La signorina Zenobia di Claudia Lo Blundo

La signorina Zenobia

Genere: Realismo/Umoristico

Con gli occhi chiusi assaporavo il gusto della mia libertà: dopo averla vagheggiata, per anni, come irrealizzabile l’avevo conquistata con un energico colpo di ala, quello della mia volontà!
Decisi di ripassare a memoria il contenuto della mia valigia mentre rivedevo quel che mi aveva condotta sin li dove ora mi trovavo; da tempo avevo preparato e nascosto in vari cassetti il necessario per il viaggio o, sarebbe più esatto dire, per la permanenza nel luogo dove avevo deciso di andare a vivere per sempre e…da sola, da so…la!
Sorrisi: forse sarebbe stato più giusto parlare di fuga.
L’aereo ebbe un sobbalzo, ‘un vuoto d’aria’, decretai: anche se non ero mai stata su un aereo sapevo che era stato un vuoto d’aria e mi venne da pensare che si trattava di una sensazione simile a quella provata, talvolta, durante il sonno quando mi svegliavo per la frazione di un attimo con la strana sensazione di cadere.
Riportai i miei pensieri sul contenuto della valigia e null’altro mi tornò alla mente se non l’ampia gonna rossa, con le balze multicolori; l’avevo scelta perché il vederla mi aveva fatto riaffiorare per un attimo un qualcosa legato alla mia giovinezzza, o forse significava il mio desiderio di evasione o il sogno ricorrente di balli prolungati sino all’alba su morbide sabbie ancora calde del sole del giorno precedente.
Avevo preparato con cura il viaggio-mia fuga, una decisione presa sei mesi prima, in maniera del tutto improvvisa mentre mi trovavo in fila all’Ufficio Postale per riscuotere, come facevo da più di due anni, la mia pensione di ex insegnante di scuola elementare.
Per anni avevo invidiato le casalinghe e, andata in pensione, mi era piaciuto poterlo essere, finalmente, a trecentosessanta gradi: moglie, madre, giardiniera, la spesa, il bucato, le vicine di casa che apprezzavano l’ordine del mio giardino. Poi tutto era cominciato ad apparirmi banale, noioso e la tristezza, che da questo derivava, si trasformava in un brivido che mi serpeggiava lungo la schiena e mi riportava alle orecchie una canzone di tanti anni prima: ‘e andaree lontanoo, lontaaaaaaaanoo’; quelle parole, o la voce calda del cantautore, non so, mi erano sempre apparsi come un seducente invito a prendere parte a qualcosa di infinito, quasi che in quel ‘lontano’ fosse racchiusa la possibilità di una gioia che il ‘vicino’ non aveva e non avrebbe mai potuto darmi.
Sei mesi prima, però, mentre in fila attendevo il mio turno per riscuotere la pensione mi era tornata alla memoria la sequenza di un qualcosa già vissuto: io li, giovane, tanti anni prima.Forse avevo ventinove o trenta anni, non ricordo, ero entrata all’ufficio postale con passo affrettato per superare la signorina Zenobia che, immaginavo, andava a riscuotere la sua pensione. Volevo trovarmi dinanzi a lei, nella fila che c’era allo sportello, per potermi poi girare indietro e guardarla in volto, fiduciosa di potervi leggere quel che il suo sguardo tentava di nascondere, ma avevo deciso che subito dopo mi sarei mostrata cortese e l’avrei invitata a passare al mio posto.
La signorina Zenobia faceva pena ai suoi vicini di casa e a quanti la conoscevano nel popoloso quartiere di Cinque Querce, uno di quei quartieri cresciuti alla periferia di Roma dove un palazzo si aggiunge a un altro e, in men che non si dica, si riempie di famiglie numerose che sembrano venute dal nulla ma che in realtà nascondono ciascuno una propria storia.
La signorina Zenobia faceva pena perché aveva i capelli tutti bianchi, era minuta, di statura media, camminava curva e sembrava fosse rimpicciolita per il passare degli anni. Vestiva di nero e portava strani cappellini: d’inverno uno di feltro, lo si sarebbe potuto paragonare ad uno di quei copricapo portati dagli avieri durante la guerra del 15-18, ma con i copriorecchie legati sulla sommità del capo, quasi un residuo di giovane civetteria; in estate calcava sulla testa una paglietta nera, dal taglio mascolino, che talvolta ingentiliva con fiocchi variopinti. Quei due cappellini le davano un segno di distinzione e inducevano gli abitanti di Cinque Querce ad una sorta di rispetto nei suoi confronti.
“Deve essere stata una maestra” sussurrava con discrezione, a Cinque Querce, chi la vedeva all’ufficio postale per riscuotere la pensione.
