Sestina lirica di Andrea Tavernati
Finalmente dilagherà il silenzio
in ogni tempo e farà suo lo spazio
senza più cancelli e fasulle mete.
Bruciato ogni progetto nell’inverno,
forse si staglierà l’oggetto vero,
nel suo fulgore rivedremo il sole.
Ritorneremo a riscaldarci al sole
simbolo estremo del bianco silenzio
nucleo indiviso sul fondo del vero:
sgargianti colori dentro ogni spazio,
pieno il presente, sconfitto l’inverno,
prive di senso le perdute mete.
Specchiarsi e sapersi sono le mete:
vecchie stanze inondate da ogni sole
blandiscono i salotti dell’inverno.
Con i cori a bocca chiusa il silenzio
colma di cori un declivio di spazio
e cede i confini al senso del vero.
Ininterrotta parete del vero
si continua a scalare senza mete:
d’appiglio in appiglio si prende spazio
nel rarefatto sfrondare le sole
parole vuote, graffi sul silenzio,
che insistono a cadere nell’inverno.
Non c’è destino per il nostro inverno,
arduo è vivere nel qui e ora il vero.
D’ogni finale amiamo il gran silenzio
oltre il traguardo d’illusorie mete:
non osiamo lo sguardo a questo sole,
l’ideale imperversa in questo spazio.
Ad ogni speranza s’è dato spazio
aspettando i tamburi dell’inverno,
fino al seccarsi delle voci al sole.
Confidiamo nel dolore del vero,
sul palmo tre ferite come mete,
cancellati i passati nel silenzio.
Silenzio solo segno in questo spazio:
morte le mete ci darà l’inverno
un vero nome come un tenue sole.
Non è facile da comprendere in una prima lettura. Tuttavia, una volta preso il ritmo, il susseguirsi di parole forma l’armonia che tocca direttamente l’anima. Molto intensa. Voto!
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