Un’altra me di Rossella Gallucci

Un’altra me di Rossella Gallucci

Tema: Lui, lei

«Signora? È tutto finito, stavolta è andata meglio della scorsa.» Freddo. Ti penetra nelle ossa, ti fa sussultare. Oddio, dove sono? Ah sì ricordo, la sala operatoria. Ahi che dolore, le gambe non le sento più. Il tremore mi sconquassa le ossa, unico sollievo il getto di aria caldissima che mi hanno messo sotto alle coperte. È finita, è finita, meno male. C’è un viavai di infermieri e medici intorno a me. Vanno e vengono dalla sala operatoria, il passo frettoloso di chi ha molto da fare. Ogni tanto rallentano per domandarmi come va. «Ho freddo» dico «e ho la nausea». «È normale» risponde l’anestesista nel suo camice di garza verde, la testa bombata dal cappellino dello stesso colore. Non ha alcuna intenzione di darmi sollievo, la domanda è di routine, fa parte delle circostanze. Continua il suo percorso veloce e scompare dentro la sala. L’altra paziente sarà lì, pronta a farsi infilare l’ago nel braccio e iniettare il contenuto delle diverse siringhe che l’uomo tiene nel taschino del camice, come fossero penne e, una dietro l’altra, ne spinge il contenuto dentro quell’ago nel braccio. Come nei film americani, quando il condannato a morte, legato al lettino, osserva inerme le siringhe abbassarsi una dietro l’altra, aspettando il momento fatale. Ed è come un’onda che t’investe all’improvviso e ti fa sbandare, anche se sei sdraiata e non puoi cadere, ma ti sembra di sprofondare giù, verso l’inferno. Poi più niente. Ma è tutto finito e questo basta a darmi sollievo. Rumore di ferraglie, una porta che si apre e si richiude sbattendo, aria fredda che arriva. Poi un’infermiera con due occhi turchesi sorridenti che mi guardano al di sopra di una mascherina mi spinge verso l’ascensore. «Tutto bene? Ora la porto in camera». Nella mia stanza mi accoglie Tom, sorridente. «Ti stavo aspettando, bentornata.» Mi dà sollievo sapere che c’è. Prendersi cura di qualcuno – questo mi viene in mente ora – è ciò che alcuni mestieri richiederebbero. Amore, questa è la parola chiave, la porta che apre tutte le altre, il fluido che scalda. Amore, amore incondizionato, senza ritorno. Chissà come sarà quando uscirò di qui, quando non sarà più costretto a fingere e dovremo affrontare il nostro rapporto. L’infermiera dagli occhi turchesi entra e mi chiede di nuovo come va. Ora ha il volto scoperto e se non fosse stato per gli occhi, quasi non l’avrei riconosciuta. È molto bella e ha un fare garbato. È l’unica persona finora che sembra preoccuparsi davvero. Le altre sono professionali ma senza empatia. Tom non si è più mosso dalla poltrona accanto al letto, sembra in uno stato catatonico. Meno male che era preoccupato per me. Fra due giorni torno a casa e tutto cambierà. Lo so che è finita, non c’è niente che possa riportare le cose come prima. Per un po’ devo essermi addormentata perché ora fuori è buio pesto. Mi giro verso destra e ho un tuffo al cuore. La poltrona letto è vuota. Dove sei Tom? Sicuramente fuori a telefonare a quella troia, non ne può proprio fare a meno. E dire che fino a un anno fa ero la sua vita. Non dovevo accettare quella vacanza a quattro in barca. C’erano già tutti i segnali, ma io non ho voluto leggerli. Quegli sguardi, quelle mezze parole, quel bloccarsi a metà quando all’improvviso arrivavo io. E tutto questo per non fare la figura della bambina che non si fida dell’amica. Eppure lo sapevo. Lì, in quello spazio angusto, dove non serviva far molto per sfiorarsi, dove i gesti potevano apparire naturali e mai provocanti, vista la promiscuità del luogo. E quel bacio a sfiorare le labbra, sul ponte quella notte. È il suo compleanno – si era giustificato. Un bacetto innocente tra buoni amici. E io lì, stupida, a convincermi di essermi fissata. Un colpo forte alla porta e rumore di ferraglia. Sobbalzo e il cuore mi va a mille come se qualcuno potesse aver letto i miei pensieri. A volte i pensieri si sentono, anche se sussurrati. È quello che mi diceva mio padre. Ecco perché ho sempre l’impressione di essere spiata. «Bevi un po’, tesoro, ti farà bene.» Che ipocrita, penso, ancora nel pieno del mio ricordo, immersa in quel dolore. Ti piangi addosso, mi dice sempre. E io mi sento morire. La parte della vittima non mi appartiene, non sono mai stata così in passato. Con lui mi sento nuda, fragile, indifesa. Il display del suo cellulare si accende e lampeggia. Lui lo prende e si allontana. È lei, eccola di nuovo. Adesso parleranno di me, e farà finta di preoccuparsi per la mia salute. Una fitta al petto mi fa mancare il fiato. Solo ora mi accorgo che ciò che mi fa più male, non è il tradimento di Tom; è lei, Sara – Saretta per gli amici -la mia migliore amica, la compagna inseparabile del liceo, delle nottate passate a piangere, dei discorsi sulla sincerità e sull’amicizia sviscerati fino alla nausea. Le lacrime scendono, scavando solchi invisibili. Mi asciugo il viso col palmo della mano e mi tiro su. Prendo lo specchietto dal comodino, mi guardo e faccio le smorfie. Non sarà il tuo momento migliore, ma sei bella, Eva.

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Totale voti: 20 – votazione chiusa alle 00.00 del 27/05/2018

Una risposta a “Un’altra me di Rossella Gallucci”

  1. Voto questo testo.
    Mai buttarsi giù. Nessuno merita questo a causa di un tradimento. una “bella” storia.

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