Le parole che mai ti ho detto di Anna Ciraci

Le parole che mai ti ho detto di Anna Ciraci

Genere: Realismo/Intimista/sentimentale/Psicologico/.

…“Così mi rituffo nelle mie fantasie, quelle più nascoste, quelle più segrete e taciute. Solo per avere uno sfogo, un’ancora dove aggrapparmi quando mi perdo, o quando l’aria rarefatta mi soffoca la gola, e non riesco più a trovare una posizione eretta per la fatica. Fuggo nelle infinite pareti del mio inconscio a ritrovare me stessa e l’equilibrio di cui ho bisogno, o meglio, durante il viaggio mi tolgo ogni senso, per ritrovare alla fine l’equilibrio”.
“Ma in questo modo t’allontani…è come se vivessi in un altro mondo? È questo quello che succede? E io? Nel frattempo cosa devo fare?”.
“Restare seduto, pazientemente ad aspettare, che io svolga il mio processo, affinché tutto possa tornare, come sempre. So quanto possa essere difficile, e tremendamente sofferente. È come se tu mi avessi accanto ma a mille miglia di distanza. Esserci senza esser presente, questo ti chiedo, benché sappia già a priori quanto possa costare, ma devo, per salvaguardare me, quello che sento per te, e anche te stesso. Perché se non potessi vivere quest’introspezione, allora morirei dentro, come già è successo”.

Lui rimase allibito e senza alcuna parola, arrabbiato, offeso. ‘ma come si permette di dirmi di stare seduto in silenzio mentre lei vaga chissà dove, e chissà con chi, per strade a me sconosciute? E perché mai dovrei permetterle di avere dei segreti con me?’ La sua mente ribolliva come acqua sul fuoco, il calore del suo viso, di colore rosso, faceva scendere rivoli di sudore per tutta la fronte, ma non riusciva parlare, aveva un nodo in gola pronto a scoppiare ma non riusciva a far esplodere le parole che aveva dentro, così tacque, girò le spalle e disse: “Basta!”

