Il biglietto da visita di Daniela Vasarri

Il biglietto da visita

Guardava quel biglietto da visita, quel logo in rilievo, quel titolo altisonante che ormai non le faceva più alcuna impressione.
– Ancora una volta – pensava – il mio cammino m’impone una deviazione verso non so quale sentiero, strada o abisso.
Aveva bene in mente la prima volta nella quale lui l’aveva cercata, annunciando il suo ritorno sulla scena professionale come un gladiatore che affronterà l’arena e ne uscirà vincente. E lei, Lorena, colma di stima acquisita negli anni, gli aveva creduto. Lo aveva incontrato in mille appuntamenti, aiutato a creare una rete di contatti utili perché quel progetto, quel loro progetto nel quale l’aveva coinvolta, risultasse perfetto, all’altezza della sua magnificenza.
Ma i tempi si dilatavano, come se una mano divina si divertisse ad ostacolare l’esordio naturale di quella realtà. Lorena attendeva e lavorava, credeva alle parole di quell’uomo che non considerava più un capo, ma un amico che l’aveva scelta come persona fidata e unica meritevole di poter fare parte della sua squadra di privilegiati.
Ogni volta che qualcosa s’ inceppava, lei lo giustificava pensando, erroneamente, che le cose più belle debbano essere sofferte. Lo credeva, perché così le avevano insegnato anni di finta saggezza impartita dai suoi famigliari.
Ma Lorena dovette cedere perché non poteva vivere di promesse e di mancati guadagni nell’attesa che quell’uomo iniziasse finalmente quell’incarico che assomigliava ogni giorno di più ad un miraggio.
– Vado – gli disse – devo impiegarmi da un’altra parte, ma quando sarà tutto pronto chiamami ed io ci sarò.
Passò di nuovo un lungo anno, nel quale il suo pensiero correva a lui, quando era stanca, scoraggiata, quando le ore in quel posto di lavoro sembravano una trincea, malgrado fosse sicura.
– Mi riscatterò – pensava – mi chiamerà presto, lo sento.
Non fu poi così presto ma quella telefonata la riempì di gioia, fino alle lacrime.
– Ce l’abbiamo fatta, vieni, lascia quel posto.
– Sei sicuro davvero ? – chiese Lorena con una voce che le saliva da dentro e che non riconosceva.
La settimana seguente lei e il suo capo erano assieme, nuovo ufficio, nuova zona, i mille progetti fatti negli anni precedenti rispolverati. Un tripudio di gioia ma velata da un’inspiegabile paura.
Passarono ancora un paio di mesi, Lorena strappata al precedente posto di lavoro, modesto ma sicuro, attendeva ora di vedere concretizzarsi guadagni e incentivi, ma nulla.
Poi i dubbi diventavano ad ogni ora insopportabili, guardava negli occhi il suo capo e gli leggeva lo sconforto, la mancanza di risposte concrete.
– Non può essere che sia tutta una meschina messa in scena, vero?
– Non lo so, cara amica – le aveva risposto lui, lasciando cadere le braccia in modo desolato.
Lorena sentì la sua fragilità e la sua disperazione, erano caduti in una trappola che aveva rovinato la vita ad entrambi.
Proprio loro che un tempo avevano creduto di ricostruire un piccolo impero, simile a quello nel quale sia erano conosciuti ed apprezzati, ora erano inermi, beffati e senza un lavoro.
– Dammi un motivo – gli chiese Lorena in una delle ultime telefonate.
– Non lo so, lo scopriremo. Forse, un giorno.
Così, ora mentre osserva quel biglietto da visita di uno dei pochi che potrebbe offrirle un impiego, un salvataggio insomma, chissà perché Lorena ne ha paura.

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