La Bandana di Giuseppe Calendi

La Bandana di Giuseppe Calendi

Genere: Noir

Ore 23: il parcheggio di un centro commerciale di Rimini è senza illuminazione, con i lampioni spenti. Un black-out ha messo fuori uso la centrale elettrica, paralizzando la città, priva di luce. Un’auto di grossa cilindrata si avvicina ad una Jeep nera, parcheggiata nei pressi dell’uscita di sicurezza vicina all’ingresso del magazzino, dove quotidianamente i Tir scaricano i bancali con la merce da posizionare nelle scaffalature del mega supermercato. Un energumeno sui due metri, con dei capelli ricci che fuoriescono da una bandana, esce dal bolide e si avvicina al fuori strada. Al suo interno, due ragazzi stanno ascoltando la radio a tutto volume. Il guidatore indossa una felpa grigia con la scritta ‘Padania libera’. Quello vicino, che si agita al ritmo della musica, porta un cappello verde con il simbolo della Lega. “Ehi voi, ce l’avete il permesso di soggiorno?”. I due non sentono. Il marcantonio si dirige verso la portiera sinistra. “Siete sordi?”. Il tipo con la felpa abbassa il finestrino. “Ce l’hai con noi?”. “Vi ho fatto una domanda, la buona educazione esige che mi si dia una risposta. Ce l’avete il permesso di soggiorno?”. Il giovane col cappello, più basso ma anche lui piuttosto robusto, scende. “Guarda che non siamo stranieri”.
“E invece si, visto che negli stadi sui vostri striscioni c’è scritto: La Padania non è Italia, idiota. Fammi vedere il permesso di soggiorno”. Il ragazzo rimane zitto. Sta per rientrare dentro la Jeep, quando l’uomo tira fuori dalla sua macchinona una mazza da baseball e lo colpisce alla testa.
Lui si accascia al suolo tenendosi il viso tra le mani mentre l’altro, più gracile e timoroso, terrorizzato urla: “Ma sei impazzito, che cosa ti abbiamo fatto?”. “Mi avete mancato di rispetto, stupido razzistello”. L’omaccione ha un accento romano e due grossi tatuaggi sulle braccia con l’immagine della lupa e la scritta SPQR. “Vieni fuori dalla macchina. Li vedi questi? Baciali”. Lo prende per i capelli, trascinandolo. Gli sbatte la faccia sul suo enorme braccio destro e lo costringe a leccarlo. Poi esclama: “Siamo sotto il Po’, quindi fuori dalla vostra cara zona nordica di merda”. Il giovane prova a divincolarsi, ma inciampa andando a sbattere contro un muretto, ferendosi alla gamba. Riesce comunque ad allontanarsi, ma solo perché il gigante preferisce, in quel momento, portare a termine il lavoro con il suo amico, steso sull’asfalto. “Sei ancora vivo?” Glielo chiede mentre gli da un calcio sullo stomaco ed un altro sullo stinco sinistro. Poi lo trascina in un vicoletto poco lontano. Lo strattona per vedere se reagisce. Non nota alcun movimento. E’ stecchito. “Fuori uno”.

