Cala dei pirati di Claudia Lo Blundo Giarletta

Cala dei pirati di Claudia Lo Blundo Giarletta

Genere: Onirico/Realismo magico

Ridendo e pregustando la festa di quella notte particolare, la comitiva si avventurò verso la Cala dei Pirati; nessuno osava andarvi di notte da quando, ottocento anni prima, alcuni pirati, sbarcati silenziosamente in quella cala, avevano rapito tutte le donne che con i loro uomini vi festeggiavano la notte del solstizio d’estate.
Quando uno di loro aveva fatto cenno a quella lontana notte, era stato subito zittito:
”I tempi sono cambiati e non esistono più pirati di donne.“
Un altro aveva aggiunto che, al contrario, avrebbero dovuto preoccuparsi, loro uomini, di essere rapiti dalle donne moderne.
La legna da ardere era stata accatasta, viveri e bibite poggiate su stuoie aspettavano di essere consumati.
Il fuoco non era ancora ben acceso ma già le ragazze, al suono delle nacchere e dei tamburelli, avevano iniziato a ballare: le loro gonne variopinte, abbinate a bianche camicie generosamente scollate, ondeggiavano al movimento dei loro fianchi, mentre le nacchere cadenzavano il passo dei loro piedi nudi che, alle caviglie reggevano piccolissime ciancianedde legate con nastri multicolori.
La luna sorrideva rassicurante alta nel cielo.
“Notte di luna piena!” aveva detto Totò, “Nessun pirata oserebbe venire qui!”
“Scemo!” gli avevano gridato in coro le giovani e avevano continuato a ballare.
Le musiche, la frenesia del ballo, un bicchiere di vino e il buon profumo di pesce arrostito tutto questo fu troppo per Licia che, sfinita dal ballare e dal mangiare, decise di concedersi un momento di riposo.
“Amici, mi dispiace, ma io mi ritiro… in meditazione!”
Si levò un coro di protesta: “Ma no, dove vai, stai qui!”
“Ragà, nun ci a fazzu cchiù! Ho bisogno di riposarmi, anzi, vado a rinfrescarmi un po’.”
Rivolse a tutti uno sguardo tra il comico e l’imperioso mentre, con l’indice del braccio destro disteso, intimava loro di continuare a ballare e…mangiare, mentre lei si sarebbe riposata.
“Ha parlato la professoressa! Sai che ti dico? Diccelo in latino invece che in siculo” intervenne Pino.
“Sarai un futuro ottimo chirurgo, ma siamo stati compagni di liceo e ti conosco bene: se fossi mio alunno…ti boccerei. Non hai mai capito il latino!”
Tutti risero mentre lei, seguendo il suono delle sue ciancianedde, si dirigeva verso una di quelle rocce che cingevano la cala quasi in un abbraccio.
Ne vide una, scavata a mo’ di sedile: sembrava aspettarla. Vi si sedette mentre i piedi giocherellavano con l’acqua marina.
La pace del luogo l’avvolse come l’incavo nel quale era seduta.
La musica dei tamburelli e le voci degli amici erano lontani, e ancora più lontani gli alunni che aveva lasciato a Milano.
“Rosa, rosae,rosa!”
“Noo ti boccio! Che stupidi a non amare il latino!”
“Che splendida notte! Ma da trascorrere in compagnia e non da sola, come me!”
Un senso di malinconia le prese il cuore, pensò che fosse colpa del ballo, del vino!
Nella notte serena rischiarata dalla luna che rendeva pallido e invisibile il luccichio delle stelle, notò che, all’orizzonte, due stelle riuscivano a forare il candore della luna. Non tremolavano, sembravano luci fisse. Sorrise: forse erano alieni in avvicinamento, venuti per rapire loro giovani, come era accaduto alle compaesane di secoli prima!
Una notte come quella, pensava, era fatta per fantasticare su storie di amori affascinanti e… improbabili: storie senza senso, anche se ci si illude sempre che in certe notti il sogno possa diventare realtà. Continuava a pensare, a fantasticare, cullata dallo sciabordio delle acque.
Il suono delle voci amiche era lontano, distante: si sentì avvolgere da un intenso profumo di gelsomino e, mentre stava chiedendosi da dove provenisse quel profumo, provò un improvviso bisogno di chiudere gli occhi.

