Maschere infernali di Ramona di Ventura

Maschere infernali di Ramona di Ventura

Genere: Storico/Drammatico

Venezia, XVIII secolo
La preziosa gondola laccata si staccò dolcemente dal pontile e prese a fendere le scure acque del canale. Il pungente odore salmastro e la folla rumoreggiante, che affollava le calli della città, riempivano l’aria mattutina di quella particolare giornata di festa.
– Allora Fiammetta, è già pronto il tuo costume per la festa di questa sera?-
Una giovane fanciulla dai lineamenti delicati distolse lo sguardo dal cielo azzurro e si voltò verso la sua compagna. I lunghi capelli d’oro, raccolti in una massa di riccioli, ondeggiarono sulle sue spalle, ammantate di ricco velluto verde. Le perle che ornavano il suo costoso corpetto scintillarono, colpite dal pallido sole di marzo.
– Certo, Verenia, che domande! Sarà il costume più bello di tutta la festa, vedrai. Mia madre lo ha fatto fabbricare dai migliori sarti della città. –
Verenia sorrise maliziosa, gli occhi scuri come ossidiana fissi sulla giovane.
– Te lo chiedo per una buona ragione, mia cara amica. –
Fiammetta inarcò le eleganti sopracciglia, incuriosita.
– E sarebbe?-
– Qualcuno mi ha domandato come potrà riconoscerti tra la folla. Qualcuno di molto affascinante. –
Gli occhi di Fiammetta brillarono come due zaffiri. Sapeva di chi stavano parlando e il suo cuore prese a battere, un piccolo tamburello impazzito.
– Oh sì, hai capito bene, mia cara. Proprio lui, Alfonso, il figlio del Doge. Vedessi com’era impaziente di sapere qualcosa in più! Credo che voglia approfittare della confusione per corteggiarti senza suscitare pettegolezzi velenosi. –
La fanciulla arrossì. Alfonso era fidanzato con una ricca ereditiera veneziana, ma ogni volta che incrociava Fiammetta le lanciava sguardi ardenti e molto espliciti. In città le malelingue mormoravano già da un po’ e i suoi genitori facevano l’impossibile per evitare che i due si incontrassero anche solo di sfuggita. Quella sera, però, non avrebbero potuto riconoscerlo. Infatti erano giorni di festa per Venezia. Aveva inizio il Carnevale e l’ apertura era affidata ad una grande festa nelle piazze e nelle strade della città. Per legge era proibito mascherarsi di notte, ma la prima sera si faceva un’eccezione e i gendarmi chiudevano un occhio per ordine del Doge in persona. Dunque era l’occasione per fetta per incontrare Alfonso. Era così bello ed elegante!
– Parli del diavolo…- sussurrò Verenia, alzando il viso verso il ponte di Rialto.
Un gruppetto di ragazzi era appoggiato al parapetto e guardava le gondole passare nel canale sottostante. Tra di essi spiccava un giovane riccamente vestito, dal portamento altero e i lineamenti finemente scolpiti. I suoi occhi verdi come il mare erano fissi su Fiammetta. La fanciulla si sentì come se le avessero acceso un fuoco nel petto. Alfonso le rivolse un elegante cenno di saluto con la testa e un sorriso che tutto era tranne che innocente.
– Avrò una maschera di pizzo bianco ornata di perle, un vestito bianco e oro e un ventaglio di piume. I miei capelli saranno intrecciati di nastri rossi e splendenti come il mio nome. Riferisciglielo, Verenia. –
L’amica annuì, un sorriso sardonico celato dietro il ventaglio.

