Dù palle di Natale di Elena Grifoni

Dù palle di Natale di Elena Grifoni

ele grifoMeno tre.
Erano i giorni che mancavano a Natale e la temperatura segnata sul display dell’insegna della farmacia. Da giorni ormai la caccia ai regali era diventata frenetica, ma Antonella, che si definiva “una dell’ultimo minuto”, era fra quelli che di solito si ritrovavano, il ventiquattro pomeriggio, ingolfati in code interminabili alle casse dei grandi magazzini. La ricerca dell’ultimo pensierino, possibilmente economico, per il cugino di quarto grado, aggiunto all’ultimo minuto, agli invitati al pranzo di Natale e/o della collega, antipatica ma utile, era ormai in pieno svolgimento. Questa volta, però, la ragazza aveva giocato d’anticipo e, nonostante il freddo pungente, si era avventurata per le strade del centro in tempo utile. Il fatto di essere a corto di idee, con un budget limitato e soprattutto con nessunissima voglia di fare regali a persone che vedeva solo una volta l’anno, non l’aveva fermata. Antonella non aveva una buona opinione del Natale. Beh, non della ricorrenza religiosa in sé per sé, che celebra della nascita del Cristo, ma dell’apparato consumistico che le si era sviluppato intorno e che aveva finito per soffocarla. Mentre girava infreddolita di negozio in negozio, neppure fosse stata un ape a caccia di polline, la ragazza rifletteva sulle feste a venire. Pensava a quelle assurde riunioni plenarie di famiglie allargate, tradizione dei tempi in cui i parenti erano davvero uniti, che costringevano milioni di persone a spendere stipendio e tredicesima in pranzi luculliani e regali mai azzeccati. Pensava alla TV, che già da ottobre iniziava a trasmettere pubblicità a raffica in cui famiglie felici, e bambini sorridenti, godevano con gioia dei festeggiamenti attorno ad abeti addobbati e a tavole imbandite. Peccato che la famiglia di Antonella fosse l’esatto opposto della famiglia dal “Natale perfetto” delle pubblicità. Lei la definiva simpaticamente “Quelli del Natale all’inferno”: se diavoli e diavolesse avessero celebrato la nascita dell’anticristo, di sicuro si sarebbero ispirati ai pranzi di Natale in casa Righetti. Quel cupo flusso di pensieri fu interrotto dallo sguardo accigliato di qualcuno che la stava fissando dalla vetrina di un negozio. A una seconda occhiata, Antonella si accorse che si trattava della sua immagine riflessa e, sorpresa dalla sua stessa espressione, abbozzò un sorriso e proseguì. “Ok, forse mi sono spinta un po’ oltre paragonando i parenti a diavoli e diavolesse” pensò, e in cuor suo si risvegliò la speranza che questo avrebbe potuto essere il Natale della svolta, quello in cui anche la sua famiglia avrebbe festeggiato come quella nella pubblicità del panettone.

Meno due.
Mancavano due minuti alle sette, quando Antonella fu svegliata dalla telefonata della madre che le chiedeva consigli sul menu del pranzo natalizio. Ancora mezza addormentata, non prestò molta attenzione all’elenco dettagliato delle portate, che spaziavano dagli antipasti ai dolci, fino ai liquori e alla frutta secca. La madre recitava a memoria gli ingredienti come in un rosario culinario, aggiungendo quesiti come “troppo condito o troppo leggero?”, “troppi o troppo pochi?”, “ragù o pesto?” e aspettandosi dalla figlia delle opinioni in proposito. Antonella sapeva che qualsiasi risposta avesse dato alla madre sarebbe stata quella sbagliata, per cui si limitò a qualche mugolio di assenso di tanto in tanto, giusto per mantenere l’illusione di star effettivamente ascoltando. La telefonata terminò con un saluto veloce e un richiamo perentorio alla puntualità per il giorno di Natale. Spento il telefono la ragazza avrebbe voluto tirarsi le coperte fin sopra la testa e dormire fino al ventisei. La sveglia, invece, le ricordò che doveva andare in ufficio. Di cattivo umore già di prima mattina, soffocò l’innocente sveglia sotto il cuscino e si accinse a cominciare la sua giornata.