“Poverina…una maestra e, ormai, così sola…!” la compiangevano quanti la conoscevano.
Di quanto in quanto il Parroco le mandava qualche pia donna per una breve visita e questa riferiva al Parroco che non capiva se la signorina Zenobia fosse contenta, annoiata o disturbata da quella visita; la pia donna di turno diceva, immancabilmente, di sentirsi intrusa in quella casa sempre al buio, perché alla signorina Zenobia dava fastidio la polvere.
“Povera signorina Zenobia” rispondeva il parroco anche lui non più giovane “bisogna capirla, è sola, chissà come si sentirà triste!”.
Personalmente avevo altre idee sulla ’povera’ signorina Zenobia; un giorno avevo cercato di fare delle congetture sulla sua età e sulla sua vita ed ero giunta alla conclusione che dovesse avere poco meno di settanta anni , ma portati molto male; il fatto che vivesse sola, spuntata da chissà dove e senza un passato raccontabile, mi aveva indotto a pensare che nel suo passato ci fosse una liberazione, non molto chiara, da un campo di concentramento dove forse era stata una Kapo, una di quelle che approfittando dei favori degli ufficiali avevano il potere di aiutare o dannare i loro simili: immaginavo che avesse tradito qualcuno ma essendo stata l’amante di un qualche ufficiale era riuscita a fuggire e a ricostruirsi una vita che, comunque, le conveniva trascorrere in modo discreto per evitare che venissero alla luce i tanti scheletri nascosti nell’armadio del suo animo cattivo.
Pensare così mi piaceva, solleticava la mia fantasia stimolata da certi film sull’ultima guerra.
‘Altro che povera signorina Zenobia’ pensavo, chissà che donna terribile deve essere stata e ora adotta questo modo di fare, da povera vecchia indifesa, probabilmente per non creare sospetti su di sé; questi pensieri mi rendevano insopportabile il fatto che godesse di una pensione dignitosa.
Quel giorno di circa trent’anni prima, dunque, all’ufficio postale mi ero posizionata dinanzi alla signorina Zenobia, poi, girandomi lentamente, mi ero preparata a scrutarla per farle capire quanto fosse inutile fingere con me perché avevo capito chi era stata; nel guardarla, però, qualcosa mi aveva bloccato per cui l’avevo subito invitata a passare al mio posto, lei aveva accettato e, cosa strana, aveva sorriso; la mia attenzione era stata poi attratta dal fatto che oltre la pensione ritirava tutto quello che aveva sul suo libretto postale, una cifra considerevole. Mentre la sorpresa di quanto accadeva mi impediva di pensare, la signorina Zenobia, avuti i soldi in mano, si era girata su se stessa, aveva salutato tutto con un ‘adieu’ e, fatta una sorta di piroetta, era uscita a passo svelto dall’ufficio postale ed era entrata in un taxi che l’attendeva lì di fronte, qualcuno, in seguito, affermò di averle sentito dire: svelto all’aereoporto!
Non solo io ma anche gli altri presenti eravamo allibiti, e allora avevo compreso cosa mi avesse colpito della signorina Zenobia: era abbigliata in modo bizzarro per lei, con i colori dell’estate, altro che vestiti neri e tristi cappellini: indossava un vistoso abito rosso e sul capo aveva un cappellino rosso con l’ampia falda adornato da un nastro di velo multicolore.
Il ricordo della sua immagine aveva trasmesso in tutti noi una sorta di allegria e quasi la consapevolezza che non avremmo potuto dire che la signorina Zenobia fosse stata assalita da un raptus di esaltazione o di demenza perché capimmo che quella era la vera Zenobia e non colei che per anni si era celata in un vivere che, di certo, non le apparteneva.
Circa un mese dopo si era sparsa la voce che la signorina Zenobia si era trasferita in un’isola dei Caraibi, allora si trattava di mete sconosciute al grosso pubblico, e tali voci furono avvalorate da una serie di cartoline giunte, per qualche tempo, all’ufficio postale.
In seguito qualcosa cambiò in me nei confronti della signorina Zenobia che, nel ricordo, mi divenne persino simpatica anche perché pensavo che, poverina, aveva vissuto anni di privazioni, aveva di certo subito l’intromissione delle buone donne della parrocchia, aveva dovuto mascherare la propria indole che, a quanto pare, era quella di amante della vita, il tutto per poter un giorno andare all’aereoporto e salire su uno di quei grandi uccelli in grado di portarti in terra sconosciuta dove iniziare una nuova vita anche se hai più di sessanta anni.