Un battito di mani la indusse a svegliarsi; prima di aprire le palpebre, al pensiero che i suoi amici non potevano proprio stare senza di lei, sorrise!
Aprì gli occhi, ma il sorrise le morì sulle labbra. Su di lei era chinato un uomo, un giovane: un bel giovane, che la baciò con tale intensità da indurla a dover rispondere al bacio. Riprese subito il controllo su se stessa, deglutì spaventata, gridò nel tentativo di alzarsi ma l’uomo la bloccò e, con un sorriso rassicurante, la invitò a stare calma a non aver paura.
Licia si guardò attorno, non era più sulla roccia con i piedi a bagno, ma su una veranda ricoperta da veli bianchi, sdraiata su un canapè di tartan rivestito di raso color crema, lì, vicino, un tavolino con della frutta, un secchiello per il ghiaccio, dolcetti.
Smarrita, spaventata, chiese:
“Dove sono, dove mi avete portato, voglio andare via!”
Tentò di alzarsi, ma il giovane la bloccò ancora.
“Non avere paura, nessuno ti farà nulla, stai tranquilla.”
“Chi sei? Cosa vuoi?”
“Sono Samuel Abdul etc. Sono un principe arabo e questa è la mia casa galleggiante o, come lo chiamate voi, il mio yacht.
Lui parlava. Licia aveva acquistato il suo self control e proprio questo la stava inducendo a imbufalirsi, come le dicevano le amiche.
“Cosa vuoi da me, come hai fatto a portarmi qui, riportami a riva. Sei… un pirata?”
La voce di lui continuava ad essere tranquilla.
“Un pirata? Ma no, sono un principe! Ecco, ti ho vista mentre ballavi là, sulla spiaggia, ti ho ammirata e…ti ho desiderata. Sii mia, anche solo per questa notte: ti prometto che saprò renderti felice!”
Licia reagì senza voler considerare la commozione che c’era nella voce di Samuel.
“Tua? Ma dove vivi? Io sono solo mia. Lasciami andare!”
Si era alzata e, mentre parlava, dava occhiate rapide al parapetto dello yacht, e cercava di calcolare: se si fosse buttata sarebbe riuscita a giungere a riva?
La risata ironica e fredda di Samuel la fermò:
”Non te lo consiglio.” le disse quasi avesse letto i suoi pensieri.
Poi tentò di abbracciarla: “Non ti chiedo molto, stai con me questa notte e poi sarai libera di andare, se vorrai.”
“Ma sei pazzo! Io vado via adesso.”
Samuel non era abituato ad essere trattato così, per lui era una situazione del tutto nuova, abituato ad avere sempre le donne che voleva. Tentò di baciarla, ma lei gli diede uno schiaffo, lui rispose con uno schiaffò che lei contraccambiò. A quel punto, la risata di Samuel lasciò Licia spiazzata.
“Sei indomita come un cavallo arabo!” le disse pensando di farle un complimento, ma lei ribatté:
“O come un guerriero normanno? Scegli tu!”
Samuel le propose una tregua, le parlava per dirle quanto si sentisse preso da lei, e lei continuava a rifiutarlo: nonostante si vergognasse di doverlo riconoscere, sentiva che doveva rispettare il suo desiderio.
Ormai del tutto padrona di se stessa Licia, ad un tratto, non ebbe più paura di lui: principe o non principe era un uomo piacevole, dovette ammetterlo. Accettò un dolce aromatico, e mentre cercava di mantenere il controllo su se stessa, capiva che in una situazione più normale per lei, avrebbe anche potuto accettare la corte di un giovane come Samuel.
Ma come aveva fatto lui a vederla ballare? E Samuel, mentre la cingeva come in un abbraccio delicato, le mostrò un cannocchiale in grado di far distinguere i volti delle persone anche a kilometri di distanza. Guardò e vide i suoi amici: nessuno più ballava, ma si riposavano seduti attorno al falò, ignari che lei fosse tanto distante da loro, in una situazione fantastica, lontana dal suo mondo: ma non doveva arrendersi, non poteva affidarsi all’ignoto Samuel che si era comportato come i suoi antenati pirati. Allora gli fece una domanda logica e strana:
“Non c’era nessuno yacht in lontananza!” E mentre le veniva in mente l’improvviso profumo di gelsomino chiese”Come hai fatto a portarmi qui?” anche se immaginò la risposta. Era stata drogata!
“Nessuno può vedere questa imbarcazione perché è ricoperta da un gioco di trompe l’oeuil, che forma un tutt’uno con il mare e il cielo. Se avessi guardato in lontananza avresti visto solo due luci.”
Licia ricordò le luci fisse. “Le ho viste, eri tu? Ho ragione: sei un pirata, abituato a rubare anche le donne. Ti prego” lo blandì “lasciami tornare a riva.”
“Accetta la mia proposta, solo per questa notte!”
“I miei amici si spaventeranno non vedendomi!
“Accetta di rimanere con me, i tuoi amici dormiranno sereni sino al tuo ritorno. Te lo prometto!
“Già! Anche per loro un sonno al profumo di gelsomino? Lasciami, non posso accettare!
“Perché? Io sono un principe e posso avere tutto!”
Al tono divenuto imperioso Licia rispose birichina;
“E io…sono una commessa e sono contenta così!” mentì!
“Una bella commessa.”
Tentò di abbracciarla, lei lo graffiò, lui la baciò e lei stava cedendo al fascino di quell’uomo. Ma qualcosa le si ribellò dentro. Stava subendo. Ecco la parola: subiva il fascino di quell’uomo, in una situazione di imparità perché non poteva muoversi: era come essere stuprata mentalmente.
L’allontanò decisa:“Se sei un principe devi essere anche un gentiluomo, lasciami libera!”
Temeva le sue insistenze fascinose, sapeva che si trattava di una battaglia persa, e invece riuscì a sopravvivere alle preghiere e alle offerte di Samuel.
Infine lui prese una collana da uno scatolino d’argento posato sul tavolino: alla collana era appeso un ciondolo, sembrava un grosso rubino circondato da diamanti.
“Te lo avrei dato domani, ma accettalo adesso e poi.. ti manderò a riva.”
Lei lo rifiutò energicamente, accettare un regalo l’avrebbe messa in condizione di imparità e invece, lei, voleva essere libera da lui, ma, siccome lui le apparve sincero, non seppe rifiutargli un bacio, in ricordo di qualcosa di bello che avrebbero potuto vivere e che forse entrambi avrebbero rimpianto per tutta la vita.
Samuel era di nuovo chino su di lei, e mentre lei aspettava il contatto delle sue labbra avvertì di nuovo un inconfondibile profumo di gelsomino, che la costrinse a chiudere gli occhi.