Poi riprese fiato “Non ho voglia discutere con te, di questo, non ora, sono stanco!”
“Non prendere ciò che ti dico come un sopruso, tutti hanno dei momenti in cui si allontanano, anche tu lo fai, ma non per questo quello che provo viene meno”.
“Questo è il punto, ma tu cosa provi? Non basta che dici ok, o che mi accarezzi, anche a me piacerebbe sapere davvero cosa provi, per un piacere personale, per avere conferme, che tu non dai mai!”.
‘Ma quali conferme se per me è un’impresa perfino rispondere anch’io ad ogni tuo ti voglio bene. Non esce perché mi muore dentro, perché quando sono lì che lo sento, ogni parola sembra niente di fronte a quello che ho dentro. Tutte le espressioni conosciute non danno il vero valore a ciò che realmente sento.
Io ti appartengo in tutto, e sento che tu mi appartieni nello stesso modo.
Ti sento in ogni cosa che faccio, mi giri intorno anche se non mi sei vicino in quel momento e lo stesso vale per me, lo so, ma come fare a tradurre in una sola frase tutto questo e dirlo?
Vorrei urlartelo ogni momento, ma non riesco a farlo. Paura? Può darsi, ma pura di cosa? Sembrare vulnerabile? E per quale ragione?
Conosci ogni centimetro del mio essere, e riesci a leggermi a chilometri di distanza, e allora perché non posso dirti quello che sento?
E quando raramente riesco a farlo, perché poi mi allontano come per difendermi, come se fossi andata troppo oltre? troppo oltre a cosa?
Ogni volta che riesco davvero a lasciarmi andare, qualcosa dentro mi ferma e mi blocca, come se davvero non potessi, e non fossi in grado di oltrepassare quella soglia che chissà quando mi sono chiusa alle spalle, e quando vi entra uno spiraglio io mi chiudo a riccio e di là niente più esce. E ogni volta si riparte da capo, un gran lavoraccio. Come dover scardinare una porta blindata. E allora scrivo!
Scrivo perché così, mi trovo sola con me stessa a vagare nel mio silenzio.
A estrapolare le parole che mai ti ho detto. Il foglio bianco, che bianco non può rimanere, perché di parole ce ne sono a migliaia, e non ho bisogno di pensare. Sono già pronte, tutte nella mia testa. Automaticamente il mio foglio si riempie, come fossero copiate e incollate direttamente da me a te. Un vagone di parole che non servirebbero a niente se tu non le leggessi, sarebbero buttate al vento, se tu non le capissi.
Eppure parlarne è irreale, perché a voce stonerebbero, in un qualsiasi contesto, si perderebbero. E allora scrivo, così rimangono, per leggerle e rileggerle in ogni tempo.’
Tutto questo le rimbombava nella testa, ma non poteva uscire, perché la gola si chiudeva, la lingua si seccava, e la voce si strozzava, e tutto quello che le uscì in quella sera, gelida e buia, nella cucina di quell’appartamentino, “in cima al mondo” come cantava Mina nella sua canzone (perché era all’ultimo piano di una palazzina un po’ disastrata, e molto alta, ma era la loro casa, dove tutto ebbe inizio e dove tutto ogni giorno cresceva) con una voce fievole e sconsolata: “Ecco che te ne vai di nuovo, e io non riesco a dirti nulla!”.
‘ Così mi trovo aggrappata alla maniglia di quella porta, e tiro, e spingo, ma niente. Niente si muove, niente si apre, tirando, con un piede su quell’ipotetico muro. Tentando in tutti i modi di spalancare e poter finalmente scoprire cosa c’è realmente dietro. Perché qualsiasi cosa ci sia, affrontarla forse riuscirebbe a darmi quel… cosa? Equilibrio? Sicurezza? Forza? O disponibilità? No, non so cosa davvero mi manchi, so solo che oltre non vado, ma non conosco il motivo o forse non lo ricordo, o non voglio ricordare.’
Si accese una sigaretta, si sedette, sulla sedia, accese il televisore, e poi rimase lì, con lo sguardo perso chissà dove, con la testa fra le mani, alzandola solo per tirare per poi riabbassarla, sconfortata.
Intanto continuava a pensare, vagava con la sua mente in un mare di pensieri, mischiati a ricordi passati.
‘E chi l’avrebbe mai detto , ritrovarmi oggi a cercare di esprimere cosa mi scoppia dentro. Io, che non ho fatto altro che vagare, apatica verso gli altri, per quasi tutta la mia vita, senza riuscire mai a fermarmi da nessuna parte, perché non era il mio posto.
Miliardi di persone che conoscevo, ma nessuno che potesse entrarmi dentro, perché nessuno riusciva a farlo. Piano piano morivo dentro, come cadere in un buco nero infinito.
Perché niente riusciva a farmi emozionare, palpitare, sognare, volare, piangere, ridere, e nessuno vedeva, nessuno sentiva. O forse io non lasciavo vedere né sentire, affinché qualcuno potesse davvero, darmi ciò di cui avevo bisogno.
Ho smesso di scrivere, e pian piano perfino di parlare, perché nessuno era in grado di leggere cosa c’era tra le mie righe, e nessuno era capace di sentire le parole che sussurravo.
Poi sei arrivato tu, quando ormai io ero immersa nelle infinite pareti dei miei silenzi, immensamente arrabbiata con tutto il mondo perché per me non esisteva, e quindi mi aveva lasciato in pace con me stessa. Ti ho visto col piccone in mano ad abbattere ogni singola parete, una alla volta con immensa forza e pazienza, ogni giorno. Ogni tanto ancora oggi mi chiedo, ma chi te lo ha fatto fare?
Tutta quella fatica….
Potevi fare come hanno fatto tutti gli altri, e invece sono rimasta guardare, mentre prendevi ogni singola mia difesa e la picconavi. Così da dentro ho cominciato a farlo anch’io. Una picconata alla volta, perché mi piaceva quando riuscivi a invadere la mia anima, e a ogni muro abbattuto era come una rivelazione per me stessa, che piano piano riuscivo a ritrovarmi, e a toccare a mani nude chi avevo davanti. Un’emozione quando spogliata di tutto riuscii finalmente ad accarezzarti con tutta me stessa e sentire il tuo mondo come era davvero. E insieme siamo riusciti a colmare quel buco in cui ero precipitata e ho cominciato a vivere, la nostra vita, come andava vissuta.’
