Imprinting di Andrea Tavernati

Imprinting di Andrea Tavernati

Genere: Realismo/Fantastico.

Ci sono 99 nomi. Poi c’è il centesimo. Il centesimo è impronunciabile.
L’enso, l’espressione più pura della creatività zen, non si disegna, si lascia dipingere sulla carta bianca. Si può ripetere all’infinito, non sarà mai uguale a se stesso. Dipende dal gesto, dal momento, dallo stato d’animo, dalla connessione nervosa tra la mente e il braccio che regge il pennello. Non è niente più che un cerchio nero. Può essere chiuso, oppure incompleto. Ci sono artisti che hanno passato tutta la vita a dipingere solo l’enso. Hanno scritto la loro biografia attraverso l’enso.
Io amavo la carne e il sangue, amavo la penna che produce segni che hanno una logica; ma amavo anche la macchia d’inchiostro che ti lascia sulle dita la stilografica difettosa. E amavo lo spazio bianco riservato al centesimo nome, quello di dio; il vuoto al centro dell’enso; l’occhio del ciclone, ove regna la calma più perfetta, mentre intorno è il caos. Anelavo a questa forma di equilibrio. Effimero, transitorio, ma perfetto. Il foglio bianco che può ancora dire tutto o che ha già detto tutto. La superficie vuota è il vero aleph, il luogo ove sono compresenti tutti i luoghi, il tempo ove sono compresenti tutti i tempi, lo spazio ove si realizzano tutti i possibili. Contempla il foglio bianco e contemplerai tutto l’universo; ascolta il suo silenzio e ascolterai tutte le musiche del mondo. Un foglio bianco senza limiti è l’ombra della mente di dio. Ma l’uomo non è capace di concepire qualcosa di illimitato. I suoi fogli bianchi hanno dei confini, e oltre questi confini c’è la realtà, ci sono le cose.
Noi volevamo profanare il foglio bianco, perché solo così avrebbe perso la sua purezza e solo perdendola noi avremmo potuto riconquistarla insieme a lui. Viceversa la dimensione umana, quella dell’inchiostro che sporca le dita, e quella del foglio bianco sarebbero rimaste inconciliabili.
Daniela era una compagna di corso di Stefano all’università e aveva la pelle più bianca che avessimo mai visto. All’inizio pensavamo addirittura che fosse malata, ma lei ci assicurò che il suo sistema circolatorio funzionava benissimo. Quello era il suo colore e non c’era verso di cambiarlo. Se pretendeva di abbronzarsi riusciva solo a scottarsi.
Il resto del suo aspetto si intonava perfettamente con la sua carnagione d’alabastro: esile e slanciata, aveva lunghi capelli neri, naso sottile, grandi occhi chiari e un sorriso garbato, un po’ trattenuto. Vestiva sempre in modo sobrio e poco appariscente, ma si capiva che tutto il suo corpo doveva essere naturalmente pressoché privo di peli ed avvolto nello stesso bozzolo di bianchezza che si scorgeva sul suo volto e sulle sue mani. Era il foglio bianco ideale.
Dopo molti consulti e molte incertezze, dopo un lungo studio per trovare il modo migliore per farle la nostra proposta e renderla comprensibile superando il suo prevedibile stupore iniziale, ci decidemmo una buona volta a chiederle di fermarsi, dopo una lezione di diritto privato, sotto uno dei soliti portici del cortile centrale dell’università, perché avevamo qualcosa di importante da dirle.
Trovato un angolino tranquillo al di là del via vai studentesco, cercammo di spiegarle che il biancore del suo corpo si prestava eccezionalmente ad un esperimento “scientifico” di grande valore e difficilmente ripetibile in assenza di circostanze altrettanto fortunate…che un’astratta superficie bianca era un’algida metafora dell’assoluto, ma, per essere davvero completa, mancava del realismo, della sanguigna carnalità della vita pulsante, della reattività dei nervi e dei muscoli sotto la liscia superficie imperturbabile…la sua pelle, il suo corpo era il luogo ove tale incompletezza era miracolosamente sanata…si trattava di superare l’eterna dicotomia tra pensiero e passione…tra progettualità ed istintività… che cosa ne sarebbe scaturito, impossibile dirlo esattamente…forse un’illuminazione superiore…forse la contemplazione di una bellezza inconcepibile…forse semplicemente un momento di felicità…Certo valeva la pena tentare e disporsi a ricevere le conseguenze del gesto con assoluta apertura mentale…con la prontezza necessaria ad accogliere una possibile rivelazione…una gioia suprema…un’esplosione…o una minima variazione, quasi impercettibile, ma preziosa…
