Il mondo sottratto di Estrella Pequena

Il mondo sottratto di Estrella Pequena

Come rimbalzata da un sogno verso un incubo che mai e poi mai avrebbe voluto vivere, Miriam sobbalzò dal letto, svegliata da quelle urla odiose e dal forte battito del suo cuore, che spaventato, prese a batterle nel petto come un cavallo imbizzarrito.
Si alzò di scatto in preda all’ansia e alla paura.
Era una fredda domenica di inverno, ma non erano i piedi nudi sul pavimento a farle sentire il gelo, bensì l’aria che tirava in casa.
Si precipitò in cucina e quello che vide fu la stessa scena che continuava a vivere da quando era al mondo. I suoi genitori stavano nuovamente litigando, scambiandosi parole, sguardi e gesti di odio, proprio a voler sottolineare un rapporto ormai inesistente da tanto tempo, in cui non c’era più amore e forse, non c’era mai stato. Era la solita discussione nata per qualcosa di stupido, ma tutte le volte scatenava una brutta agitazione, perché un semplice diverbio, si trasformava sempre in una grande tragedia. E Miriam era sempre lì, doveva essere lì, pronta a fermare quello che mai e poi mai avrebbe voluto accadesse, per i suoi genitori, per lei, ma sopratutto per la sua sorellina di cinque anni, perchè doveva evitare a tutti i costi di farle vivere un momento che avrebbe potuto lasciarle dei segni, traumatici e indelebili.
Cercava sempre, per quanto le era fisicamente e moralmente possibile, di porre fine a quello scempio, che ogni volta si presentava come una lama nel petto, una lama che avrebbe lasciato solo cicatrici profonde e difficili da rimarginare. Si potevano contare sulle dita di una mano le volte che sua madre e suo padre avevano scherzato o riso insieme; tutto ciò che ricordava di loro erano solo urla, pianti e tante ore passate nel terrore, pregando che il tempo corresse e cancellasse il prima possibile quei momenti interminabili di tanto sgomento.
A quindici anni aveva imparato a vivere in simbiosi di questo spettro, adattando la sua vita adolescenziale, ai doveri che giorno dopo giorno gravavano anche su di lei, non perchè la costringesse qualcuno, ma semplicemente per il fatto che lei sentiva di doverlo fare, perchè dedita al sostegno della famiglia. Famiglia… La sua, nonostante lottasse ogni giorno per vederla apparentemente unita, sembrava fosse un bicchiere frantumato per terra, che nessuno più aveva voglia di raccoglierne i pezzi e gettarli via una volta per tutte.
Casa sua, il posto che avrebbe dovuto essere quello più sicuro, più sereno, il posto dove riporre le armi della stanchezza e rilassarsi un po’ ascoltando della musica, o vedere un film in poltrona, il posto in cui sentirsi sicura e coccolata, era diventato invece, il luogo in cui tutti i buoni propositi cadevano ad un minimo parlare dei suoi genitori; le mura si coloravano di grigio e le giornate trascorrevano cupe e lente alla sola presenza di entrambi insieme. Tornare o restare a casa non era sempre una gioia, spesso era una condanna a morte. Tante volte le era capitato di non uscire, perché lei doveva essere presente laddove fosse stato necessario, pronta a fermare il peso più grande della sua esistenza, che ormai aveva affondato le radici nella sua anima.
Crescendo aveva imparato a farsi carico di ogni responsabilità piccola o grande che fosse, ma necessaria a risolvere il problema, anche se solo in modo temporaneo; aveva compreso che il dialogo in casa sua non poteva esistere, perché qualsiasi parola, anche la più semplice, poteva trasformarsi in un discorso pericoloso e quindi veniva evitata ogni forma di comunicazione, anche fatta di qualche battuta o racconto scherzoso. Così con gli anni si era resa conto di vivere in un mondo a parte, un mondo diverso rispetto a quello che vivevano le sue amiche o le ragazze della sua età.