Meno uno. La Vigilia.
Il cielo grigio prometteva un bianco Natale, e le strade del centro erano affollate fin dal mattino. Antonella aveva passato quasi tutta la mattinata tra fatture e scambi di doni fra colleghi. Ecco un’altra “tradizione” che avrebbe voluto eliminare. Durante le festività natalizie, in ufficio, si assisteva al trionfo dell’ipocrisia. Vedevi persone che durante l’anno si tiravano frecciatine e pugnalate alle spalle, trotterellare sorridenti per gli uffici, carichi di sorrisoni e pacchettini, pretendendo dai colleghi altrettante carinerie. Antonella quest’anno aveva fatto stock di cineserie da propinare, rigorosamente a caso, a tutti quei falsoni, giusto per non esser bersaglio di ulteriori critiche per l’anno a venire. Nel pomeriggio si ritrovò incastrata in negozi strapieni, con una lista lunghissima di nomi da abbinare ad altrettanti regali. Nonostante l’ansia crescente cercò di godersi quel pomeriggio, traendo conforto dalle facce sorridenti dei bambini che rimanevano incantati davanti agli scaffali stracolmi di giocattoli. Alla fine della serata la sua auto era così carica da far invidia alla slitta di Babbo Natale. Dopo cena si addormentò sul divano, con la TV ancora accesa, guardando l’ennesima replica di “Canto di Natale”.

Il giorno zero: Natale.
Il cielo aveva mantenuto la sua promessa. Antonella uscì di casa e, cercando di non scivolare sul sottile strato di neve fresca, raggiunse la macchina già carica di doni. Un paio di tentativi a vuoto, poi l’auto finalmente, tossicchiando, si avviò e partì. Le strade imbiancate erano praticamente deserte, ad eccezione di pochi viaggiatori solitari in pellegrinaggio verso qualche pranzo. Quella calma e quel silenzio riuscirono a calmare, ma solo in parte, l’animo in subbuglio della ragazza per la ragazza, tormentato dall’ansia per quel pranzo, tanto temuto, a cui si stava avvicinando. Le decorazioni natalizie, che addobbavano e illuminavano le strade, facevano luccicare i fiocchi di neve in caduta libera; le finestre delle case mostravano abeti enormi e lucine ammiccanti che sembravano ribadire il concetto che, in quel giorno, era d’obbligo essere felici. Arrivata al portone dell’appartamento dei suoi, Antonella si fermò. Con l’indice bloccato a pochi centimetri dal campanello fu assalita l’irresistibile tentazione di voltarsi e tornare a casa. Da dietro il portone filtravano, soffuse, le urla dei parenti che discutevano, le grida dei bambini all’apertura dei regali e la TV a tutto volume che trasmetteva la messa del Papa. Antonella chiuse gli occhi, assaporò quegli ultimi istanti di quiete prima della tempesta, poi fece un respiro profondo e suonò.

32 Risposte a “Dù palle di Natale di Elena Grifoni”

  1. Tanti ci si rivedono… Magari non hanno il coraggio di ammetterlo. Infatti è stato ispirato dalla mia esperienza e da quella di alcuni amici…

  2. realisticamente parlando… caspita se è vero! Spesso accade proprio ciò che hai descritto e, a certi oneri, non ci si può sottrarre. A meno di non essere rapiti dagli alieni. Voto per questo testo.

  3. Praticamente quello che succede a me ogni pallosissimo Natale. ☆_☆

  4. Bellissimo Elena complimenti!!!….il mio voto va a questo testo!

  5. Grazie mille a tutte!! L’intento era proprio quello di descrivere il periodo in modo forse più realiatico di quello che ci propinano le pubblicità…

  6. Voto questo testo.
    Hai descritto molto bene l’ipocrisia che spesso investe questa festività.

  7. voto questo testo
    La protagonista ha il mio nome e anche la mia visione del Natale: perfetto!
    Un testo che è la sintesi di una vita.

I commenti sono chiusi.