Il Gatto Satanico (+ 2 Stivali)

Il Gatto Satanico (+ 2 Stivali) di Andrea Tavernati

Il terzo ed ultimo figlio (da qui in avanti: “il Figlio”) del defunto titolare della MB SpA, steso sulla sua chaise longue Vitra, sorseggiava un calice di Barbaresco del 2008, mentre rileggeva per la terza volta la relazione del notaio Gallucci della Gallucci & Aliverti Studio Associati.
Non credeva ai propri occhi: aveva perso tutto.
Come faceva sempre nei momenti di maggior nervosismo, si torturava il lobo dell’orecchio destro, nel quale era incastonato un vistoso tondo rosso, un orecchino con un grosso rubino luminescente.
Girava lo sguardo all’intorno e nulla di quello che vedeva gli apparteneva più: non il calice di cristallo dal quale sorseggiava il vino, non la bottiglia, che veniva dalla parte migliore della cantina di famiglia, non l’ingombrante tavolo stile impero della sala, che si diceva fosse appartenuto a Napoleone, non il prezioso Maggiolini del 1776 che da bambino torturava con il temperino, e nemmeno le Dottor Martens che aveva ai piedi e la Porsche Carrera che l’aspettava in garage!…Quel vecchio rincoglionito del padre! Aveva ragione quando gli diceva che ormai l’Alzheimer gli aveva bacato il cervello: nel testamento aveva lasciato tutto, TUTTO, ai due fratelli maggiori, che già da tempo lavoravano come ciucci nell’azienda paterna. A lui…a lui che aveva solo 28 anni e tutta una radiosa vita davanti, che aveva bisogno della libertà, della bellezza e del sole come dell’aria che respirava…a lui, con le ricchezze che il padre aveva accumulato in quarant’anni grazie al “mulino bianco, prodotti da forno italian style” (MB SpA) esportati in tutto il mondo…a lui, nulla! NULLA!
A quel punto lo sguardo gli si fermò su una poltrona nell’angolo più lontano della sala e passò da questa ad un dettaglio di due righe sul testamento, le ultime due righe:…no, non proprio nulla. Il vecchio gli lasciava i suoi vecchi stivali da pescatore, neanche di marca –a lui che non pescava!- e il suo vecchio gatto rosso (da qui in avanti: “il Gatto”). Quello stesso gatto che ronfava pacificamente ad occhi chiusi sulla poltrona in fondo alla sala. Non se l’era mai filato, quel Gatto, se non per una certa istintiva solidarietà tra scapoli inveterati e nullafacenti, impegnati prima di tutto a perpetuare uno stato di fatto di lussuosa indolenza.
Neanche avesse percepito l’attenzione del Figlio su di sé, il Gatto parve svegliarsi di colpo, con quella capacità che hanno solo i gatti di passare istantaneamente dal sonno più profondo alla piena coscienza, si stiracchiò, saltò giù dalla poltrona e si mise a sedere proprio di fronte al Figlio. Quindi, con sommo stupore di quest’ultimo, parlò. Il Gatto disse che anche lui non aveva nessuna intenzione di rinunciare a tutti gli agi e le comodità nelle quali era vissuto fino ad ora, perché per i gatti era normale tenere questo stile. Si trattava della loro missione sulla terra: dimostrare in qualsiasi situazione una costante, assoluta estraneità. Cosa che, a dire il vero, richiedeva un bell’impegno. Ma il Figlio non avrebbe dovuto preoccuparsi: a rimettere le cose a posto ci avrebbe pensato lui, e sapeva già come fare. Quanto agli stivali, puzzavano di pesce e non sapeva proprio che farsene: per quel che lo riguardava, poteva tranquillamente sbarazzarsene.
Il Figlio era così sbalordito che non riuscì a rispondere nemmeno una parola. Quello che il poveretto non sapeva era che il Gatto non era un gatto come tutti gli altri. Il padre l’aveva trovato in Giappone, durante uno dei suoi tanti tour per promuovere i prodotti della MB SpA, nel monastero zen di Tsokeido, nell’Hokkaido. Il Gatto era posseduto da uno spirito Kami, discendente da una illustre casata di spiritelli, di quelli che nella Religione Shintoista e nei cartoni animati Manga sono specializzati nel creare disastri incredibili e pasticci praticamente insolubili. Perché mai il padre l’avesse portato con sé, resta un mistero.