Lo sciabordare del mare le lambiva i piedi, aprì gli occhi preoccupata, ma sorrise quando si trovò accoccolata nell’incavo della roccia.
Sorrise tra sé e sé al pensiero del bel sogno appena fatto: era stato solo il bel sogno di una notte d’estate.
Le amiche le si avvicinarono. “Ci siamo riposate abbastanza, allora, ti decidi a venire?”
Se ne accorse Sara.
“Cos’hai al collo?”
Si toccò: le sue mani strinsero il ciondolo. Restò perplessa, non sapeva cosa rispondere, anche se capiva di dover dare una risposta convincente.
Con un tuffo al cuore comprese che non si era trattato di un sogno.
“Ah, questo?” perdeva tempo, mentre con lo sguardo cercava di fissare il punto lontano dove forse Samuel la stava ancora guardando, ma, con una improvvisa stretta al cuore, vide che, all’orizzonte, le due stelle fisse non c’erano più.
“Questo? L’ho trovato qui, tra la sabbia, quando mi sono seduta, chissà chi lo ha perduto!.”
“Sempre fortunata! Se lo vendi ne ricaverai i soldi per la tua gita in Marocco!”
“Già! E vero! Devo andare in Marocco!” Era sorpresa per la coincidenza. Ma…, in effetti…, non so!”
Carezzava il ciondolo e si sentiva molto triste. Per un attimo si rimproverò perché sullo yacht si era comportata come una sciocca ingenua fanciullina: ma ormai era tardi!
Col pensiero rivolto altrove tentava di dare risposte che avessero senso.
“No…! Penso che non lo venderò. Non si possono vendere i ricordi!”
Gli amici si domandavano perché fosse così pensierosa. Lei se ne rese conto e, con il sorriso di sempre aggiunse:
“Sapete? Lo conserverò come ricordo nostalgico di questa magnifica notte d’estate.”

26 Risposte a “Cala dei pirati di Claudia Lo Blundo Giarletta”

  1. La tua scrittura fresca è, per così dire, “sensitiva”: le parole escono lievi ed evocano immagini serene che si interfacciano alla tua personale sensibilità. Sei saldamente legata alle sensazioni, al corpo, ai sensi (che poi è caratteristica di un certo “realismo” femminile, tipico della donna, così come il maschile è portato ad astrarre, spesso perdendo il contatto col reale). Brava, vicino al cuore dei giovani.

  2. Ah Claudia, voi ragazzi sempre a pensare a divertirvi e far festa. Chissà che si era fumata la tua Licia, altro che gelsomino! Comunque lo voto perché è scritto bene. Anche se devo dirti che se ci fossi stato io sulla barca, non so come andava a finire.

  3. il tuo raccontare rende reali anche i sogni. Molto bello. Voto!

  4. bellissimo fra realtà e sogno con il profumo di gelsomino mi ha ricordato qualcosa della mia gioventù… l’odore di gelsomino

    bellissimo fra sogno e realtà. Questo racconto ti fa sentire l’odore di gelsomino mentre lo leggi. Brava mi hai emozionato

  5. Grazie, per il voto, si, ma ancor più per i vostri bei commenti.

  6. Ricco di immagini colorate e folkloristiche. Piaciuto. Voto questo testo.

  7. e’ una favola lieve, impalpabile, che veste di armonia una notte giovane di falò estivi. Un ricordo, forse un rimpianto, un sogno? chi lo può sapere? ognuno sente puello che vuol sentire e comprende quello che la sua mebte desidera. La vita, in questo racconto, si snoda e ci guida in un mondo di impressioni

    1. ma che meraviglia . Un racconto appassionante parole gentili ma decise .complimenti vivissimi all’autrice .

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