una barbona addormentata. Ha perso una delle sue eleganti scarpine. Chissà dove è andata a finire…
 
Sciolgo con cura il nodo del foulard e glielo sfilo; mi tolgo anche i guanti e metto tutto in borsa. Li brucerò insieme alle sterpaglie del giardino.
Ormai si è fatto davvero buio.
 
Mi allontano e dopo un paio di svolte sbuco nella zona pedonale. Il centro storico mi accoglie con la luce invitante delle vetrine incastonate nei bellissimi palazzi, all’interno delle mura.

Una risposta a “Fantasticherie di Elena Grifoni”

  1. Mamma mia che noir. Cosa ti avrà mai fatto per scatenare dentro te tanta rabbia?
    Ben scritto… ma dà brividi.

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