All’imbrunire di Massimo Licari

All’imbrunire di Massimo Licari

Genere: Fantastico/Fantascienza

Le sette.
Era dannatamente tardi.
Giulio finì di bere in fretta il caffè e mise la tazzina sporca nella lavastoviglie.
Lo attendeva una giornata decisamente impegnativa e si affrettò ad uscire da casa.
Prese al volo la valigetta e uscì.
Si fiondò in auto e partì subito alla volta di Milano.
Non appena fu sulla statale si rese conto che era uscito senza nemmeno salutare Sonia. Istintivamente prese il cellulare in mano.
La sera prima lei si sentiva particolarmente stanca. Contrariamente alle sue abitudini, si era messa a letto presto e doveva aver preso sonno subito.
Quella mattina era riuscito ad alzarsi prima che la sveglia rompesse il silenzio della stanza e si era mosso così lievemente da riuscire a non svegliarla. Un’impresa che gli riusciva raramente e di cui, ora, si sentiva fiero.
Era piacevole fare colazione insieme, condividere le attività che li attendevano, raccontare i loro sogni. Ma per lui era anche importante prendersi cura di lei, e lasciarla dormire un po’ di più era una manifestazione di attenzione e amore.
Ogni mattina era colma delle stesse emozioni che avevano condiviso quando si erano svegliati insieme la prima volta e avevano compreso quanto vuote fossero state le loro vite prima di incontrarsi.
Dieci anni vissuti intensamente, gustando ogni istante che la vita gli aveva messo a disposizione.
Si erano abbeverati alla fonte dell’amore, che non aveva spento il fuoco della passione, lasciando intatto lo stupore di scoprire giorno dopo giorno quanto bello fosse avere accanto l’anima gemella.
Si, perché non potevano che essere anime gemelle, separate dalla gelosia di Zeus e finalmente riunite da un fato benevolo e generoso.
Con un lieve sorriso, appoggiò il cellulare sul sedile accanto al suo.
L’avrebbe chiamato lei, quando si fosse alzata.
Non appena arrivò in ufficio fu subito trascinato dalla corrente impetuosa delle attività che aveva appuntato in agenda, e che gli avevano riempito la pagina del giorno.
Alle 11 riuscì per un istante a pensare a Sonia, mentre usciva da una riunione e si apprestava a cominciarne un’altra.
Quando finalmente si liberò era abbondantemente passata l’una. Gli rimanevano giusto venti minuti per un panino, prima che la giostra riprendesse a correre.
Provò a chiamare Sonia, ma la voce femminile dell’operatore telefonico lo informò che non era raggiungibile. Probabilmente era impegnata anche lei e aveva spento il cellulare.
Fece altri due tentativi nel pomeriggio, con analogo risultato.
Quando si mise in macchina, a fine giornata, riprovò a chiamare, ma c’era ancora quella voce odiosa che lo invitava a riprovare più tardi.
Si inquietò un po’.
Cominciò a snocciolare l’elenco delle scuse a cui tutti attingono quando tentano di non lasciarsi sopraffare dalla preoccupazione.
“Forse il cellulare non funziona”.
“Forse è in una zona non coperta”.
“Forse l’ha dimenticato a casa spento”.
E così via.
Con quel vago sentore di angoscia, che ci si sforza di considerare semplice preoccupazione, e che prende la bocca dello stomaco.
Arrivò a casa dopo mezzora, venti telefonate a vuoto e lo stomaco ormai stretto in una morsa che stava cominciando a fargli mancare il fiato.
Quando fu dentro casa, si trovò a tu per tu con le sue paure più profonde, costretto a vivere l’angoscia di vedere realizzato un incubo che aveva fatto di tutto per ricacciare nel profondo, illudendosi che le sue fossero solo preoccupazioni eccessive.
Lei era ancora lì, nel letto ove l’aveva lasciata la mattina, vantandosi con se stesso di essere riuscito a non svegliarla.
Pianse come un bambino a cui hanno sottratto il più bel gioco che gli sia stato regalato nella sua breve vita.
Dissero che un infarto aveva stroncato la sua giovane vita nella notte, forse subito dopo che si era coricata.
Lui visse i giorni successivi all’ombra di sé stesso.
Accolse solo apparentemente i parenti di lei, i suoi parenti, gli amici, i conoscenti, i colleghi e tutta quella maledetta gente che non avrebbe voluto vedere. In realtà lui si era rifugiato in sé stesso come un bimbo che si accuccia dentro letto nel timore di scoprire a chi appartengono i rumori che ha sentito nella notte. Non era nemmeno l’ombra di ciò che era stato: si era dissolto in un miliardo di molecole che giacevano sparse su un freddo pavimento di marmo.
Non l’aveva salutata, perché si era “addormentata” prima che lui si infilasse sotto le coperte.