Squillò il telefono e si sentì sollevata, perché qualsiasi interruzione esterna poteva essere utile a cessare o placare quel momento tanto brutto, anche se nessuno in realtà, poteva fare nulla.
Era la sua amica Cristina che la invitava a fare un giro in centro, ma rifiutò inventando una scusa, anche se desiderava tanto scappare, non saperne più niente di quello che stava accadendo intorno, ma non poteva.
La mamma presa dai sensi di colpa per il riversarsi tutto sulle sue figlie e dispiaciuta del motivo per il quale stesse rifiutando, le ordinò di uscire, tranquillizzandola che non sarebbe accaduto più nulla.
E così fu; anche se controvoglia uscì. Assorta dal suo mondo fatto di preoccupazione per l’accaduto di quella mattina, non si inserì nei discorsi delle sue amiche e solo dopo un pò che camminavano, si rese conto che parlavano di concerti, interrogazioni e dell’aumento di peso causato dalla troppa cioccolata. Volteggiavano per la strada in preda alla frenesia di incontrare il tipo più bello della classe, di indossare il vestito rosso per la festa, o ridevano semplicemente perchè si sentivano vive.
Ogni tanto le rivolgevano qualche domanda e lei con fare distratto si limitava a rispondere “si” o “no”. Era così distante da loro, da quel mondo che lei non aveva nemmeno il tempo e la possibilità di vivere. Nel suo non c’era spazio per le simpatiche sciocchezze da ragazzine; non esistevano le canzoni cantate a squarciagola per la felicità del voto alto in storia e il motivo per il quale il suo cuore batteva, non era per le prime emozioni che ogni adolescente meritava di vivere, ma era per ben altro.
Le guardò con una punta d’ invidia, desiderando tanto di poter far parte anche lei di quel mondo, ma realizzò solo il triste pensiero che per lei era impossibile, la sua vita era diversa.
Con un velo di tristezza, dopo l’ansia e la paura accumulata, le forze cedettero e non potè fare a meno di crollare in un pianto liberatorio e silenzioso. Sistemandosi la sciarpa con fare falso e parsimonioso, si asciugò il viso dalle lacrime, si stampò un falso sorriso sulla faccia e tutto tornò apparentemente a splendere, anche se dentro si sentiva morire. La sua amica incominciò con le sue solite lamentele, perchè la sua mattinata era incominciata con il piede storto, solo perchè aveva dovuto svegliarsi un’ora prima del previsto, a causa della visita di una zia. L’altra amica si allacciò al suo discorso dicendole che per lei la domenica era noiosa, che preferiva andare a scuola, perché i suoi a casa la stressavano con le loro domande e continuavano a trattarla ancora come una bambina, mentre lei ormai era già grande, aveva quindici anni.
“Grande” pensò Miriam. Ascoltava quei discorsi e incominciò a chiedersi cosa significasse davvero essere grande. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere svegliata anche lei dalla voce degli zii o essere stuzzicata dai suoi in modo sereno e scherzoso, sinonimo di una famiglia che viveva in armonia.
All’improvviso una vetrina di un negozio di scarpe attirò l’attenzione delle ragazze e i loro occhi si illuminarono alla vista di un paio di stivali, pieni di strass e pizzi, bellissimi e costosissimi. Anche a Miriam piacevano, non poteva essere il contrario. Era entusiasta di condividere con loro un desiderio in comune, perchè le sembrò di far parte, anche se solo per poco, di quella realtà che a lei non le era concesso di vivere.
Lì, malinconica, era sulla soglia di due mondi opposti; da un lato vedeva quello arrivato troppo in fretta nella sua vita; dall’altro, quello che invece per lei, non sarebbe più tornato.
Scacciò via quel pensiero e giusto per inserirsi nel discorso e pronunciare qualche parola, iniziò a fare dei commenti sul prezzo di quel paio di stivali e le sue amiche vennero prese da una enfatizzata disperazione per l’impossibilità di acquistarle.
Miriam le riguardò bene e si chiese se davvero in quel momento, il desiderio di possedere quelle scarpe fosse anche il suo, ma con stupore si rese conto che non era quello che voleva.
Allora a cosa serviva far parte di quel mondo se ormai non sapeva nemmeno più apprezzare ciò che ne faceva parte? Si girò, rabbuiandosi nuovamente nei suoi pensieri, perdendo interesse per l’oggetto più ambito dalle sue amiche e ritornò nel turbine dei suoi pensieri malinconici e a sentirsi piccola piccola, per essere forse cresciuta così in fretta.
Alcune domande le vennero in mente. Cosa desiderava realmente in quel momento? Quali erano i suoi veri interessi? Dov’ erano i suoi sogni adolescenziali? Mentre riecheggiavano nella sua mente quelle frasi, voltò la testa al di là della strada, per poi riportarla distrattamente verso le sue amiche, ancora perse con occhi sognanti verso tacchi e quant’altro, ma subito si rigirò di scatto, come attirata da qualcosa che catturò la sua attenzione.
In quell’istante, come se qualcuno avesse ascoltato i suoi interrogativi, le risposte alle sue domande scorsero davanti ai suoi occhi. Tutto ciò che desiderava era lì, di fronte a lei. Su una panchina c’era una coppia di vecchietti seduta là per passare il tempo. Miriam li osservò parlare fra loro. Incantata dalla dolcezza dei loro sguardi ancora colmi d’amore e dallo scambio dei loro sorrisi, continuò ad osservarli chiedendosi incuriosita quali fossero i loro discorsi. Forse stavano ricordando i vecchi tempi ormai passati. Subito dopo li vide alzarsi, prendersi per mano e andare via, con passo lento e minuzioso.
Quello che vide le fece brillare gli occhi e senza rendersene conto, sorrise per la tanta tenerezza che sentì improvvisamente nel suo cuore.
Finalmente la luce.
In quella triste giornata, sulla soglia di due mondi che percorrevano la stessa strada, ma che seguivano orizzonti diversi, Miriam conobbe la speranza.
La speranza di sapere che quel bellissimo mondo a lei violato, fatto di mille sorrisi, spensieratezza e armonia, un giorno, anche se lontano, l’avrebbe conquistato.

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