Torna indietro, rientra nella sua fuoriserie e, sgommando, si mette alla ricerca del fuggitivo.
Lo intravede a pochi isolati di distanza, zoppicante, mentre cerca di raggiungere disperatamente un pub lontano un centinaio di metri. Non fa in tempo. Viene raggiunto dal colosso che lo riempie di ceffoni e calci. “Prima non l’hai baciato. Fallo adesso, se no ti strappo tutti i denti uno a uno e te li lascio come ricordo”. Il ragazzo, ansimante, obbedisce. Ma non basta. L’omone prende un mattone
e gli fracassa il cranio, tanto da mandare la grossa pietra in frantumi, anche per la potenza delle sue enormi mani. “Fuori due”. Pensa di nascondere il corpo dietro un bidone della spazzatura, ma preferisce compiere un’azione che ritiene più degna: “Visto che si tratta di immondizia, ce lo butto dentro”. Lo prende con una mano e come fosse un sacchetto di plastica ce lo infila. Poi entra disinvoltamente in quel locale poco distante ed ordina una bottiglia di spumante. “Voglio il migliore che c’è, non importa quanto costa”.
Un televisore a metà parete sta trasmettendo il telegiornale della notte. “Devo festeggiare, è un’occasione importante, un avvenimento da non dimenticare”, dice al proprietario, che non vede l’ora di chiudere. “Prendi due bicchieri e brindiamo insieme”. Il titolare cerca di dissuaderlo:
“Veramente sto andando via”,. “Facciamo subito”, risponde il colosso, poi dice piuttosto irritato:
Mi chiamo Ulisse, ma tutti mi conoscono come ‘il mobile’, perché sono grosso come un armadio”.
“Non occorre arrabbiarsi per così poco. Dolce o secco?”.
“Decidi tu, io sono tuo ospite, ma non perdere tempo, stai parlando troppo”.
“Va bene questa? Costa 20 euro, è di ottima qualità”.
“Okay, okay, mi fido di te, anche se il tuo aspetto da chierichetto non mi convince”.
Il padrone del pub è mingherlino e un paio di occhiali dalla montatura sottile gli danno un aspetto da intellettuale, i suoi modi sono così raffinati che lo si immaginerebbe più dentro un ambulatorio medico che dietro un bancone. I due fanno cin cin, mentre Ulisse dice a voce alta:
“Ai miei migliori amici che non ci sono più”. Allude ai due poveracci massacrati e uccisi poco prima, mentre il proprietario, ormai rassegnato e succube, lo guarda sbadigliando, assonnato.
“Lo spumante era buono, ho fatto bene a darti retta. Mi è venuto un languorino allo stomaco. Fammi un panino”.
”Non c’è più niente, oggi ho avuto molta gente, non è rimasto nulla”. Ma è una bugia, glielo dice solo per toglierselo di torno prima possibile. Per sua sfortuna, Ulisse vede dietro di lui un pezzo di pizza rossa sopra un vassoio di cartone, coperto per metà con della carta stagnola.
“Quello lì che cos’è?”.
“Ah, già, me lo ero dimenticato ma comunque è fredda e . . .” .
“Accendi il forno e riscaldala”. Quando il titolare toglie la carta, diventa palese che i pezzi di pizza sono tanti e di diversi tipi: margherita, capricciosa, quattro stagioni, funghi e prosciutto.
A quel punto ‘il mobile’ perde la pazienza. Scavalca il bancone e solleva da terra lo sventurato, scaraventandolo sopra un tavolo. “Non mi piace essere preso per i fondelli, buffone, te la sei cercata. Adesso faccio un esproprio proletario, così impari a prendere in giro i tuoi clienti”.
Divora i tranci in un lampo. Apre il frigo, prende tre lattine di birra e le beve una dietro l’altra. Afferra due bottiglie di vino e se le ficca sotto il giubbetto. Poi apre la cassa e controlla quanto c’è: “Duecentocinquanta euro, come mai così poco? Tira fuori il resto”.
“Non ho nient’altro, te lo giuro”.
“Me ne frego di quello che dici”. Il bestione lo rovescia a testa in giù, scrollandolo per vedere se cade qualcosa per terra. “Di un po’, stare in questo modo ti ricorda qualcuno? Lo sai chi è stato appeso così, no? Non hai nient’altro, avevi ragione poverino, sei proprio un miserabile”.
Se ne va, dopo averlo lasciato ciondoloni con un passante dei pantaloni su un appendipanni, risparmiandogli la vita. Sbatte la porta d’ingresso con una violenza tale da incrinare il vetro, formando delle crepe intorno alla maniglia. Rientra nel suo siluro, e riparte sgommando verso l’imbocco dell’ A 14.

