Dentro la scatola di Maena Delrio

delrioDentro la scatola

Il commissario Adam Berg esaminava le fotografie sparpagliate sulla sua scrivania, tamburellando con le dita della mano sinistra sul coperchio di una scatola cinese che faceva bella mostra di sé sul ripiano. Se non fosse stato per il pallore vitreo degli occhi, e il cranio completamente rasato, a un osservatore poco attento il soggetto delle immagini sarebbe parso un’opera d’arte moderna. I ragazzi dell’anticrimine l’avevano soprannominata la ballerina triste, per via dello sguardo appannato che sembrava perdersi nel cielo azzurro. La ragazza era stata ritrovata nuda, sul ciglio di un dirupo, in cima a un’altura a est della città, protesa nel vuoto in quella che sembrava a prima vista una posizione di danza classica: il viso ruotato verso il sole, il collo in estensione, il corpo sostenuto su una gamba sola con l’altra sollevata all’indietro, il ginocchio piegato e ruotato all’esterno più in alto del piede corrispondente, un braccio sollevato in avanti mentre l’altro si apriva a lato come un’ala di uccello; sul corpo nessun segno apparente di lesioni, ma una rete intricata di lenze e pulegge piccolissime tese dagli arti verso il terreno. L’esame del coroner evidenziava come i cavetti fossero stati inseriti sottopelle e fissati alle ossa” post mortem”, un lavoro certosino che aveva sicuramente impegnato il killer per svariati giorni. La donna doveva essere stata uccisa altrove, conservata presumibilmente in un luogo molto freddo e solo secondariamente sistemata sull’altura. Senza nessun’impronta sul corpo o sul terreno, nessun oggetto che potesse facilitare l’identificazione del cadavere, il caso si presentava come il più difficile degli ultimi vent’anni in quella regione. Eppure Berg non ne era rimasto particolarmente impressionato, in fondo non era più affar suo, o perlomeno avrebbe cessato di esserlo di lì a poco. Accanto alle foto, infatti, c’era la lettera di trasferimento presso il commissariato di un piccolo paese del nord, nella regione dei grandi laghi, arrivata al distretto solo poche ore prima. Questo significava che la ballerina sarebbe passata nelle mani di qualcun altro.
Berg era così assorto nei suoi ragionamenti da non accorgersi che il suo vice era entrato in ufficio, e lo fissava dall’altra parte della scrivania.
«Quindi è vero quello che dicono. Il capo abbandona la base. »
Adam alzò la testa, e sorrise :«Ti dispiace bussare quando entri, Paul? Fino a prova contraria questo è ancora il mio ufficio.»
Paul si tolse il cappello e lo strinse tra le mani, reprimendo l’impeto di rispondere a tono al commissario: «E’ che in quattro anni non abbiamo mai avuto un caso simile…e…». Il suo tono di voce tradiva una profonda inquietudine, mista a un’esaltazione che solo un avvenimento straordinario può dare. Certamente qualcosa era cambiato, in un paesino in cui le effrazioni più gravi finora erano state le violazioni di domicilio e i vari arresti per ubriachezza molesta.
«Sai che ti dico, Paul?». Berg interruppe bruscamente il suo vice, porgendogli la scatola cinese «se apri questa scatola, sono pronto a dimenticare il trasferimento. Resto qui e prendiamo quel pezzo di merda, lo giuro su Dio».
«Mi prendi in giro capo?» Paul sgranò gli occhi, si rimise il cappello in testa e girando sui tacchi uscì dall’ufficio sbattendo la porta, lasciando Berg con il braccio ancora proteso sopra la scrivania e quel suo sorriso strafottente sulla faccia.
«Idiota» sibilò Adam appena la porta si fu chiusa. Con una mano spostò bruscamente le fotografie, che caddero in terra senza far rumore, quasi fossero prive di peso. La scatola era circa delle dimensioni di una tabacchiera, di legno scuro finemente decorato. L’apertura segreta stava nell’arabesco laterale, mimetizzata tra le originali linee del disegno. Quando la aprì, la serratura fece un suono quasi impercettibile. Berg ebbe un sussulto. Infine dalla tasca destra della giacca tirò fuori una ciocca di capelli, rossa come il fuoco. La tenne sospesa in aria per qualche secondo, poi chiuse gli occhi e annusò profondamente. Fu come una botta di cocaina, come quando lo stupefacente arriva al cervello e le sinapsi cominciano a viaggiare sempre più velocemente. Il commissario pensò che avrebbe avuto un orgasmo proprio lì, in quell’ufficio. Cercò di riprendere l’autocontrollo, diede un’ultima occhiata alla ciocca e la ripose nella scatola cinese, insieme alle altre. Sorrise al pensiero di quanto era stato vicino a farsi scoprire da Paul, ma il bello del gioco era anche l’eccitazione che provava a stare sul filo del rasoio: un giorno qualcuno avrebbe collegato gli omicidi tra loro, e trovato un nesso tra lui e le ragazze, ma quel momento non era ancora arrivato. E forse non sarebbe arrivato mai. L’occhio cadde sulla destinazione che lo attendeva: aveva letto su internet che nei fiumi si pescavano i salmoni, era sicuro che si sarebbe divertito. E ci sarebbero state tante ragazze dai capelli rossi: avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta.

14 Risposte a “Dentro la scatola di Maena Delrio”

  1. Voto questo testo; molto ben costruito e avvincente. Mi è piaciuto molto

  2. Ben scritto e ben costruito. Brava Maena! Voto questo testo

  3. Bellissimo racconto che mi ha lasciato con il fiato sospeso fino alla fine…e che finale! Voto questo testo

  4. Grazie a tutti di cuore , sono contenta che l’abbiate apprezzato

  5. Voto questo testo.
    Trascinante, scritto in modo perfetto e ricco di sfumature e particolari. Brava Maena.

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