La sala degli arazzi di Claudia Lo Blundo Giarletta

La sala degli arazzi

Tema: Il Quadro

Fuori concorso

Nunzia prese il carrello delle pulizie e si avviò. Camminava sui pavimenti di marmo. Oddio, camminava! Diciamo che si trascinava poggiata al carrello. Quel mattino stava proprio male, e il dolore l’avrebbe accompagnata sino al pomeriggio, per lasciarla in pace per poche ore, quando suo marito sarebbe rientrato. A tarda notte? Lo sperava!
Ormai era come un rituale: il marito rientrava a casa ubriaco e se aveva vinto al gioco voleva festeggiare con lei, a modo suo: si quello lì. Se aveva perduto, ebbene anche allora Nunzia diventava lo scarico per la rabbia di suo marito: si sfogava su di lei e non voleva capire che essendo ubriaco risultava impossibile ogni approccio sessuale.
Nunzia quel mattino era particolarmente distrutta. Ma perché continuava a stare con lui? Già, se lo domandava ma si dava la risposta: temeva che se fosse andata via, lui l’avrebbe trovata e l’avrebbe ammazzata.
Non aveva un’altra vita: solo il lavoro, la tv mentre sgranocchiava pop corn e poi lui, a letto.
“Buon giorno Nunzia. Come va? Ma che, zoppichi?”
“Buon giorno Rosina, si, che vuoi, con l’età, i dolori.”
“Ma che età, sei ancora giovane. Sai mi piaci perché sei sempre sorridente. Beata te, le cose ti vanno bene! Almeno hai uno straccio di marito” Rise.
“Già!” Rise anche Nunzia. “Se vuoi te lo regalo!”
“Si, ti vorrei vedere! Che vuoi fare? Lo so mi piango sempre addosso perché non ho un uomo! Va beh. Andiamo. Dove sei stamattina?”
“Vado al Salone degli Arazzi.”
Si lasciarono con un sorriso. Nunzia la invidiò ma, per la prima volta si domandò se anche il sorriso della collega non fosse falso.
Zoppicando entrò nella sala degli arazzi. Chissà perché, quando le toccava quella sala, lei si sentiva felice, anche se quegli arazzi, alcuni dai colori scuri, avrebbero fatto venire la depressione a chiunque.
Il fatto é che in quella sala si trovava un quadro particolare, sarà stato largo un metro per un metro, la cornice era argentata e il quadro, nascosto dietro un vetro, sembrava rallegrare tutt’intorno. Non aveva nulla di prezioso quel quadro e Nunzia si chiedeva ogni volta cosa ci stesse a fare lì: tra gli arazzi, sembrava una nota stonata. Nonostante ciò quel quadro le faceva apparire meno pesante il lavoro lì dentro. Talvolta si sedeva a contemplarlo: una distesa di verde punteggiata da fiori multicolori, una montagna in fondo e da dietro faceva capolino il sole, un laghetto più avanti e in cielo una nuvola deliziosa, bianca, di panna montata.
Dopo aver guardato quel quadro tornava a casa più serena.
Quel mattino Nunzia sedette subito di fronte al quadro, non per immergersi nella serenità che altre volte quella visione le aveva dato, ma solo per riposarsi.
Guardava il quadro e a un tratto le venne in mente di aver visto un film tanti anni prima. Al cinema? No! Costava troppo: a casa, da sola, seduta con a fianco la ciotola di pop corn.
Il personaggio del film entrava e usciva da un quadro e poi, infine rimaneva lì dentro, felice perché vi aveva incontrato le persone che aveva amato.
Chiuse gli occhi al pensiero di quante stramberie possano raccontare i film.
Li riaprì: le sarebbe piaciuto fare una passeggiatina su quel quadro, raccogliere fiori, bagnarsi nel laghetto e poi, quando il sole avrebbe inondato la valle si sarebbe riposata al suo calore. Le sarebbe piaciuto perché, nata e crescita in città, non aveva mai corso su un prato, né raccolto fiorellini.
Stava male. Chiuse gli occhi. Li riaprì e si trovò in una distesa di fiori che sbucavano da un infinito prato fiorito. Iniziò a correre, felice. Trovò delle piante di fragole ne raccolse alcune e le mangiò.
A un tratto si fermò: non poteva essere vero! Le botte ricevute dal marito la stavano facendo diventare matta?
Si ritrovò seduta sulla panca, triste, perché era nella vita di sempre e invece per un attimo aveva avuto un momento di serenità: correva felice nel prato. Felice: fuori dal tempo, fuori dallo spazio.
La invase una strana malinconia mentre capiva che forse doveva solo desiderarlo intensamente. Nel quadro si era resa conto di essere libera, serena e lì suo marito non avrebbe potuto raggiungerla.
Chiuse gli occhi mentre si sentiva improvvisamente come risanata. Quando li riaprì si ritrovò nel prato profumato, il sole era sbucato da dietro la cima e la nuvola bianca era più in là, intanto in cielo si levava un felice cinguettio che annunciava che sul prato iniziava un nuovo giorno.
Nunzia guardò tutto questo sorpresa, felice. No, non era matta, era tutto vero! Allora si girò in dietro stupita: sulla panca, riverso come se dormisse c’era il suo corpo. Pensò che i miracoli accadano e a lei era accaduto. Non ebbe alcun rimpianto per il corpo lasciato sulla panca e corse felice: ormai nessuno le avrebbe fatto altro male.

* * *
Un marito inconsolabile seguiva il feretro, ma nessuno poteva immaginare il suo interiore sorriso satanico. Il veleno era stato bravo, anzi, lui era stato bravo: nessuna traccia all’autopsia e finalmente si era liberata di quella grassa, rognosa rompipalle.

11 Risposte a “La sala degli arazzi di Claudia Lo Blundo Giarletta”

  1. peccato ia fuori gara..semplicemente meraviglioso 🙂 complimenti

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