Ulisse vive sul lido di Ostia ed è un ex giocatore di rugby. Va su e giù per la penisola con la sua Gran Turismo e porta sempre con sé quella mazza da baseball, da utilizzare quando lo ritiene necessario. E’ molto irascibile. Durante una partita, aggredì brutalmente un avversario col pretesto di una scorrettezza subita. Gli si avvicinò e lo prese per il collo con tutta la forza che aveva, cercando di strozzarlo. Non alleggerì la presa neanche quando lo vide cianotico e quasi privo di conoscenza. Giusto l’intervento dei compagni di squadra, che riuscirono a fatica a staccarlo da lui, evitò il peggio. Lo bloccarono a stento e, mentre inveiva ed imprecava, lo accompagnarono verso la panchina, perché fu immediatamente espulso. L’allenatore, sbalordito da una tale cattiveria, fece finta di niente preferendo non rivolgergli la parola, per evitare conseguenze pesanti anche su di lui. Non lo guardò neanche. Quell’ episodio costò al mastino la carriera, l’inaudita ferocia a cui diede vita, lo allontanò per sempre dai campi di gioco e, visto che l’individuo da lui quasi ammazzato aveva l’accento milanese, incominciò ad odiare tutti i cittadini del nord. Le conseguenze di quel gesto lo trasformarono in un assassino.

Prosegue. Supera Bellaria e si avvicina all’uscita di Cesena. E’ indeciso. Non sa se fermarsi lì oppure andare avanti fino a Imola, dove ha alcuni amici di vecchia data, con cui fece il militare. Sceglie la città della Fiorita, da dove in breve tempo sarebbe arrivato a Cesenatico, per andare ad onorare Marco Pantani, il suo idolo di sempre, forse l’unica persona al mondo a cui non avrebbe mai mancato di rispetto, neanche se gli avesse mostrato il dito medio o schernito la madre dandole della donnaccia. Lo considera un mito. Il Tour del ’98 lo ammaliò, non si perse neanche una tappa, arrivando, alla vigilia di quella che si rivelò decisiva per la classifica, a massacrare di botte un vicino di casa che era convinto che le imprese del Pirata in montagna fossero unicamente frutto del doping. Lo pestò a sangue con la catena di una bicicletta da corsa e gli sfregiò la guancia destra con una lametta prima di tornare tranquillamente a casa, per assistere agli ultimi chilometri. Ulisse aveva la convinzione che il guaio di Jan Ullrich fosse quello di non condurre una vita da atleta, per questo il corridore di Rostock rappresentava un avversario doppiamente stimolante contro il camoscio dalla testa pelata, visto che non ha mai concepito chi non si sacrifica per un obiettivo. Il panzer dai capelli rossi era il favorito perché più forte a cronometro. “E’ sempre sovrappeso, vuol dire che non si allena a dovere”, pensò ripetutamente durante tutta l’ascesa del Galibier. “Il ciclismo non è uno sport per debosciati”, disse più volte tra sé e sé. Quando arrivò al traguardo con otto minuti di ritardo lanciò un urlo disumano alzando le braccia al cielo. Il grande Marco era primo in classifica e il trionfo era vicino. Il suo tifo raggiunse un livello da delirio. Dopo la morte del campione romagnolo, in segno di eterna devozione, cominciò a mettersi una bandana gialla, come la maglia di chi è in testa nella corsa francese, non togliendosela neanche per andare a dormire. Nonostante non c’entri nulla con la fisicità e la prorompenza dello sport che praticava lui, ha sempre adorato il ciclismo perché popolare e amato dalla gente.
“Quanta folla ai bordi della strada” ripeteva. Il Pirata più di tutti, con le sue fughe, dava un’idea di libertà, di dedizione e di fatica. Fare lunghi percorsi, spesso anche sotto la pioggia, è un esempio da lodare, specialmente se si tratta di gregari ed in particolar modo se provengono dal centro-sud. “Guadagnano poco, non sono come i calciatori”.
Non sopporta gli dei del pallone perché vengono idolatrati senza meritarselo, tanto da ritenerli dei parassiti: soprattutto quelli delle squadre più ricche, tutte settentrionali. Li sterminerebbe tutti, cominciando con la partita lombarda per eccellenza: Inter-Milan, il derby padano: gli piacerebbe piazzare un ordigno esplosivo sotto i pullman dei due club, aspettare il fischio finale, attendere che i giocatori entrino negli spogliatoi e facciano la doccia. Una volta usciti e saliti nei loro mezzi, azionerebbe il timer per farli saltare in aria. Un sogno da realizzare, una tentazione irresistibile.