L’aria fresca della sera portava la musica e le risate della festa fino al cielo stellato. Giocolieri e mangiafuoco erano appostati in ogni angolo, ogni calle era adornata di festoni di seta colorati e luminosi, petali di fiori profumati ricoprivano il suolo, emanando dolci fragranze che quasi nascondevano l’odore forte dell’acqua dei canali. Ovunque, nella meravigliosa città lagunare, maschere di ogni tipo ballavano, ridevano, spettegolavano e passeggiavano, salutandosi senza riconoscersi.
Mantelli di velluto ricamati frusciavano sfiorando il suolo, gonne di seta tempestate di pietre preziose scintillavano ad ogni svolazzo, copricapi di piume e lustrini fluttuavano leggeri attorno a lucide maschere di raso, di pizzo, di stoffa. Ogni maschera era diversa, ma allo stesso tempo uguale alle altre. Ogni maschera celava il vero volto di chi la indossava e annullava l’identità di ognuno. C’erano uomini vestiti da donne e donne vestite da uomini. C’erano poveri vestiti da ricchi, giovani vestiti da vecchi, brutti vestiti da belli. C’erano buoni rintanati dietro maschere tetre e spaventose e malvagi appostati dietro maschere dolci e candide. Tutti erano tutti e tutti erano nessuno. Tutti erano ciò che non erano e non sarebbero mai stati. Per quella notte potevano fingersi diversi. Per una notte potevano fare ciò che più li spaventava o che più li attraeva. Per una notte sarebbero stati invincibili, dietro quel sottile strato di tessuto che li allontanava o li avvicinava alla realtà. Per una notte potevano essere profondamente loro stessi: ciò che non avevano il coraggio di essere senza quella maschera. Per assurdo, erano più onesti così che senza il loro travestimento.
Fiammetta era stupenda con la mascherina che copriva solo i suoi occhi , mentre il ventaglio vezzoso celava il resto del suo grazioso viso. Passeggiava con Verenia per Piazza San Marco, procedendo a fatica, tanta era la folla.
– Eccolo, Fiammetta! È lui! Quello con la maschera nera. –
Lo vide e il suo cuore si fermò. Era tutto vestito di nero, con un largo mantello che lo avvolgeva dolcemente. La maschera copriva la metà superiore del suo volto e il cappello dall’ampia tesa ornato di piume nascondeva la sua chioma castana. I suoi occhi, però, più verdi che mai, lo rendevano perfettamente riconoscibile. Le fece un inchino, indugiò sul suo viso un attimo di troppo, poi si voltò e si avviò tra la folla.
– Forza, seguilo!-
Verenia le diede un colpetto. Fiammetta esitò, poi prese coraggio. Senza perdere di vista quella macchia scura tra i mille colori dell’immensa tavolozza che era la piazza, lo seguì, mentre si immetteva in un vicolo illuminato e festoso. Ogni tanto, Alfonso si voltava per sincerarsi della sua presenza, sorrideva e proseguiva, per strade sempre più strette, meno affollate e più buie. Fiammetta non se ne accorse, tanto era presa dall’ eccitazione di poter stare finalmente sola con lui. Alfonso svoltò ancora una volta e Fiammetta lo seguì. Si ritrovò in una strettoia buia e silenziosa. Le luci e i rumori della festa erano lontani e quasi inudibili. Di Alfonso nessuna traccia. La strettoia finiva con un muro e un piccolo spiazzo. Dove era finito lui? Fiammetta aveva forse sbagliato svolta? Si voltò per tornare indietro ma un corpo le si parò davanti e le sbarrò la strada. Nonostante la luce scarsa, la giovane si accorse che non era Alfonso. Il losco figuro era, sì, vestito di nero, ma i suoi occhi non brillavano come il mare. Erano scuri, come la pece. Spaventata, Fiammetta si voltò di nuovo e fu immobilizzata da un altro uomo, anche lui di nero vestito, anche lui con una maschera sul viso. Nemmeno lui, però, era Alfonso. I suoi occhi erano freddi e chiari come ghiaccio. Basse risate le giunsero alle orecchie da ogni direzione. Alla fioca luce di una lanterna apparsa dal nulla, Fiammetta vide altre figure nere disposte in cerchio attorno a lei, ognuna con un ghigno malvagio sul volto.
– Finalmente sei mia, dolce Fiammetta. –
La voce suadente e calda era alle sue spalle. La giovane si voltò e li vide. Quegli occhi che tanto l’avevano fatta ardere e arrossire. Quegli occhi che le erano sembrati tanto buoni, ora rivelavano tutta la loro malvagità. Contornati dal nero della maschera, sembravano uscire dal buio nella notte, più simili a braci infernali che a stelle lucenti. Quegli occhi e gli occhi degli altri furono le uniche cose che Fiammetta riuscì a vedere da quel momento in poi. Gli uomini ammantati di nero si avventarono su di lei come corvi su una carcassa. A turno le strapparono il ricco vestito, le scarmigliarono i preziosi capelli, le violarono il candido corpo finchè non fu coperto di lividi, graffi e sangue. A turno le tappavano la bocca per impedirle di urlare e chiedere aiuto. Se anche lo avesse fatto, nessuno l’avrebbe udita. Erano tutti alla festa. Fiammetta era sola. Risero come satiri impazziti, grugnirono come cinghiali e la violarono senza pietà. Quando furono finalmente soddisfatti, la lasciarono nel vicolo, al buio, insanguinata e con le vesti a brandelli. La sua mascherina giaceva a terra, sporca e strappata. Fiammetta respirava a fatica, frantumata, spezzata, straziata. Lacrime calde le scendevano dagli occhi e bagnavano il selciato. Protetta dalla sua ingenuità, non avrebbe mai immaginato quanto male poteva nascondersi dietro bellezza ed eleganza. Aveva pagato a caro prezzo quella sua innocenza e ne avrebbe portato i segni per sempre. Aveva imparato che nulla è come appare, che dietro il bello c’è spesso il marcio. Se voleva sopravvivere doveva adattarsi e nascondere la fragilità e il dolore dietro una maschera di freddezza e imperturbabilità. Se voleva che nessuno si prendesse più gioco di lei, doveva essere lei a giocare d‘anticipo. Doveva prendersi ciò che voleva senza chiedere il permesso, come quei balordi avevano fatto col suo corpo. Aveva riconosciuto ognuno dei suoi carnefici e avrebbe reclamato vendetta, senza alcuna pietà. Non era più la Fiammetta innocente che era entrata in quel vicolo, ma nessuno doveva saperlo. Giurò a se stessa che nessuno avrebbe mai visto il suo vero volto. Nessuno le avrebbe mai più tolto la maschera.
Il ventaglio di piume giaceva lontano, una bianca colomba macchiata di sangue.

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