Elena e il mendicante di Allie Walker

Elena e il mendicante di Allie Walker

allieLa vita è un lampo fugace, bella, dolorosa a volte e non può essere controllata. Siamo viandanti del tempo, leggeri come foglie, gettati nel vento della vita. Alloggiamo sulla terra per un periodo breve, viviamo sul bordo di noi stessi e anche nell’oltre.
L’unica voce costante, vera ed eloquente è l’amore. Saremmo mostri a negarlo, pazzi a cercare di gestirlo e fuggirlo. Tuttavia molti ne hanno paura, cercano di eluderlo e di distruggerlo, diventando demoni di altri sentimenti oscuri e negativi.
Quando arriva però, ci travolge e noi non ci riconosciamo più.
In quel momento amiamo anche l’amore, non solo le persone e lo faremo finché non saremo prosciugati, singhiozzanti e sorridenti lo ricorderemo come uno dei momenti migliori della nostra vita.
L’idea dell’amore è la linfa vitale, vedi tutte le cose diversamente, necessario come l’aria che respiriamo. Si ha voglia di divorarlo, voglia di berlo, perché è tutto quello che ci resta quando tutto il resto si dilegua nelle nebbie della vita. Quando non c’è più siamo il nulla.
Elena… Lo aveva perso l’amore!
Ora si apprestava ad uscire, come sempre tutta concentrata sulla sua figura e sulle apparenze, l’ultimo suo sguardo diretto allo specchio del mobile all’ingresso della sua lussuosa casa. Un ultimo controllo coronato da una smorfia di disgusto. No, decisamente Elena non si amava, nemmeno lei sapeva il perché.
I lunghi capelli biondi, morbidamente appoggiati alle spalle, lo sguardo intenso sottolineato dal trucco, l’abitino nero che avvolgeva la sua figura indegnamente corto, le sottili calze e i tacchi altissimi,. Una figurina sottile ma di così grande effetto, eppure lei non ne era consapevole.
Uscendo, indossò il soprabito e chiuse a chiave, tripla mandata, il portone di casa. Aveva già subito diversi furti e ultimamente si preoccupava di chiudere bene e controllare più di una volta se in giro vedeva qualcuno di sospetto: ormai aveva perso la fiducia nel prossimo.
Viveva sola, in quella grande casa. Dopo la separazione da suo marito, trovato a letto con la sua cameriera, non aveva più voluto gente al suo servizio. Inoltre, sempre impegnata al lavoro, non aveva bisogno di curare la casa come prima, né di pasti pronti, andava alla mensa della sua casa editrice. Non invitava mai nessuno a casa sua, si serviva di ristoranti in occasioni ufficiali. Una donna di servizio a ore si occupava delle pulizie e del bucato. Una bellissima casa, dotata di tutti i comforts adeguati al suo status, ma così vuota da sembrare quasi squallida.
Quella sera doveva intervenire alla presentazione di un nuovo libro, un giovane scrittore emergente, un nuovo libro per Natale.
Il momento giusto per poter vendere, il periodo giusto per il lancio, una copertina accattivante, un prezzo congruo, un marketing tambureggiante su giornali e web… tutto studiato alla minima perfezione, nonostante avesse dei dubbi sul contenuto del libro stesso. Ma si sa, il mercato era strano. Quello che si pensava potesse piacere in maniera normale, poteva diventare invece il più grosso flop degli ultimi tempi o poteva accadere l’esatto contrario, per cui si apprestava come sempre a fare la sua presenza, lasciandosi coinvolgere al minimo, quasi senza interesse.
Trascinava la sua vita in quella maniera da circa un anno. Interveniva quando ne avevano bisogno, assisteva quando c’era la necessità, presenziava quando l’evento era piuttosto importante. Per il resto del tempo, rimaneva chiusa in ufficio giusto il necessario per svolgere le sue mansioni di titolare della casa editrice oppure andava in viaggio in luoghi stupendi, sempre in compagnia di amici occasionali, giusto per non viaggiare sola.
Divertimenti e svaghi effimeri erano all’ordine del giorno, ma le mancava la cosa più bella: l’amore, la gioia, la condivisione.
La festa che seguì era decisamente importante: un ricco buffet nell’atrio del grande anfiteatro, la presenza di personalità importanti della città, politici e non, tutti agghindati per le feste. Le donne ricoperte da abiti sontuosi sfoggiavano il loro sorriso migliore: erano ingioiellate ed imbellettate, il taglio dei capelli all’ultima moda. Gli uomini impettiti, impegnati a nascondere la loro vacua vanità, in discorsi pretenziosi cercando di conferirsi un tono da grand soiree. Insomma aveva messo su un evento di cui parlare il giorno dopo quando l’eco mediatico avrebbe avuto il suo sopravvento, agevolato dalle luci sfavillanti del periodo.
Non era felice Elena. Le comodità, l’agiatezza, la ricchezza, una casa invidiabile, un’azienda florida che non riempiva la solitudine del suo cuore.
Presto la festa sarebbe finita e sarebbe dovuta tornare in quella casa, che aveva visto, proprio in quel periodo l’anno prima, la fine della sua storia d’amore.
Aveva compensato con il lusso e le feste, quell’assenza. Ma ogni volta doveva fare i conti con una desolante realtà.
