Il bivio di Rossella Gallucci

Il bivio di Rossella Gallucci

Genere: Psicologico/Realismo

“Mi piace il modo in cui mi guarda. In verità non guarda esattamente me, ma mi piace pensare che, mentre passa davanti alla porta di casa e fissa lo spioncino sul quale il mio occhio destro è attaccato come una cozza, lui stia guardando me. Il sorriso che ha sulla bocca non è che una conferma. In realtà non sono bella, mi definirei un tipo, forse un po’ anonima e grassoccia, ma molto, molto simpatica. E credo che questa simpatia venga percepita anche attraverso una porta blindata.”
Alza le serrande, si stiracchia e si dirige in cucina, come ogni mattina. La casa è immersa nell’assoluto silenzio.
Selene è sola, i genitori sono al lavoro e la sorella a scuola.
Passa davanti allo specchio della sala e rimane impietrita: quella figura mastodontica senza quasi più forma umana, è lei.
No, non è possibile. Forse non c’è abbastanza luce, forse sono ancora troppo assonnata. Ma non posso essere io! Come ho fatto a diventare così grassa? Qualcosa mi deve esser sfuggita di mano.
Selene sa di avere gli occhi belli, azzurri come il mare, anche se il viso è tanto irregolare, largo sulle mascelle, stretto alla fronte. I pochi capelli troppo lisci e quasi sempre unti pur lavandoli tutti i giorni. È per questo che, nel suo delirio, pensa che lui si fermi a guardare lo spioncino. Crede che lui riesca a vedere attraverso la piccolissima lente il colore dei suoi occhi. La tentazione è quella di aprire all’improvviso per trovarselo di fronte, ma è in désabillé, ha addosso la vestaglia di sua madre, le pantofole con la paperella di sua sorella Enrica, i beccucci sui capelli nel tentativo ormai senza speranza di renderli un po’ più ondulati e meno informi. Si è appena alzata dal letto, le puzza l’alito e, come se non bastasse, le è spuntato un brufolo sulla fronte. Ha la nausea per tutto quello che è riuscita a ingurgitarsi in questi ultimi giorni, ma nonostante tutto, la tentazione di aprire il frigo è più forte di lei.
Si ferma un attimo a guardare il soggiorno: il divano, dove ha bivaccato la sera prima fino a notte inoltrata, con la coperta buttata lì, metà su, metà in terra; un bicchiere sporco e la bottiglia del latte vuota sul tavolino lì davanti. Briciole dappertutto. Un senso di disfatta e di schifo le attraversa la pelle come un’onda. È sempre lei, quella. Ora si vede riflessa in quello specchio di vita inutile, sprecata per una ragazza di vent’anni. La stanza è ancora semibuia, evidentemente i genitori sono usciti molto presto per andare al lavoro e non hanno fatto in tempo nemmeno ad alzare le persiane.
Tira su col naso. L’odore di chiuso e di sporco le penetra nelle narici. L’istinto è quello di continuare la sua camminata verso la cucina, aprire il frigo e ingozzarsi di qualunque cosa le capiti a tiro, come sempre.
Se si trattasse di uno sport, vincerebbe la medaglia d’oro. Ma mangiare continuamente giorno e notte, non può essere considerato uno sport. Da mesi non sa più cosa voglia dire avere una sana sensazione di appetito. Il suo stomaco lavora in continuazione e non fa in tempo a svuotarsi.
“Da quando mi sono ridotta in questo modo? Da quanto tempo ho perso contatto con la realtà?”
Si ferma nuovamente davanti a quello specchio e, questa volta, accende la luce per guardarsi meglio. La figura che le ritorna è quella di una donna di età indefinibile, sicuramente più vecchia dei suoi vent’anni, con il viso gonfio, pieno di brufoli, le occhiaie. Il corpo un’unica chiazza di colore di stessa portata da su in giù. Non s’intravede neanche un piccolo distacco tra il tronco, la vita e le gambe, neanche una luce. Un’ombra gigantesca e informe.
Questa è lei.
È lei quella ragazza che solo cinque anni prima aveva vinto le gare di ginnastica artistica a scuola; la stessa che era arrivata terza al concorso di Miss Muretto nell’estate di sei anni prima.
Cosa le è successo? Sembra come passato uno tsunami, come se un estraneo si sia impossessato del suo corpo.
Non è lei, non può essere lei.
