Dies Irae di Claudia Lo Blundo Giarletta

Dies Irae

“Questa concerto è un mortorio, anzi, un calvario!”
La voce della donna seduta al suo fianco interruppe il vuoto dei suoi pensieri.
“Già!” rispose convinto.
Guardò la sua compagna: era stata rapita dell’ascolto per tutta la durata di quel concerto che lo stava destabilizzando. Non sapeva perché, ma quella musica era proprio un calvario.
Tum… tum… tum…, le percussioni. Frin frin frin…i violini.
L’indomani la musica aveva continuato a frullargli in testa quasi avesse voluto insinuarsi in maniera subdola in quella parte nascosta del suo intimo che non aveva mai osato controllare perché aveva creduto che, messa a tacere qualunque voce interiore, la sua vita sarebbe trascorsa secondo i canoni che si era dato sin da giovane quando, un primo colpo di pistola ben assestato a chi di dovere, gli aveva consentito di entrare nel clan più selettivo, autorevole, feroce e ricco della città.
Ora il rimbombo di un insieme di note che gli affioravano alle orecchie senza alcun ordine, senza melodie sembravano indurlo a vacillare: Tum tum tum, le percussioni, frin frin frin i violini.
E la voce di quel soprano! L’avrebbe uccisa proprio lì, mentre cantava, perché la sua voce sembrava volergli scendere in petto, per grattare qualcosa e illuminare il buio che vi si trovava. Si era sorbito il canto tenendo gli occhi chiusi.
Perché era andato a quel concerto? La risposta era banale: lo faceva per farsi vedere da chi avrebbe voluto vederlo morto ammazzato o in galera.
Tutte scuse, lo sapeva!
Era andato malvolentieri e solo per accontentare la sua ultima conquista, invece avrebbe fatto bene ad andare al casinò, a bere, scherzare.
“Dai accompagnami, voglio mettere il vestito che mi hai comprato perché devo far morire d’invidia quelle sceme che fanno tanto le sostenute con me.”
Le aveva rivolto uno sguardo da gatto sornione:
“Bellezza mia, invece di indossare il vestito nuovo, ti toglierei quello che hai addosso!”
“Dai, non è l’ora per queste cose!”
E lui l’aveva accontentata perché con le sue donne era sempre stato debole. Aveva accontentato anche Luisetta quando, finita la loro storia, lei gli aveva detto che avrebbe preferito che lui la uccidesse piuttosto che essere abbandonata. Gli fremette il labbro al ricordo: l’aveva accontentata e con un colpo solo aveva messo a tacere quella testolina sciocca.
Riuscì far tacere quel ricordo ma non quelle note che continuavano a ronzargli in testa.
Ricordò che lo stocco finale l’aveva data l’ultima parte di una sinfonia che nel titolo faceva presagire chissà cosa di magnifico e fantastico, e invece gli era sembrata la musica più deludente della serata. Gli era rimasto impresso il titolo: Quinto movimento. Sogno di una notte di sabba. Mentre ascoltava gli era venuto in mente che, quel Berliotz, qualcuno avrebbe dovuto ucciderlo nella culla e così lui avrebbe evitato di provare quel rimescolio intimo che lo faceva soffrire, e che aveva dato la stura a certe immagini forti: un uomo camminava trascinando sulle spalle una croce e ogni tanto lo guardava. Le note proseguivano e l’uomo guardava lui mentre altri lo inchiodavano.
Aveva provato un senso di fastidio, quasi ribrezzo, a quella visione.
La musica divenne allegra e le visioni scomparvero per riapparire al nuovo ritmo triste. L’uomo era in braccio a una donna piangente: la madre! Solo una madre può piangere in quel modo per un uomo morto. La donna sembrava dirgli:
“Vedi come me lo hai ridotto? Vedi cosa gli hai fatto?”
Avesse potuto, sarebbe andato via dalla sala, ma sarebbe stato un comportamento incivile e così colse le note del dies irae.
Musica macabra, antica, la suonavano al suo paese al seguito del carro dei defunti.
Finalmente il tormento musicale era finito, ma il suo malumore era aumentato.
La cena al ristorante e il solito conversare, poi al Casinò dove aveva perduto: nulla era riuscito a fargli acquistare la padronanza di sé.
La fine della serata per lui non aveva avuto nulla di sensuale perché, al rush finale, che a Minette aveva dato l’appagamento totale, gli era sembrato di sprofondare in una grande insoddisfazione: di cosa?
Tum…Tum…Tum… Frin… Frin…Frin… Dies irae!
Nel suo studio cercò al computer il significato di dies irae e trovò parole correlate al peccato, perdono, resurrezione!
Incassò la testa tra le mani, i gomiti a ponte poggiati sul ripiano della scrivania.
Tum…Tum…Tum…Frin…Frin…Frin… lui era un peccatore!
Perché la visione di quella madre piangente?
Gli passò nella mente il ricordo di tutto il male fatto del quale aveva goduto.
Forse era giunto il momento di ravvedersi? Una bella confessione al prete e…anche al commissario!
Ma i suoi ricordi? Chi glieli avrebbe cancellati?
Tum…Tum…Tum… Frin…Frin…Frin… Dies irae!
No, per lui non ci sarebbe stata alcuna redenzione: non aveva altro scampo se non quella di farla finita.
Estrasse una pistola dal cassetto e la puntò alla testa. Chissà se lassù Qualcuno avrebbe capito il suo gesto?
Mentre partiva il colpo ebbe la sensazione di udire una stupenda voce di soprano che…

13 Risposte a “Dies Irae di Claudia Lo Blundo Giarletta”

  1. Voto questo testo. .. un finale decisamente incisivo. I sensi di colpa a volte , possono lasciare posto a gesti davvero inaspettati

  2. Voto questo testo.
    L’insoddisfazione, svuota la coscienza e cerca nuove emozioni che poi distrugge. Il male è dentro. Redimersi, ha un solo mezzo, secondo la sua anima, eliminare se stesso per smettere di causare dolore. Nel preciso istante che il colpo lo trafigge e spegne la musica lo accompagna e stavolta è dolce e liberatoria. Intricato, subdolo ma efficace. Brava.

  3. claudia ti sei cimentata in un brano che sembra il Bolero di Rave: un crescendo sospeso imperdibile, imbarazzante, tachicardico. Mi è piaciuto!

  4. molto bello. Il potere delle note musicali non ha limiti… anche quello di toccare nel profondo una persona che sembra non averlo. Voto per questo testo

  5. Potere della musica: tocca l’anima nei punti più profondi e ti sconvolge! Voto questo testo!

  6. Voto questo testo
    Coinvolgente!!!!! Mi ha commosso, entusiasmato e fatto riflettere; cosa si può chiedere di più a un breve racconto?

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