Vivere di Maria Clelia Pasquinucci

Vivere di Maria Clelia Pasquinucci

Tema: Il peso della vita

A volte ci costruiamo un mondo tutto nostro, non grande, ma piccolo e solo per avere la certezza o la speranza, di poter gestire e realizzare al meglio, il programma della nostra vita! E ci restiamo chiusi dentro, con le nostre delusioni, le nostre gioie, le nostre paure; rincorrendo sogni, amori, speranze, viviamo si; ma il nostro mondo, senza mai entrare in quello vero, quello che sta fuori, dove parlare, ascoltare, aiutare, dare, ricevere, sorridere, è condividere; è condividere la vita!!!
Ed io volevo condividere, ne sentivo il bisogno, un bisogno che mi sono trovata dentro prima come un seme, mentre ero lì in quel letto di ospedale, con la mia vita appesa ad una sacca di sangue e poi, alcuni mesi dopo mentre passeggiavo nel parco; come germoglio; un germoglio fiorito nel centro del mio cuore, mentre mi lasciavo amorevolmente rapire dal sorriso e dallo sguardo innocente di due meravigliosi occhi verdi, di una bambina autistica!
Forse ero lì in quel parco per incontrarla, la stavo aspettando, come la terra aspetta la pioggia perché il seme possa germogliare!!!
Quando aprii quella enorme porta bianca, dopo aver bussato un paio di volte e invitata ad entrare, mi trovai in una stanza enorme. Uno strano tanfo, pannoloni, talco e qualcos’altro mi fermò sull’uscio.
Mi guardai attorno smarrita…!
Fogli di quaderni scarabocchiati, costruzioni lego e pennarelli, sparsi su un pavimento consumato e ferito dal tempo, mentre una vecchia tavola riempiva un angolo della stanza, e una fila di sedie tutte diverse l’una dall’altra, adornava come una vecchia cornice scrostata quasi tutto il perimetro delle quattro mura.
Avanzai di qualche passo timidamente, per poi fermarmi di colpo, al centro della stanza. Non riuscivo a pensare di fronte a tanta diversità, la mia testa era vuota come un’anfora priva d’acqua e sentivo rimbombare in essa quelle voci strane. Li guardai uno ad uno leggendo sul loro volto l’inconsapevolezza del dramma che vivevano, sorridevano felici nascondendo il volto tra le mani e battendo ripetutamente i piedi sul pavimento, in una sorta di gioia e di timidezza per ringraziare chi era entrato nel loro mondo. Mentre li osservavo incuriosita ne rimasi affascinata; quando scorsi dietro quelle smorfie di paura in alcuni e di gioia o di timidezza in altri, la bellezza dell’anima che libera dal condizionamento delle maschere, li rendeva tutti bambini e in egual misura…
Mi trovavo di fronte a bambini di ogni età…!
All’improvviso mi trovai con la testa bloccata tra le mani di un ragazzo di circa quindici o sedici anni, alto e bello. “Non muoverti e non avere paura, vuole solo conoscerti…” sentii quasi sussurrarmi da un angolo della stanza da una delle volontarie. Rimasi ferma, e non perché mi era stato consigliato, ma ero bloccata da quel mondo strano e dal suo comunicare che ancora non conoscevo e che un pò, mi spaventava.
Antonio, questo è il nome di quel bel ragazzo che continuava a tenermi la testa stretta tra le mani come in una morsa, mentre mi odorava i capelli che lasciava poi scivolare tra le dita e poi il viso, su cui incominciò a picchiettare in tenerissimi bacetti le sue carnose e giovani labbra, odorando di tanto in tanto la pelle del mio viso, le mie labbra e i miei capelli. Ero basita!
Con un rapido movimento si staccò da me per correre saltellando e fermarsi di colpo a pochi centimetri dal muro, battendo ripetutamente le mani per la gioia, mentre i suoi occhi, roteavano nel vuoto, accompagnati dal roteare della testa come se seguisse con lo sguardo qualcuno o qualcosa solo a lui visibile. In un movimento altrettanto rapido si girò verso di me per raggiungermi in una piccola rincorsa ed emettendo gemiti fatti di monosillabi come un bambino di pochi mesi. Mi afferrò di nuovo il viso tra le mani odorando ancora i miei capelli e ancora la mia pelle, poi come un monaco buddista fermò per qualche istante la sua fronte sulla mia, di colpo si staccò restandomi di fronte in un leggero oscillare. D’istinto gli baciai delicatamente le guance su cui lasciai un po’ di umido delle mie lacrime; dopodiché mi feci coraggio e incomincia ad odorai i suoi capelli, il suo viso. Lui mi lasciava fare, avvertivo la sua gioia attraverso la vibrazione del suo corpo, un sorriso innocente gli illuminò il volto, lasciandomi ammirare una dentatura perfetta. Ebbi modo di guardare i suoi occhi color nocciola, brillanti di una luce particolare, mentre il suo viso ancora liscio da bambino evidenziava tratti delicati e belli.
Ero completamente presa dai movimenti e dalla bellezza di quell’angelo, di quell’essere straordinario, sino ad assentarmi completamente. Ripresi contatto con la realtà e con me stessa solo quando una volontaria si avvicinò e poggiò la sua mano sulla mia spalla. La guardai con aria smarrita. Lei sorrideva… poi con voce gentile mi chiese: “Sei qui per fare volontariato?
Si!
Risposi senza esitare!

13 Risposte a “Vivere di Maria Clelia Pasquinucci”

  1. il peso di vivere affrontato con tocco leggero, anche se impegnato. Complimenti.

  2. Per votare un testo bisogna apporre, nella sezione dedicata ai commenti, nella pagina del pezzo che si desidera votare la scritta “Voto questo testo”.
    Ogni pezzo che riceva un commento, a patto che sia un commento al pezzo, e non un ringraziamento dell’autore o un’eventuale conversazione successiva, varrà come 1 voto, per cui tenete conto della possibilità di farvi sia votare che apprezzare con un commento al pezzo, ottenendo così ben 2 voti.

I commenti sono chiusi.