Affittasi camera di Luisa Cagnassi

Affittasi camera di Luisa Cagnassi

(da: Un cigno di nome Anna)

Casualmente, un mattino di primavera, attraversando i giardini di piazza Carlo Felice, passando in una viuzza adiacente, posasti gli occhi su di un cartoncino spenzolante, appeso alla destra di un vecchio portone. Posto in alto, onde evitare il gesto vandalico di qualche sciocco buontempone. Faticasti a leggere, ma era chiaro che si trattasse di un biglietto che proponeva l’affitto di una camera ammobiliata.
Cambiasti subito il programma e, invasa da un insolito buonumore, ti inoltrasti nell’androne, avventurandoti sulla prima rampa di scale.
Contavi i pianerottoli, quarto piano indicava il biglietto. Ampie, un po’ buie, ogni piano conduceva ad un lungo corridoio, dove erano situati gli ingressi dei singoli appartamenti.
Col cuore in gola, percorresti quell’accesso, sino alla porta, l’ultima a destra. “Chiara E.” riportava la targhetta di ottone.
Corrispondeva alla dicitura del cartoncino. Un bel respiro profondo e, titubante, premesti il pulsante rosso del campanello.
«Venu subit, chi a l’è? Chi è?» tuonò dall’interno, una voce di donna. Un attimo dopo si aprì l’uscio, rassicurato da una catenella, dal cui spiraglio sbucava il viso gioviale di una donna di mezza età.
«Scusi tanto, signora, disturbo? Io letto cartello per la camera, posso vedere, se ancora libera?» La luce scarseggiava, ma fu sufficiente un sguardo, per far sì che la padrona di casa, ti aprisse le porte, con tutti gli onori.
«Si sieda, sarà stanca dopo quelle scale, neh? è così giovane lei!» Ammirava i tuoi lunghi capelli, biondi e ondulati. Dal tuo fare gentile e dall’accento esotico, comprese le tue origini straniere. Ti fece accomodare in cucina, ambiente modesto, ordinato e pulito e, senza troppe cerimonie, ti servì una tazza di caldo caffè fumante. «Vol na stisa d’lajt? Mi scusi, vuole del latte?» Osservando il tuo sguardo stupito, si rese conto che non avevi compreso.
«Sì, grazie molto signora, lei davvero gentile. Scusi me, non capisco bene vostro dialetto, sa io non è italiana!»
Ti ritrovasti a raccontare alla tua ospite, la storia della tua vita, colpita da un improvviso raptus di fiducia, sin nei minimi particolari. Completamente a tuo agio, parlasti con lei, come se l’avessi conosciuta da anni.
Ti fece visitare tutto l’appartamento, specchio fedele della sua personalità. Semplice, genuina e schietta.
Il suo fare, apparentemente austero, camuffava un’indole allegra e goliardica, sempre pronta alla battuta e allo scherzo, sdrammatizzando ogni minima contrarietà.
Solamente parlarle, metteva allegria.
Di aspetto giunonico, dai capelli di seta, dal ricordo di un passato biondo oro, avvolti sulla nuca, in un singolare chignon. Occhi azzurro chiaro, limpidi e trasparenti come i suoi pensieri. Notasti la sua carnagione rosea, morbida e vellutata, senza rughe a rivelarne le “primavere” trascorse. Poteva avere una sessantina di anni, invidiabili.
Grande, spaziosa e luminosissima, come tutto l’appartamento, ad una sola aria, ed esposto a mezzogiorno, quindi soleggiato dall’alba al tramonto.
Un lettone matrimoniale datato primi del ‘900, come il cassettone e i comodini dalla base di marmo rosa.
Un paravento a quattro ante, dai pannelli variopinti separava, con discrezione, la zona “bagno”. Dotata di lavandino con acqua corrente, fredda. Perpendicolare al lavello, una mensola con specchio e sotto, un bidet in ceramica, dal sostegno in ferro battuto, una bacinella, una brocca e un porta asciugamano cromato. Il compatto raso del tendone verde, occultava la soglia d’uscita, indipendente, dalla quale si accedeva dal corridoio, alle scale. .
Tinteggiata d’azzurro polvere, la cucina aveva un aspetto accogliente e intimo. Ti piacque, ma ancor di più fosti conquistata, dal calore umano di quella donna.
«Alura, aj’ pias madamin? Le piace?» Ti chiese, affrontando direttamente la questione. «Sì, è qvello che io cercava, lei da a me, davvero?» Intuendo la fiducia riposta in tuo favore, ti sembrò quasi un sogno, aver conosciuto una persona così disponibile nei confronti di una sconosciuta, ancorché straniera.
«Per favore, po aspettare fino a stasera, devo chiedere mio compagno se d’accordo. Giusto no? Paga lui!» In una risata di complicità, vi accordaste per mostrargli la stanza nel tardo pomeriggio.
«Ca staga tranquila, stia tranquilla Anna. Lei mi piace, aspetto una sua risposta. Cerea neh?» Così dicendo, ti accompagnò verso l’uscita. Quando tese la mano per accomiatarsi, spontaneamente, stringendola nella tua, ti protendesti verso di lei, baciandola sulle guance rosee. Con affetto, un gesto dettato dal cuore.
«Arrivederci a stasera e grazie bela cita!» aggiunse commossa.
Scendesti le scale quasi volando, eri entusiasta ed euforica. Non stavi più nella pelle, smaniavi nell’attesa del pomeriggio.
Ti buttasti sul letto per il riposino pomeridiano, ma fu inutile. Così carica di energia, era troppa l’eccitazione per dormire. Decidesti di alzarti, occupando il tempo a curarti le mani. Ci tenevi moltissimo. In effetti erano un biglietto da visita determinante.

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