Terminato il suo discorso, il Gatto sparì all’istante. Non nel senso che “si allontanò molto velocemente”, ma proprio nel senso che un attimo prima c’era e un attimo dopo non c’era più. Infatti, come certe particelle subatomiche, aveva il potere di viaggiare oltre la velocità della luce, secondo la nota formula: 3∂m (q-12k)/(4q-35k) √(m-∂). Non la conoscete? Niente di strano: sarà scoperta solo nel XXIII secolo.
Il Figlio restò lì come un salame, mentre del Gatto aleggiava ancora nell’aria il sorriso a 360°: infatti era un lontano cugino dello Stregatto. I gradi di parentela fra gatti sono complicatissimi.
Meno di meno di meno di una frazione di secondo dopo, il Gatto si trovò sul bordo della Strada delle Favole e si mise tranquillamente ad aspettare: infatti, da quando il signor Popper ha scoperto che tutte le favole sono sostanzialmente una sola favola, i vari personaggi risultano avere comportamenti piuttosto prevedibili e siccome nelle favole c’è sempre un momento in cui il personaggio principale si sposta da un punto A, dove è successo (o non è successo) qualcosa, ad un punto B, dove succederà (o non succederà) qualcosa, fanno tutti la stessa Strada. Quindi, perché sbattersi tanto per andare a cercarli ciascuno dentro la propria storia? Il Gatto continuava ad applicare la sua filosofia di vita ispirata al principio: minimo sforzo /massimo risultato.
Così, sfruttando la propria ipervelocità, il Gatto rubò, nell’ordine: i diamanti dei Sette Nani, la scarpetta di Cenerentola, la mela della Strega di Biancaneve, il set da falegname di Geppetto, il manuale IKEA per le case di paglia, di legno, di mattoni dei Tre Porcellini, i sassolini di Pollicino, le pozioni magiche di Merlino, il contratto d’acquisto del castello del Principe (quale Principe? Fate voi), il cestino di Cappuccetto Rosso, la Jolly Roger di Capitan Uncino, l’armatura di Mulan, le password per la caverna di Alì Babà, l’ampolla con il senno di Orlando…e non so più quante mille altre cianfrusaglie. Contava di rivendere tutto su eBay in piccoli lotti ricavandone tanto da potersi godere il resto della vita beato come un sultano in qualche piccolo paradiso fiscale dei Caraibi. Lui e quello smidollato del Figlio. Faceva grandissimo affidamento soprattutto sull’Otre dei Venti di Eolo, che aveva fregato ad Ulisse. Un vero colpo da maestro.
Quando si era quasi deciso a chiudere per sempre la sua lucrosa, ma tutto sommato faticosa, attività, vide transitare lentamente davanti a sé la Tartaruga. Un gioco da ragazzi! E vendendo quell’enorme guscio a qualche collezionista avrebbe sicuramente ricavato un bel gruzzolo!
Così si gettò all’inseguimento del rettile. Ma, con sua somma sorpresa, per quanto gli si avvicinasse sempre di più, fin quasi a toccarlo, non ci riusciva mai: era come se ogni volta una forza misteriosa permettesse alla Tartaruga di riguadagnare quei pochi decimetri, centimetri, millimetri che le permettevano di sfuggirgli.
Sempre più perplesso il Gatto si voltò per vedere se alle sue spalle stava arrivando la Lepre, che forse avrebbe saputo dargli una spiegazione. Ma quello che vide gli gelò il sangue: non era la Lepre ad inseguire la Tartaruga, ma, con gran sferragliare di gambali e ginocchiere, il prode Achille in persona. Quel diavolo (con tutto il rispetto) di Zenone di Elea! L’aveva imprigionato nel suo celebre paradosso! Ora come avrebbe fatto ad acchiappare la Tartaruga? Aveva già ingranato l’ipervelocità, ma non c’era niente da fare: essendo dentro un paradosso, vigevano le leggi della logica, non quelle della fisica, e la Tartaruga gli sarebbe sempre stata davanti.