Da quando era nata Enrica, dieci anni prima, i suoi genitori erano cambiati nei suoi confronti. All’inizio, quando lei si arrabbiava con sua sorella, loro le dicevano che lo faceva per gelosia, che doveva essere più rispettosa di una bambina piccola. Man mano che gli anni passavano si era resa conto che la sua gelosia aveva una ragione d’essere. Di lei non si occupavano più. Qualunque voto prendesse o qualunque gara vincesse, lei aveva semplicemente fatto il suo dovere. Mentre Enrica veniva incensata per ogni minima cosa. Ormai è convinta di essere stata sostituita nell’affetto dei genitori dalla sorella. Ma nonostante tutto non riesce ad odiarla. Da allora quella rabbia, quell’odio lo continua a riversare solo su di sé.
Si guarda ancora una volta intorno: i segni di uno sfacelo, di una disfatta totale: gli stessi stampati sul suo corpo.
Prende la bottiglia del latte e ne beve una sorsata a garganella. Poi apre la dispensa alla ricerca di dolciumi. Trova il ciambellone di sua madre, ne taglia una prima fetta e se la ingozza lì in piedi, così come si trova, senza neanche richiudere la credenza. Poi ne taglia una seconda e una terza. Alla fine si sente esausta, in tutti i sensi. È esausta del suo modo di mangiare, della sua casa, della bilancia, dello specchio che le rimanda una figura che non le piace. Si sente esausta di sua madre che continua a dirle che fa schifo, di sua sorella che è magra e bellissima. Di suo padre che non c’è mai e quando torna neanche le si avvicina. Va in bagno e rovista nei cassetti dove sa che la madre tiene i tranquillanti. Non vuole morire, vorrebbe solo dormire per un po’ e far prendere uno spavento a tutti. Con la scatola in mano torna in cucina. Poi prende un bicchiere e si avvia verso il mobile dei liquori. Apre una bottiglia di cognac e ne versa un bel po’ nel bicchiere. Si siede su quel divano sfatto e sporco. L’odore forte del liquore le dà la nausea, ma chiude gli occhi e manda giù tre, quattro pillole con una sorsata. Ha un conato, le hanno sempre fatto schifo i liquori. Ne prende un’altra manciata, non le conta neanche più, sta per mandarle giù, ma poi qualcosa la blocca. Un guizzo negli occhi, un ricordo lontano e un po’ appannato la ferma in quella strana posizione innaturale, una gamba sul bracciolo e l’altra in terra. Quell’estate al mare di cinque anni prima, una sensazione di gioia, di leggerezza.
“Che bello il mare, il profumo che m’inebria i sensi, le corse sulla spiaggia, i bagni tra le onde… se solo dimagrissi un po’, potrei rimettermi in costume.” Pensa con un po’ di nostalgia. Suonano alla porta, di colpo si alza con il cuore a mille. Sbanda, poi si riprende e trascinando i piedi arriva lentamente alla porta d’ingresso. Apre lo spioncino e appoggia l’occhio destro, sempre quello. E lo vede. Sì, è proprio lui, il suo vicino. E sta suonando proprio alla sua porta, quindi è lei che cerca. Non apre, non può farsi vedere in queste condizioni, ma adesso lui è lì. E questo è molto bello. La testa leggera, un po’ fluttuante e d’improvviso una strana calma.
Non può continuare così. Le prende d’un tratto come un’energia nuova.
Decide che la sua vita deve cambiare e che solo lei può farlo. Torna verso la sua camera e spalanca le finestre. Poi si dirige verso il bagno, si spoglia e si mette sotto la doccia. L’acqua bollente le scivola sulla testa, sul corpo, lavandole i pensieri, dandole un senso di sollievo. Rimane lì per una buona mezzora, strofinando il corpo vigorosamente. Esce, si asciuga e rimane davanti allo specchio a osservarsi, cercando di prendere consapevolezza di ogni piccola parte del suo corpo.
Si asciuga i capelli e si trucca accuratamente. Poi cerca nell’armadio qualcosa da mettersi addosso e ancora una volta si rende conto che nessun vestito può starle bene. S’infila i soliti pantaloni neri e un maglione largo sopra. Si dirige verso la scrivania e rovista nel cassetto alla ricerca di un foglietto che aveva trovato sul parabrezza almeno un mese prima e che ha conservato.
Compone il numero del centro e una voce rassicurante le risponde. Selene si fa coraggio e le chiede un appuntamento subito, perché non può aspettare neanche un giorno. La signorina, abituata a quel tipo di richieste d’aiuto, le fissa un appuntamento con la dietologa per le dieci quella mattina stessa e con la psicologa alle sedici.
Ringrazia e si affretta verso la porta. Non vuole fare tardi, ha già perso troppo tempo. È certa che questa sia la strada giusta, l’unica possibile.
Fuori c’è il sole e l’aria inizia a profumare di primavera.

9 Risposte a “Il bivio di Rossella Gallucci”

  1. Il tema trattato è sviluppato davvero bene dal punto di vista della psicologia, brava Rossella!

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