La notte del mondo di Maena Delrio

La notte del mondo

Tema: cuore, fegato cervello

L’antica Madre sedeva sul suo trono di ossa e teschi, a capotavola, al centro della stanza. Il buio era palpabile. Non si riusciva a scorgere, guardando verso l’alto, nient’altro che il vuoto. Se un soffitto ci fosse o meno, non è dato sapere. La stanza del Tempo Passato possiede pareti spesse dove imprigiona ricordi, è cosa nota. Nessuno, però, ha mai menzionato il soffitto. Forse perché l’oblio altro non è che una torre infinita, che risucchia quello che la memoria dimentica.
Dicevo che la Madre era seduta. Lo so bene, perché ero presente anch’io, quel giorno. Il suo viso sorrideva triste di fronte al suo commensale, dritto come un fuso sull’alto sgabello nel quale era appollaiato, al lato opposto del lungo tavolo. Le gambe vacillavano, e a ogni movimento ondeggiavano paurosamente.
«Madre, chiedo il permesso di scendere da qui. E troppo instabile per me, la posizione in cui mi trovo non mi consente di prendere alcuna decisione, e questo mi destabilizza»
La vecchia matrona non fece caso alle lamentele del figlio ingrato. Invece, prese un lungo coltello e mi fece un cenno con le dita ossute: «Il passato è fondamentale, se lo rifiuti costruisci castelli di carte.»
Mentre venivo fuori dall’ombra, fui investito da un tanfo di marcio, come di decomposizione. Raggiunsi la mia signora, e mi fermai alla sua destra. Di fronte a lei un vassoio d’argento, con un pesante coperchio a cupola, brillava nell’oscurità. Destava stupore la lucentezza di quel metallo prezioso, in aperto contrasto con la pesantezza della decadenza nel quale era immerso.
«Solleva il coperchio». Madre parlava con voce ferma e baritonale. L’eco delle sue parole rimbalzò tra le pareti e si disperse verso l’alto, dove sparì risucchiato da una folata di gelo.
Obbedii. Sul vassoio erano adagiati tre organi pulsanti: il fegato ancora caldo, un cervello lucente e ancora in piena attività, e infine un cuore piccolo, che batteva piano, regolare; emetteva sottili sibili come di uno stantuffo, ogni volta che le cavità insufflavano aria al posto del sangue.
Figlio accavallò le gambe. «E con questo, cosa vorresti dimostrare?». Era visibilmente irritato, e incrociò le braccia per lo sdegno e il disgusto.
«Ti ostini a non capire, Figlio mio. Quindi, ti darò una dimostrazione pratica di quello che potrebbe accadere se tu dovessi continuare a ignorare il seme che ti ha generato». Madre alzò la mano armata.
Quando il primo fendente trapassò il fegato, Figlio sentì la lama fredda che si insinuava tra le sue viscere, e un fiotto di bile gli riempì la bocca.
«Cosa fai?» Urlò piegato in due dal dolore, mentre millepiedi venuti da chissà quale anfratto invisibile cominciavano lentamente a risalire le gambe dell’alto sgabello.
«Se il presente rifiuta il Passato, perde la capacità di rinnovarsi». Madre tagliò una sottile fetta e se la portò alla bocca con la punta del coltello. Il sangue le colò sul mento, ma parve non curarsene. Masticò lentamente, finché non ridusse la carne in poltiglia. Continuò a mangiare a lungo, e ogni volta che tagliava un pezzo, un altro ne cresceva, sempre più piccolo, sempre più fragile. Alla fine l’organo amputato, ridotto a un ammasso di cellule ormai incapaci di rigenerarsi, cominciò a raffreddarsi, finché smise di pulsare. Figlio, dalla cima della sedia, guardava Madre consumare il suo pasto.
«Il presente che si nutre di se stesso, è destinato a soccombere. Adesso tocca al cervello»
Mentre la matrona affondava la lama tra le fibre nervose morbide come burro, stranamente Figlio non provò sofferenza fisica. Invece lo pervase un senso di dolorosa rassegnazione.
«Chi non ha un passato, non possiede memoria. Chi non possiede memoria, perde la capacità di giudicare.»
Figlio era percosso dai brividi. I millepiedi erano arrivati in cima e avevano cominciato ad annidarsi tra le pieghe del suo corpo. Voraci come solo gli insetti sanno essere, avevano ficcato i loro becchi acuminati sulle gambe del ragazzo, e cominciavano a succhiare avidamente la sua linfa vitale.
Madre alzò gli occhi nella sua direzione, e nel suo sguardo vidi un’ombra di compassione attraversarle l’iride ghiacciato. Ma non durò che un secondo.
«Infine, il cuore.»
La mano ossuta brandì il colpo, poi mollò la presa, e si riversò sul tavolo, esanime.
«Quando il presente rifiuta il passato, il passato muore».
Mentre pronunciavo queste parole, mi accorsi di essere improvvisamente stanco. Mentre Madre esalava l’ultimo respiro, Figlio piangeva senza sapere perché, immerso in un presente instabile, devastato dai millepiedi che divoravano le esili fondamenta alle quali era aggrappato.
Rimisi il coperchio d’argento su quel che rimaneva dell’ultimo pasto di Madre, e mi trascinai fino al mio angolo buio. La notte della storia era ancora troppo lunga. Finché il presente fosse stato impegnato a combattere contro i suoi fantasmi, l’alba non sarebbe sorta, e nessun futuro si sarebbe stagliato all’orizzonte. Il mio tempo non era ancora giunto.

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