Infine raggiunsero la radura nella quale, come di consueto, la Lepre Marzolina (che non ha niente a che vedere con la Lepre della Tartaruga) il Cappellaio Matto e il Ghiro stavano prendendo il tè.
Appena lo vide arrivare, tutto trafelato, la Lepre Marzolina scoppiò in una risata di compatimento e lo invitò a sedersi con loro. Il Gatto accettò, lasciando definitivamente perdere la Tartaruga, che se ne andò per i fatti suoi portandosi dietro il povero Achille.
-Rassegnatevi…- disse la Lepre Marzolina -…il Tempo è molto irascibile e se decide di giocarvi uno dei suoi brutti scherzi non ve ne libererete più. Guardate noi: abbiamo litigato con il Tempo lo scorso marzo, quando, alla festa della Regina di Cuori, il Cappellaio ha cominciato ad intonare una canzone e la Regina si è messa ad urlare: “Sta ammazzando il Tempo! Tagliategli la testa!”. Da allora il Tempo per noi si è fermato alle sei del pomeriggio: è sempre l’ora del tè e non c’è nemmeno un attimo per lavare le tazze tra un tè e l’altro…- la Lepre Marzolina concluse con un grande sospiro.
-Io non ho nessuna intenzione di rimanere prigioniero del Tempo! – gridò il Gatto, visibilmente stizzito.
-Non vi agitate!… – proruppe la Lepre Marzolina guardando oltre il Gatto. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione. -…Siete fortunato…- continuò -…sta arrivando qualcuno che può levarvi dai pasticci. –
Anche il Gatto si voltò e vide Jesus che, con tutta calma, stava percorrendo la Strada di fianco alla tavola imbandita.
“Anche lui qui?” pensò il Gatto, stupito “vuoi vedere che aveva ragione quel tale che l’ha chiamato: “la più straordinaria invenzione della letteratura fantastica”?”
Ma Jesus vide il Gatto e vide il Kami che possedeva il Gatto. Allora, senza avvicinarsi, lo fissò intensamente con i suoi grandi occhi luminosi, nel momento stesso in cui spalancava le braccia lunghissime, proprio quanto quelle del Cristo sul Pan di Zucchero.
Immediatamente il Kami fu scaraventato nell’al di là, da dove proveniva, e il Gatto, ritornato ad essere un semplice gatto, si ritrovò nel monastero zen di Tsokeido, nell’Hokkaido, dove i monaci lo accolsero come se non se ne fosse mai andato (il senso del tempo dei monaci zen è molto particolare).
Subito tutti gli oggetti che il Gatto aveva rubato tornarono al loro posto e il Mondo delle Favole fu salvo.
Quanto al Figlio, dopo aver aspettato per un po’ inutilmente il Gatto, si arruolò nella Legione Straniera e viaggiò in lungo e in largo tra l’oriente e l’occidente, finché un giorno, con un paio di vecchi stivali che puzzavano di pesce, spacciati per quelli del capitano Achab, riuscì a corrompere un venerabile santone indiano e si fece rivelare l’ubicazione di una favolosa miniera d’oro sulle falde del Karakorum. Divenne così ricchissimo e il maharaja di uno dei tanti staterelli indiani di cui l’India era piena gli conferì il titolo di Principe di Karabak (quello di “marchese” è da sfigati). Naturalmente il Figlio ne sposò la Figlia e così, secondo le regole, alla fine tutti vissero felici e contenti.
Tranne Achille, a dire il vero, condannato per l’eternità da Zanone di Elea ad inseguire la Tartaruga…O forse questa è un’altra storia?…

13 Risposte a “Il Gatto Satanico (+ 2 Stivali)”

  1. decisamente un testo scritto bene. Mi è piaciuto tanto. Bravo. Voto per questo brano.

  2. una sottile ironia davvero apprezzabile. Voto per questa favola.

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