Presa dall’emozione di quei ricordi si fece forza, si alzò dalla sedia spense la sigaretta, il televisore, la luce, e andò a letto, con le mani incrociate sotto la testa e i piedi sotto le coperte, a guardare il soffitto.
Lui era lì girato dalla parte opposta, abbracciato al suo cuscino.
Che cosa dire? Per non rimanere così in silenzio, senza sapere realmente cosa gli stava passando per la testa, qual era il suo punto o disappunto. Perché andare a dormire arrabbiati, che poi neanche si dorme continuando a rigirarsi nel letto, senza poter prendere sonno. Non vale la pena finir la discussione, e chiudere il discorso?
“ Dormi?”
“Come faccio a dormire, mentre tu ti giri e rigiri? No, non dormo”
“Qual è il problema? Scrivo! Scrivo quello che penso, quello che sento, quello che ho dentro!”
“Non puoi dirlo a me?”
“Non so dirlo a voce! Ma posso lasciarlo sul foglio bianco, o con le carezze, e in ogni mio gesto, questo è tutto quello che posso, non nascondo niente , è solo… questo quello che posso!”
‘Ma la domanda più grande che rimane in sospeso, perché ovviamente oltre non si può andare, è se ti può bastare?’
“non riesco a capire sei arrabbiato, deluso, sei offeso? Quale è il problema, ogni cosa che scrivo la metto sotto al tuo naso, non vado in giro a far chissà cosa, mi rintano! Mi rintano nel mio mondo e faccio ogni cosa per farti entrare, dov’è il problema?”
“Non capisci è questo il punto! Perché ti devi rintanare per poi farmi entrare come uno sconosciuto? Che bisogno hai di chiuderti a riccio per poi lo stesso rendermi partecipe dei tuoi pensieri in separata sede? Non sarebbe più semplice dirmi cosa davvero ti turba e insieme risolverla, com’è sempre stato?”
‘No! Non lo è mai stato.
Mai una volta sono riuscita davvero a dirti fino a che punto sono arrivata! Mai una volta ti ho detto davvero cosa sentivo, mai una volta sono riuscita a spiegarti cosa davvero significa per me starti accanto. Tutto quello che sono riuscita a dirti è stato e anche molto sotto voce, che io sono qui perché lo voglio, se così non fosse, già sarei altrove!
Molto lontano da quello che intendevo davvero, anche se come riassunto un po’ si avvicina.
E tutto quello che sta dietro a questa frase? Alla fine poco importa se comunque riesco a farti sapere tutto il resto che c’è da scoprire solo sul foglio stampato! Comunque arriva a che di dovere!
Che fai ti trovi le scusanti da sola adesso, ti stai auto giustificando? Ma perché dovrei farlo? Perché continuo a giustificarmi da sola?
Perché manco! Accidenti manco davvero! Come fai a vivere con una persona senza mai dirgli quanto vale davvero per te? Mille domande senza alcuna risposta e lui in tutto questo? Si rigira e di nuovo torna a dormire, o almeno ci prova!’
“No che non è più semplice, non lo è per me, e non ho altre risposte da darti, ma so di peccare in questo e rimedio nell’unico modo che conosco per potermi finalmente raccontare. La mia penna ha le parole, che la mia voce non può dire, solo così riesco a colmare quel vuoto che da sempre rimane, e io lo devo colmare!”
Si voltò di scatto incredulo ma a queste parole non poté fare a meno di arrendersi, ci sono dei momenti in cui non si può combattere, ma cedere, per le debolezze altrui, accettarle per quelle che sono, non puoi pretendere che una persona racconti i suoi segreti, se non riesce a farlo, come non si può pretendere che abbandoni le paure, se ancora non può affrontarle, o che si smonti completamente e si ricostruisca da capo in una sola notte.
Così cedette, cedette per amore della persona che aveva davanti. Cedette per il rispetto che mostrava verso la sua donna, cedette perché lei in quel momento era semplicemente vulnerabile ad un punto tale che non poté farne a meno.
Si avvicinò a lei la prese tra le braccia, e mentre stringeva forte le sussurrò in un orecchio quanto l’amava. Poi le diede un bacio, mentre lentamente le accarezzava la schiena, dolcemente, sotto la maglietta. Lei lo strinse a se e ricambiò quel bacio con tutto l’amore che aveva dentro, senza tralasciare niente.
Lui Scese appena sotto il collo, sulla curva della spalla e lì accennò un morso, molto delicato.
Proseguì lungo tutta la colonna vertebrale, accarezzando i glutei rotondi e lisci come una pesca, dove ripeté quel morso, così dolce e immensamente eccitante. Accarezzandola poi ovunque, con una delicatezza mischiata a decisione e desiderio, passione e amore, come solo lui era in grado di fare.
Lei ormai non capiva più niente. In estasi totale, si lasciò prendere, così avvinghiati uno all’altra, fino a quando entrambi si persero in un unico spasmo e si lasciarono cadere leggeri estasiati dall’amore intenso e potente da cui sono sempre legati, fino ad addormentarsi così abbracciati.

7 Risposte a “Le parole che mai ti ho detto di Anna Ciraci”

  1. Voto per questo testo. mi è piaciuto soprattutto il suo tenersi in bilico tra la descrizione dello stato mentale e della situazione reale, ondeggiando senza cadere fino alla conclusione.

  2. Il foglio bianco ha assorbito tutto il flusso di pensieri: catartico!

  3. Il foglio è terapeutico in molte situazioni, soprattutto in quelle in cui la voce non riesce a scaturire dall’anima. Voto per questo testo

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