La dama di Maena Delrio

La dama

Tema: Il quadro e Una Manciata di Minuti Dopo Mezzanotte

È qui, di fronte a me e mi guarda. Sento i suoi occhi che frugano dappertutto, soffermandosi sui particolari della mia persona che voluttuosamente illanguidisce tra i cuscini e il velluto: sul drappeggio del lenzuolo che ricopre pigramente le mie gambe in pieghe e grinze scomposte, sulle mani che tengo incrociate sul ventre, sul collo flesso morbidamente sul bracciolo del divano. Non parla, sta dritto in trepidante attesa, aspettando forse un mio cenno, una mia parola. Illuso! Pensa forse che mi sarei dischiusa, ancora una volta per lui, come un mucchio di petali che racchiudono segretamente una profumata corolla? Avrebbe voluto che io dimenticassi e giacessi con lui, ancora una notte, nonostante l’orrore, il sangue? Ho visto la mia vita scorrermi tra le mani… No. Anche se tornasse, notte dopo notte, per mesi o anni, troverebbe solo il mio volto, l’espressione dell’odio dipinta nel mio sguardo, insieme a un barlume di sfida tracciato appena sotto gli occhi, una ruga inconsistente, una venatura d’azzurro.

Avrei voglia di urlargli addosso tutto il mio disprezzo: “Varca la soglia, se ne hai il coraggio! Cosa ti spinge a venire innanzi a me… lussuria, bramosia, possesso o cos’altro? Ora piangi? Non fare il bambino, vuoi forse chiedermi perdono? Oh sì, ecco cosa anelano le tue mani in preghiera, mentre si tendono davanti alla mia figura impassibile. Ecco perché aspetti il rintocco della mezzanotte in piedi, per poi cadere in ginocchio, quando ti accorgi che le tue invocazioni sono state vane”. Io però non urlerò. Non avrà più nulla da me, neppure il ludibrio. Questa è la vendetta che alimenta il fuoco della mia anima. È ciò che mi rende immortale. È il rosso scarlatto che infiamma la tela, il sangue che cola copioso dalle crepe del muro, ogni volta che lui cerca di violare il mio sepolcro di rabbia.
****
Quando Elsa e Giovanni arrivarono al castello, s’era appena fatto giorno. L’edificio giaceva in rovina, un cumulo diroccato di pietre, legno marcescente, muschi e licheni avviluppati alle assi ove un tempo ci doveva essere stato un pesante portone. La ragazza corse dentro per prima: “Dai Giovanni, non sei curioso? È bellissimo, qui!” La voce squillante riecheggiava attraverso gli spessi muri che, per un qualche miracolo d’ingegneria, parevano resistere allo scorrere inesorabile del tempo. “Elsa, dove sei?”. I due amanti giocavano a nascondino, rincorrendosi nel labirinto di ruderi che un tempo avevano conosciuto grandi fasti, e un’immane tragedia che, a quanto avevano raccontato loro al villaggio dove albergavano, aveva segnato l’inizio della decadenza.

Ad un certo punto tutto tacque: erano arrivati. Di fronte a loro, l’eterna bellezza che trasudava dalla nuda roccia; come se fosse stata affrescata recentemente, la dama senza nome risplendeva di luce propria e occupava l’intera parete; pareva quasi vigile, pronta ad alzare la sua mano pallida per far cenno ai suoi visitatori di entrare e accomodarsi nella sua dimora di pigmenti e terre colorate. Giovanni stava per parlare, ma Elsa gli fece cenno con la mano: ogni parola sarebbe stata superflua e fuori luogo di fronte a tanta arte. Rimasero a lungo di fronte alla donna, in religioso silenzio. Fu Giovanni a rompere l’incantesimo: prese la mano di sua moglie e la ricondusse mestamente alla realtà. Mentre ripercorrevano il sentiero, che li avrebbe riportati al villaggio, Elsa era turbata: “Quegli occhi, Giovanni. C’era qualcosa in quegli occhi che mi fissava.” Giovanni abbozzò un sorriso, seppur senza troppa convinzione: “Sei troppo suggestionabile tesoro. Sono solo leggende. Davvero credi che un’anima condannata alla dannazione eterna vaghi per quelle rovine, in cerca del perdono di colei che ha ucciso per errore? È pura follia, dai!”. Elsa lo ascoltò e sorrise a sua volta: “Hai ragione, dev’essere come dici tu”. Non sapeva Elsa che anche Giovanni aveva sentito qualcosa, davanti a quel muro, ma non l’avrebbe mai ammesso. E, più si allontanava dal castello, più si faceva breccia nella mente il dubbio di aver solo sognato.
****
Il sole cominciava già ad affievolirsi, mentre i suoi ultimi raggi cercavano di aggrapparsi inutilmente alle cime della montagna. Ancora poche ore e il miracolo si sarebbe nuovamente compiuto. Un uomo e una donna, l’uno di fronte all’altro, a sfidare il reciproco dolore, furore, tormento e pianto, per l’eternità.

21 Risposte a “La dama di Maena Delrio”

  1. Voto questo testo. Ho la sensazione di una penna matura, dietro le parole che lo compongono. Non è un “testo” ma un vero e proprio racconto. Brava!

  2. Voto questo testo.
    Ancora una volta non ti smentisci Maena: complimenti, molto ben descritto, avvincente.

  3. Voto questo testo. Niente male! Hai un bello stile pulito e persuasivo.

I commenti sono chiusi.