Esce dal casello e sulla strada per Cesenatico, vicino ad un falò, riconosce un travestito che attrae la sua attenzione. Sa che non è del posto e fa finta di essere interessato a lui. “Quanto vuoi?”.
“50 solo bocca, 80 rapporto completo”.
“Sali”. Percorrono una stradina sterrata e arrivano dopo un centinaio di metri in uno spiazzo dietro degli alberi. Inizia a provocarlo. “Dall’inflessione direi che non sei di qua”
“Vivo in provincia di Milano, ogni tanto capito qui in vacanza, ho degli amici”.
“In appartamento quanto chiedi?”
“A casa voglio 150 euro”.
“Con una decina di clienti al giorno riesci a guadagnare quello che un operaio si suda in più di un mese di lavoro . . Tutto in nero e senza tasse . . Siete dei furbi, prendete per il culo, nel vero senso della parola” . .
“Sei un poliziotto?”
“No, ma non piacciono gli imboscati e chi vive sulle spalle degli altri..”.
“Fammi scendere, devo lavorare, mi aspettano”.
“Lavorare? Perché tu lavori? Ah, ah, ah . . .”. Gli da un ceffone e lo strattona energicamente. Il trans tenta invano di aprire la portiera e lo supplica di lasciarlo andare. Ulisse scende dall’auto e lo tira fuori dal finestrino, lo spinge per una decina di metri sul terriccio, poi impugna la sua mazza e lo colpisce ripetutamente, fino a quando non è sicuro che non respira più. Lo spoglia e lo lascia posizionato a 90 gradi con la testa rivolta verso una siepe. Riesce a non farsi scorgere da una pattuglia in transito, nascondendosi dietro un albero, poi risale in macchina e si addormenta sul sedile abbassato. Si sveglia dopo mezz’ora. Inizia ad albeggiare. Riaccende il motore, sperando di essere riuscito a non farsi notare da un’avvenente prostituta, appena scesa dalla macchina di un cliente. Mette la prima: in quell’istante sente l’urlo della donna che, terrorizzata dopo aver visto il corpo senza vita del travestito, si gira, attirata dal rumore dell’auto che si sta allontanando. Ulisse sfreccia a tutta velocità. Inserisce nell’autoradio il CD ‘Milano Calibro 9’ degli Osanna. In pochi minuti arriva al cimitero di Cesenatico. ‘Spero che quella maledetta non abbia preso il numero di targa’. Invece, quella sosta si è rivelata un errore fatale, perché Jovanka, così la lucciola dice di chiamarsi alla polizia quando giunge sul posto, fornisce tutti i dettagli per il riconoscimento della vettura, compresa una evidente macchia di sangue che ha notato sul cerchione della ruota posteriore destra. Gli agenti si avviano a sirene spiegate nella stessa direzione indicata dalla donna. Dopo alcuni chilometri, avvistano l’auto parcheggiata e si fermano lì vicino, tenendola d’occhio. Ulisse è davanti alla tomba del suo eroe, con la testa abbassata. Rimane così per qualche minuto. Poi si toglie la bandana, la struscia sulla lapide, sussurrando sottovoce: “Ave”. Se la rimette ed esce dal cancello. Nota subito gli uomini in divisa vicino alla sua macchina. Fa finta di niente, ma i gendarmi lo riconoscono immediatamente: si tratta di un volto noto. La sua foto spadroneggia in tutti i commissariati per via di altri omicidi commessi alcuni mesi prima nella zona della capitale. E’ un ricercato, un perfetto serial-killer sempre riuscito a far perdere le proprie tracce. Gli intimano di fermarsi, ma lui con uno scatto apre lo sportello e mette in moto di colpo. Ma nell’istante in cui parte, una sventagliata di mitra lo becca in pieno da dietro, dopo aver attraversato il finestrino posteriore. Ulisse muore sul colpo e il suo mezzo si schianta contro un albero. Il titano ha terminato la sua corsa.

[banner]

2 Risposte a “La Bandana di Giuseppe Calendi”

I commenti sono chiusi.