Un chilo di polistirolo di Fabio Colombo

Un chilo di polistirolo di Fabio Colombo

Tema: Il peso di esistere e La bugia

“Un chilo di polistirolo”
E mi chiedi cosa ci stia a fare qui, con i piedi per terra e lo sguardo rivolto al cielo. Mi chiedi se non sia troppo grande per continuare a giocare come un bambino. Cosa vuoi che ti risponda?

Potrei raccontarti di quando loro vennero a farmi visita. Del tempo in cui a scuola ci andavo col grembiule blu e il fiocchetto azzurro. Come ogni bambino che si rispetti, anch’io avevo l’abitudine di ammalarmi nel momento meno opportuno. Quel giorno mi svegliai di buon ora, come non era affatto mia abitudine. Scappai in bagno per lavarmi il viso: sarei stato io a svegliare mio padre per una volta! Poi lo specchio si degnò di svelarmi un segreto: occhi rossi e luccicanti come la carrozzeria di una Ferrari. Dio mio quale sortilegio! Se solo mio padre l’avesse saputo! Mi avrebbe imprigionato in casa! E mentre i brividi di freddo incalzavano, la sua voce mi esortava ad uscire dal bagno. Acqua abbondante per lenire il dolore, un grosso respiro e… Fuori! A mentire spudoratamente per non essere bloccato in casa! Tutta la mattina ad evitare lo sguardo del papà, non fosse mai si fosse accorto del mio piccolo segreto. Sotto il sole cocente desideravo un cappotto. Uno di quei bei piumini che ti isolano dal freddo delle nevi. Ma era agosto e, soprattutto, mio padre non era uno stupido: dovevo sopportare. Finché arrivò il momento, quei pochi attimi in cui le vidi arrivare a carrelli spiegati verso di me, diritto nel petto. Tante teste con le mani nelle orecchie ed io… che le aspettavo a braccia aperte. Finché non furono sulla mia testa con tutto il loro ruggito che penetrò ognuna delle mie minuscole ossa. E mi voltai. Le vidi separarsi in cielo. Ogni Freccia prese a seguire, solitaria, un pezzo del mio minuscolo cuore. Poi non le vidi più per molto tempo, ma mi rimase un morbo che porto ancora con me.

Potrei raccontarti di quando avevo quattordici anni. Dovevo scegliere quale istituto frequentare. L’Istituto Tecnico Aeronautico sarebbe stato un’ottima idea! Lo dissi a mia madre che ne fu entusiasta. E lo dissi anche a mio padre per telefono, che già all’epoca lavorava lontano da casa. Già mi vedevo in una classe a 300 km da casa, mentre mi venivano svelati i segreti della portanza e dei profili alari. Si, perché non vi era ombra di quel genere si scuola nei paraggi. Avrei dovuto far a pugni con l’esistenza ch’ero appena adolescente, ma non avevo paura: il desiderio di entrare in quel mondo era così forte da uccidere qualsiasi angoscia. Ma poi successe che un giorno, convinta che fossi uscita come avevo detto, mia madre prese a sfogarsi con la sua migliore amica. Nelle sue parole avvertii tutto il senso di una donna che vedeva se stessa come una perdente. Piangeva. E piangendo si confessava. E venne fuori di quanto fosse difficile, per lei, provvedere economicamente al mio sogno. Di quanto le sarebbe stato difficile affrontare le spese per un alloggio così distante. E di come avrebbe sofferto per la mancanza di una spalla su cui poggiarsi, di tanto in tanto, visto che il papà era latitante per mandare avanti la baracca. E così, quando mi chiese se ero convinto di andare via le risposi che avevo cambiato idea. E finii per studiacchiare qualcosa sotto casa.

Potrei anche dirti di quando fu tempo di partire per la leva militare. Tanti ragazzi fuori dai portoni, tutti più o meno angosciati da quello che doveva essere un anno terribile! Macché? Era un hotel a cinque stelle. In cucina c’era gente fresca di scuola alberghiera. Alcuni di loro sarebbero diventati grandi chef di li a poco. Eppure la gente si lagnava, forse perché non c’è nulla di meglio degli spaghetti scotti ed insipidi della mamma. Non facevano che piagnucolare ogni sera. Tutti! Ma io una cosa l’avevo capita! Se mettevo firma sarei rimasto in quel posto con vitto e alloggio gratuiti per parecchio tempo. Sicché, con le spalle coperte, avrei potuto devolvere tutto il mio stipendio al mio tanto agognato brevetto di volo. Feci domanda. Poi attesi per mesi una risposta che tardava ad arrivare. Un giorno il mio capitano mi chiamò a rapporto. Pensai che l’ora fosse arrivata. Speravo tanto che l’avessero accolta la mia domanda. Sinceramente avevo anche un piano di riserva: se non fosse andata la carriera militare me ne sarei andato all’università, a studiare ingegneria aeronautica. In fondo avevo un’età e potevo lavorare per mantenermi, se fosse stato necessario. Entrai nell’ufficio del capitano, mi accorsi subito del suo volto scuro. Sapeva quanto ci tenessi e non servì parola per capire che la carriera militare se n’era andata a farsi friggere… “Forza! C’è sempre il piano B”, mi dissi. Ma venni a sapere che mio padre era stato morso al cervelletto da un ictus. Salvo! Ma ridotto al fantasma di se stesso. Qualcuno l’aveva strappato alla morte evitando che precipitasse giù, per trenta metri, dal cavalcavia che stava costruendo. Dieci secondi di film. Dieci secondi nella mia mente in cui vidi università e carriera militare frantumarsi giù per quello stesso ponte tra fragorosi boati. E mi tarpai le ali: c’era da portare avanti una famiglia…

Oppure potrei parlarti del qui e adesso. Potrei dirti di come dove tu vedi un chilo di polistirolo che volteggia per l’aria, io vedo me. Ci sono io lassù, comodamente seduto da qualche parte tra la ricevente e la batteria. Ci sono io a vedere il mondo dall’alto attraverso un abitacolo totalmente opaco. Sono sempre io a contendermi una buona termica con un nibbio. E sono ancora io a farmi male ad ogni atterraggio mal riuscito.

Ma poi mi chiedo se potrai mai riuscire a capire cosa significhi, per me, quel blocco volante di polistirolo, visto che ognuno ha la sua storia ed è la storia a dar significato alle cose.

E quindi: mi chiedi cosa ci stia a fare qui, con i piedi per terra e lo sguardo rivolto al cielo? Cosa vuoi che ti risponda?

«E’ solo un hobby come un altro…»

18 Risposte a “Un chilo di polistirolo di Fabio Colombo”

  1. Un ultimo ringraziamento per tutti i sostenitori! E’ fatta! Vediamo com’è andata…

  2. Bellissimo racconto, scritto benissimo, in cui è il peso delle delusioni e delle privazioni a opprimere il protagonista, ma senza schiacciarlo. Potrebbe apparire una ben misera ancora di salvezza, un chilo di polistirolo, ma in questo caso l’autore ne dimostra l’efficacia.
    Voto questo testo.

  3. voto questo testo
    complimenti davvero, un racconto ben scritto ed emozionante, mi sono sentita anche io come un chilo di polistirolo , anche senza essere mai salita su un aereo, ma conosco il peso delle rinunce…

  4. Ringrazio tutti per il voto. Sono commosso dai commenti che mi avete lasciato in molti

  5. Voto questo testo.
    Bellissima, quando i nostri sogni vengono infranti non ci mollano mai!
    Bravo!

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