Quando tutti se ne furono andati, anche lei uscì dall’anfiteatro. Decise di fare una passeggiata prima di tornare a prendere la sua auto nel parcheggio. Le piaceva camminare sotto le luminarie natalizie, le donavano un surrogato di quella luce che era scomparsa da tempo nel suo cuore, le sembrava così sentire quasi un po’ di calore.
Immersa nei suoi pensieri si imbatté in lui. Un uomo vestito di stracci, senza scarpe ai piedi, rallentò un attimo squadrandolo. L’uomo sedeva a gambe incrociate, la schiena appoggiata al muro, la sua testa pendeva in avanti, il viso nascosto da un cappello.
Lui non si mosse, rimase immobile.
Non alzò gli occhi per incontrare il suo sguardo, e non le chiese qualche spicciolo, mendicando.
Rimase fermo, incurvato su se stesso, silenzioso come una pietra. Le parve strano.
La sua mente corse all’indietro, ricordò un istante di morte, quell’episodio della sua infanzia, la sua prima prova di sofferenza quando vide suo padre nella bara. E sentì come un brivido lungo la schiena, si gelò ed ebbe paura.
A quel pensiero, Elena si fermò, era come paralizzata nonostante la preoccupazione compensò il suo forte desiderio di fuggire, si avvicinò con apparente tranquillità, poi si accovacciò di fronte a lui, in modo che potesse vederla.
Vide il suo viso, gli occhi chiusi, colse un accenno di un sorriso malinconico, e confortata pensò: “E’ un uomo in pace con se stesso.”
Stava per rimettersi in piedi, per chiamare aiuto, quando lui aprì gli occhi, più azzurri del cielo, e nel vederla li, accanto a lui, li spalancò ed il suo sorriso la avvolse.
Elena riprese un respiro, il suo primo dopo un po’, e disse: “Pensavo fossi morto”.
“Stavo solo riposando… e sognando di una poesia che scrissi tempo fa.”
Lei sedette al suo fianco, porgendogli una bottiglia di acqua.
Lui si dissetò, ringraziandola, e le chiese una sigaretta strizzando di nuovo gli occhi,
“Ti piacerebbe ascoltare un poeta e i suoi sogni?”
Fu così che prese a raccontarle la sua storia.
“Ero forte, forte nel corpo e nella mente, negli intenti e nelle convinzioni, nelle verità che mi portavo appresso. Una forza che nasceva da una mente ancora integra, e da instancabili speranze.”
La sua voce spezzata, senza forza, ma Elena continuava a seguire il suo discorso interessata.
“La mia mente non era ancora stata sequestrata dalla realtà, nuda e cruda. Ero immerso nei sogni che avevo trasformato in vera e propria esistenza.”
Lui bevve un sorso di acqua, aspirò ancora una boccata dalla sigaretta. Rabbrividì nella folata di vento che li investì, ma continuò il suo racconto fantastico.
“Ero anche armato contro la paura, contro le perdite e contro l’insicurezza, scalavo una vetta di successi e compiacimenti altrui, mi sentivo invincibile, come una divinità, nonostante fossi alle prime armi. Era la mia mente e il mio cuore a guidarmi.”
Elena lo aiutò ad alzarsi proponendogli di andare a scaldarsi in una caffetteria li vicino. Lui accettò e continuò a raccontare.
“Lottai contro chiunque, una lotta ingenua, senza cattiveria, ma finii sepolto sotto la crudeltà altrui e sotto l’avidità di una donna senza scrupoli.
Emarginato ai bordi della società, ho trascinato le mie membra ora stanche…” aveva il viso scavato e pallido che risaltava sotto le insegne. Si poteva decifrare dalla magrezza del suo corpo una vita trascorsa ad elemosinare e a raccogliere i rifiuti nei cassonetti.
“Vivo perché Dio ancora lo vuole.”
Elena accarezzò le sue mani, quando si sedettero al tavolo. Non era vecchio, poteva avere circa una quarantina di anni, nonostante alcune rughe segnassero così profondamente la sua fronte. Le mani coperte da guanti laceri e sporchi, ma caldissime e forti: le mani di un uomo pulito nell’anima.
Lui continuò: “Nonostante tutto non ho mai bramato la morte, ho ancora il dono della vita, la amo anche da mendicante, e nel mio cuore regna ancora la speranza…” sorrise, gli occhi sempre più blu e limpidi… “ E poi ci sono le feste, il Natale. Ogni anno penso ad una rinascita.”
“Non so chi mi detta queste parole, ma io voglio essere la tua rinascita. Ti va di venire a casa mia?”
Una giornata indimenticabile che ancora continua, continua nelle parole che Elena legge ogni giorno, nelle sue dediche da post it, appiccicate al frigorifero, nei libri che lui continua scrivere, nei suoi occhi che continuano a guardarla.
In lei aveva incontrato la sua speranza. Elena il suo nuovo amore.
Non mancò mai più il Natale senza luce, nel cuore e fuori ad abbellire le feste.

9 Risposte a “Elena e il mendicante di Allie Walker”

  1. a volte la luce si trova nelle situazioni più imprevedibili. Voto questo testo

  2. Voto questo testo.
    Stupendo, penserei anche ad una versione cinematografica!

  3. Voto questo testo.

    Un sogno, una favola. Un invito a non perdere mai le speranze: la felicità nasce dove meno te lo aspetti. Bellissimo.

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