L’amore di una madre di Beatrice Saracino

L’amore di una madre

Il piccolo Harry era un orfano.
La sua casa era stata travolta dalle fiamme.
Nell’orfanotrofio in cui lo portarono quando aveva appena 6 anni, le signore il cui compito era quello di occuparsi di lui, lo facevano nel mondo più severo possibile.
Le sue guance ogni sera erano rosse dal pianto e dalle percosse fisiche.
Non era tollerato svegliarsi in ritardo, non finire i pasti o andare a giocare nel giardino senza permesso. Ogni infrazione alle precise e rigide regole veniva pagata con rimproveri ed inflizioni sulla pelle nuda dei piccoli corpi.
Con il passare del tempo il piccolo Harry si chiuse sempre di più in se stesso.
Nessuno mai venne ad adottare il povero orfanello, ed egli crebbe nell’oscurità di quell’edificio diroccato, in balia degli schiaffi e dei calci di quelle donne, vestite ogni giorno, in abito nero.
A volte, la sera, lo si poteva sentire farfugliare da solo, seduto sul pavimento, nella sua stanza, alla luce fioca di una candela.
I suoi discorsi erano sconnessi, annegati in un pianto sommesso.
“Mamma” ripeteva spasmodicamente, stringendo i suoi piccoli pugnetti rossi dal freddo di quell’ambiente. Tra le mani teneva stretto un medaglione. All’interno, la foto sorridente della mamma.
Il suo corpo, coperto dai lividi, dolente dalle percosse, si accartocciava su se stesso in cerca di quel conforto materno che gli mancava così tanto.

Alle otto, ogni sera, Harry smetteva di pronunciare il nome della mamma, spegneva la candela e si rintanava sotto le coperte.
“I bambini buoni non restano svegli oltre questo orario.” gli era stato detto già dal primo giorno.
Aveva saputo di una bambina un po’ più grande di lui, che per già per tre volte, non aveva rispettato l’orario.
Aveva sentito che “Gli Adulti” erano venuti a prenderla.
Così egli, nel letto, tremante, chiudeva gli occhi e continuava silenziosamente il suo pianto.
L’orfanotrofio era davvero un grande edificio tetro.
Le sue pareti lignee erano sbiadite, e adesso davano sul grigio. Stormi di tarli avevano divorato l’interno del legno, che adesso cigolava sotto i piedi di Harry, e ancor di più, sotto il pesante e gelido passo delle temute Signore.
Dai minuscoli numerosi buchi delle pareti, penetrava l’insensibile freddo solitario di un inverno rigido, che di niente si curava disseminando vuoto e sterilità soprattutto in quei corridoi.
Dalla bocca del piccolo Harry sbuffavano nubi di condensa che facevano rilucere la polvere, proveniente da ogni dove nella stanza, di un tenero color bianco.
Di notte, all’interno del grande edificio, si potevano sentire i lenti passi di una donna, stoviglie cadere, porte che si aprivano e sbattevano, grida di dolore e l’ululato di un lupo lontano
Qualche volta, qualcuno veniva portato via.
Ogni sera, Harry da bravo bambino, attendeva che il ricordo della sua mamma potesse alleviare il suo dolore e la sua solitudine; ma mai e poi mai, avrebbe pensato che finalmente quella sua lunga attesa, sarebbe stata finalmente ripagata; che in quello stesso giorno, tutti quegli anni di sofferenza sarebbero scomparsi e lasciato un lontano ricordo.

Quella notte, infatti, una carezza gentile risvegliò il piccolo Tommy dal suo sonno inquieto. Una calda mano lo scosse.
Non voleva aprire gli occhi. “I bambini buoni non restano svegli oltre questo orario.” ripeteva a se stesso.
“Harry”. Lo chiamò una voce gentile.
Non svegliarti.

“Harry. È ora di andare.”
La porta si chiuse violentemente con un tonfo, mentre il corpicino del piccolo Harry venne scosso da un brivido improvviso. Riconobbe il suono di quelle parole e non poté trattenere le lacrime.
Aprì i suoi piccoli occhi alla luce, e ne venne accecato. D’improvviso, dei piccoli tagli, si aprirono e senza rendersene conto, dal suo viso e dalle sue braccia, sgorgava del sangue. La sua camicetta color bianco candido, era in un bagno di sangue.
Pervaso da un uno strano calore, sentiva delle fiamme ardere dentro di lui, ma stranamente non sentiva dolore, si sentiva protetto.

“Mamma.” Sussurrò, prima che la donna lo raccogliesse dal suo giaciglio portandolo via in braccio con sè.
“È ora.” ripeté lei, stringendolo forte sul suo petto.
Harry non riusciva a vedere niente.
La sua testa affogata nel seno della madre.
Sentiva solo un forte odore di cenere.

Quella sera, la strada su cui sorgeva l’antico orfanotrofio, venne illuminata da un tepore doloroso, riempita dallo scricchiolante suono della legna secca ardente.
Dalla finestra più alta dell’edificio, una signora venne vista saltar giù, con l’abito in fiamme, stringendo a se una piccola creatura.
Dell’edificio, non restò altro che cenere, e qualche vecchia asse di legno bruciata.
Un passante si avvicinò per controllare la scena.
In mezzo all’immensa distesa di cenere e detriti, ritrovò una camicetta bianca sporca di sangue insieme ad un luccichio, lontano ma chiaramente percettibile.
Sporco e appannato dalla polvere, egli trovò un piccolo medaglione.
Lo aprì. All’interno, la foto di una donna sorridente, che teneva in braccio il suo bambino.

29 Risposte a “L’amore di una madre di Beatrice Saracino”

  1. Voto questo testo.
    Commovente…nonostante la piccola nota horror l’ho trovato molto dolce.

  2. Voto questo brano per la sua dolcezza…nonostante la piccola nota horror…l’ho trovato commovente.

  3. Voto questo testo. Un testo velato da una punta di horror, con un finale straziante ed emozionante, che mi ha fatto rabbrividire. Brava

  4. Certo e una storia che fa capire che è meglio starsene a casa propia con la propia mamma questo bambino era sfortunato e ce ne stanno tanti di persone sfortunate al mondo noi non abbiamo problemi ma c’è chi ce ne ha ha nostro posto

  5. Voto questo testo. Bellissimo veramente mi ha anche commosso. Brava!

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