Non gli aveva ancora raccontato mille e più cose che voleva condividere con lei.
Sentiva che la vita gli aveva strappato il cuore e aveva deciso di farlo a pezzi.
L’idea di farla finita sorse più volte nelle settimane che seguirono il funerale, ma, abituato fin dalla giovinezza ad approcciare le cose della vita con metodo scientifico, la scartò.
Non poteva sapere cosa ci fosse oltre la soglia della morte e non voleva correre rischi.
Anelava di poter riabbracciare Sonia, ma ci sarebbe riuscito se avesse posto fine alla sua vita?
E se non ci fosse stato nulla ad accoglierlo dopo aver varcato quella soglia? Sarebbe stato destinato ad una eternità senza di lei. Impossibile anche solo pensarci.
E se c’erano destini diversi per i trapassati a seconda delle virtù accumulate in vita, come inducevano a credere le più grandi religioni? Sarebbe stato destinato ad un luogo diverso di quello in cui lei doveva trovarsi, il che era forse peggio che averla persa in questa vita.
Era stato sempre affascinato dall’approccio che l’oriente aveva per la vita e il senso del vivere, e in particolare dagli insegnamenti del Buddha.
L’aveva colpito un insegnamento un po’ rivoluzionario di cui aveva letto, che apparteneva ad un maestro che si era ritirato su un monte dell’India.
La reincarnazione era un patrimonio di insegnamenti condiviso da moltissime religioni e filosofie, secondo cui siamo destinati a rinascere con fattezze carnali un innumerevole numero di volte, evolvendoci in forme di vita sempre più complesse al cui apice c’è quella umana. Fino a quando, grazie all’illuminazione, possiamo interrompere il ciclo della nascita, vita e morte che caratterizza ogni essere vivente.
Sono necessarie innumerevoli incarnazioni prima che la nostra evoluzione ci consenta di interrompere questo processo.
Ebbene, questo maestro aveva insegnato che la reincarnazione non è in realtà un processo consecutivo, nel quale torni a nascere dopo aver vissuto una precedente vita ed essere morto, ma un processo parallelo. Viviamo innumerevoli vite contemporaneamente e parallelamente, e questo consente alla nostra “anima” di evolvere.
Questo insegnamento, oltretutto, sembrava essere sostenuto anche dalla scienza, in particolare dalla teoria delle stringhe.
Così decise che avrebbe dedicato il resto del suo percorso alla ricerca del metodo che gli avrebbe consentito di passare in un’altra dimensione, dove avrebbe ritrovato la sua Sonia.
Lasciò tutto ciò che aveva riempito la sua vita fino a quel momento: lavoro, amici, casa, parenti, e si dedicò con tutto sé stesso a questa ricerca.
La scienza lo deluse dopo poco tempo.
La teoria delle stringhe c’era, ma la sua dimostrazione era molto in là dall’essere possibile. E lui aveva fretta. Era nel mezzo della sua vita, ma non voleva sprecare quanto gli restava. Soprattutto, non voleva sedersi in attesa che qualcuno riuscisse a fargli fare quel salto che ormai desiderava più di ogni altra cosa.
Così partì per l’India, alla ricerca del maestro.
Perché un vero maestro non si limita a indicare una via che pensa di aver scorto, ma la percorre prima di parlarne ad altri.
Ci vollero due anni di ricerche prima di giungere alla grotta che il maestro aveva eletto a sua dimora su quel monte.
E altri dieci anni per ricevere da lui gli insegnamenti che gli avrebbero permesso di fare il salto.
In tutto quel tempo, l’amore per la sua donna gli permise di resistere alla tentazione che più volte fece capolino e che gli suggeriva di lasciar perdere.
Aveva davanti a sé un’evidenza che avrebbe scoraggiato chiunque altro: dei sette discepoli del maestro, nessuno era riuscito nell’intento di congiungersi con altre realtà.
E anche lui, dopo aver ricevuto il sacro insegnamento, non era riuscito nell’impresa.
L’insegnamento del maestro assumeva così le sembianze di un’altra teoria non dimostrata.
Ma quell’amore disperato che la vita gli aveva sottratto lo induceva a non mollare.
Fino a quando, un giorno, assunse la posizione del loto e si chiuse al mondo esterno, come faceva quotidianamente da oltre quindici anni.
Ogni cosa intorno a sé perse pian piano consistenza.
Oggi, dopo cinque anni da quel giorno, i discepoli del maestro ricordano ancora quell’occidentale, mosso da una volontà infinita e colmo d’amore che un giorno di primavera, all’imbrunire, svanì davanti ai loro occhi.

8 Risposte a “All’imbrunire di Massimo Licari”

I commenti sono chiusi.