A distanza di tanti anni, e in quell’identico posto, il ricordo della signorina Zenobia era stato chiaro e il suo messaggio lancinante: sarebbe stato bello tagliare ogni legame, lasciare il marito spigoloso, i figli insoddisfatti, madre e suocera petulanti, padre e suocero…no, loro forse avrei dovuto condurli con me per far loro sapere che si può vivere in maniera diversa dal solito pidocchioso tran-tran. In quel momento calcolai che avevo già dato il mio contributo alla famiglia, alla società e così, poiché la mia pensione avrebbe potuto seguirmi ovunque fossi andata, decisi di…andare!
Iniziai a preparare con cura il mio viaggio, pardon la mia fuga!
All’agenzia di viaggi un’impiegata mi procurò il biglietto di andata e ritorno ma sapevo che non sarei più tornata: andaree lontanoo, lontaaaaaaaanoo…!

Drinnn…drinn…
Eccomi ora sull’aereo, anche io come la signorina Zenobia più di trent’anni fa, diretta su un’isola incantata dei Caraibi. Cosa farò? Non so, la pensionata o qualcos’altro, non importa, ma immagino lo stupore dei miei familiari: avranno già letto la lettera, avranno deciso che sono pazza, avranno fatto una corsa all’aereoporto, ma ormai è tardi. Non possono più fermarmi!
Driiinnn…driiinnn…
Cosa succede? Non voglio aprire gli occhi, non voglio perdere questo momento di raggiunta felicità, libera, indipendente… anche se….spero…di non sentirmi…sola!
Driinnn…driinnn.!
E’…è la sveglia!
Mi vien da ridere, era solo un sogno!
Un sogno o il vago desiderio del mio sub conscio?
Mah! Di qualunque cosa si sia trattata, una mia fuga dal presente sarebbe ben misera cosa rispetto quella che a suo tempo fece la signorina Zenobia e poi, la signorina Zenobia forse era di più larghe idee io invece mi sono incasinata per anni con tutte le storie sull’unità familiare etc…etc…
Saranno storie? Chissà! Ma è pur vero che, come dicono: ‘i figli so piezze e core!’

40 Risposte a “La signorina Zenobia di Claudia Lo Blundo”

  1. Una fuoriclasse la Sig.ra Lo Blundo. Non si smentisce mai in nessuna delle sue opere. Complimenti! Voto a pieni mani!

  2. ….e brava la signorina Zenobia : la decisione è presa, ora può addirittura sorridere alla vita e colorarla di rosso….
    Non è mai troppo tardi per cercare di vivere un’esperienza di piena libertà, anche se si tratta soltanto di un sogno che svanirà all’alba!
    Brava Claudia, voto per il tuo ber racconto, complimenti vivissimi!!!

  3. Tropo belo…..belo….el final… me pias molto molto….io votto questo raconto…

    1. Proprio bello, complimenti Claudia! La morale del cuore che ha la meglio mi piace…

  4. Bel racconto sul desiderio di fuga, bello stile. Lo voto!

  5. Grazie per le vostre belle considerazioni.

    Cara Lina, mi avvertirai quel giorno?

  6. VOTO QUESTO TESTO .
    Bravissima Claudia Lo Blundo .
    Sai perche’ voto questo testo…??? Perche’ nella mia vita , fra sogno e realta’ ho cavalcato sempre un solo ideale ..Proprio uno solo : Essere come la signorina Zenobia.
    Per non dire che la parte del racconto ..sul suonare dell’ inopportuna sveglia, quello lo vivo anche ad occhi aperti e chissa’ se un giorno ……………………………….e magari i figli diranno ..anvedi che Donna !!!!
    Bacione Claudiaaaaaaaa e CLAP CLAP

  7. Lo voto perché è il mio sogno più frequente: fuggire da tutto e da tutti. Brava Claudia.

  8. Grazie amici.

    Superdotato, non, non scrivo dal Caribe, anche se quei luoghi hanno sempre eserc
    itato un forte richiamo per me..

  9. Piaciuto il mix di simpatia e amarezza. Voto questo racconto.

  10. Voto questo testo Ahahah proprio simpatica la signorina Zenobia, brava Claudia!

  11. Con verve ironica, viene descritto il desiderio, più o meno inconscio di ogni moglie e madre, per poi, alla fine, scoprire che vince il cuore!
    Brava
    Lo Voto

  12. Voto questo testo!

    Penso succedeca tutti di sognare libertà e viaggi lontani prima o poi, specialmente a noi mamme, mogli e figlie incasinate!! Lol Brava Claudia come sempre! 🙂

  13. voto questo testo
    Mi è piaciuto tantissimo, e ora ho qualche idea su dove se ne sia svicolata la mia signora. L’ho trovato Ironico e amaro, la signora Claudia per caso scrive dal caribe?

  14. mi hai fatto sorridere, credo che tutti in un determinato momento della propria vita sognino di poter abbandonare tutto , rendere le cose più facili, partire per un isola deserta.Tutti lo desiderano, pochi o fanno davvero. Per i più, rimane un sogno.

  15. Pura verità “e andare lontano, lontano, c’è un mare di velluto ed una spiaggia, e tu che sogni di andare lontano”
    e quel “marito spigoloso” vale da solo la lettura
    VOTO PER QUESTO TESTO

    1. grande racconto…l’ho letto anni fa…IO VOTO questo racconto!!!!
      tony

    2. Il sub-conscio gioca brutti scherzi durante la notte…………la signorina Zenobia è un po’ in tutte noi!!! Mi piace molto

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