Insomma, si trattava di questo: volevamo scrivere le nostre poesie sulla sua schiena…partendo dalla spalla sinistra e muovendo verso destra, proprio come su un foglio bianco…io avrei fornito i testi e Stefano avrebbe scritto, la sua calligrafia era molto migliore della mia…Avremmo usato un pennarello Stabilo a punta fine, niente di pesante, solo un aereo ghirigoro… per il colore pensavamo al verde, ma se aveva delle preferenze, non c’erano problemi…solo una cosa temporanea, non avrebbe dovuto farsi vedere da nessuno e tutto sarebbe rimasto fra noi…solo volevamo chiederle il permesso di fotografarle la schiena, una volta finito…solamente la schiena, l’anonimato della modella era garantito…naturalmente avrebbe potuto leggere i testi, prima, e rendersi conto che non c’era niente di compromettente per la sua persona, né per la morale comune…Poi avremmo aspettato insieme le conseguenze del gesto, senza far nulla…quello di cui si diceva prima…pochi minuti, mezz’ora al massimo…quindi, se voleva, avrebbe potuto lavarsi via tutto, magari ci sarebbe voluto un po’ per far sparire la scrittura, ma neanche tanto…
Mentre le raccontavamo il nostro progetto le espressioni di Daniela transitarono attraverso le fasi successive dell’attesa, della curiosità, dello stupore, dello sconcerto, della paura e infine della rabbia.
Quando finalmente terminammo il nostro discorso e rimanemmo a pendere dalle sue labbra, lei ci guardò, prima l’uno e poi l’altro, con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca semiaperta, invero carnosa e ben disegnata. Ci guardava come se non riuscisse a credere alle sue orecchie. Come si guardano due pazzi. Alla sua consueta bianchezza si era sostituito un violento ed inatteso rossore che per una frazione di secondo mi fece considerare se avevamo davvero riposto le nostre speranze nella persona più giusta. Ma non ebbi il tempo di formulare compiutamente questo pensiero, perché Daniela, senza pronunciare una parola, ci mollò due ben calibrati ceffoni, uno per ciascuno, rispettivamente sulla mia guancia destra e su quella sinistra di Stefano, mostrando una significativa abilità di ambidestro. Quindi si girò su se stessa e si allontanò a passi lunghi ed isterici. Da allora non ci rivolse più la parola.
Se ci ripenso mi sembra ancora di sentire lo schiaffo come se me lo avesse appena mollato. Non tanto per il dolore, ma per il dispiacere di fronte all’evidenza che non aveva capito e non ci avrebbe mai più dato l’occasione per fornirle una adeguata spiegazione delle nostre intenzioni.

11 Risposte a “Imprinting di Andrea Tavernati”

  1. Genere…. Difficile a dire perché inizia con un tono riflessivo un po’ filosofico per sfociare nella narrazione di vita vissuta (sui generis) con risvolti ironici. Il titolo lo vedo poco appropriato…

  2. Voto per questo testo. E il foglio bianco se ne svolazzò via… definitivamente fuori portata. Bello e originale!

  3. voto questo testo
    si passa dalle più alte aspirazioni, come la perfezione, alle più terrene conseguenze, come i due sonori ceffoni che sono stati appioppati ai due ragazzi…

  4. Voto per questo breve racconto
    MI piace l’idea del corpo come foglio bianco. La conclusione ironica strappa il sorriso.
    Grazie

  5. La perfezione, benché possa subire l’influsso dell’ambiente circostante, rimane pur sempre integra. Sono i pensieri a minarne la veridicità. Bel testo Andrea, complimenti. Voto per questo testo.

  6. Carina l’idea di sostituire al foglio bianco un corpo bianco per scriverci delle poesie… Peccato che Daniela non abbia gradito!
    Piaciuto. Voto per questo testo.

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