Tratto dal cap.4 de “Il Ragno e l’Iguana” di Elisa Vangelisti

Premessa: la protagonista femminile vede le emozioni delle persone sotto forma di luci colorate.

Appena fummo in casa, abbandonammo le giacche e risalimmo nella mia stanza. Mi fermai davanti alla finestra, rivolta a ovest, e mi accorsi che ormai il sole era solo un bagliore aranciato avvolto dal verde dell’aria fredda. Gabriel mi raggiunse, sempre senza far rumore, e si fermò dietro di me, spostandomi i capelli color fieno dalla spalla per scoprire il collo. La maglietta strategicamente sbottonata metteva in mostra un frammento di pizzo del reggiseno, ma di certo era tutto quello che poteva vedere. Sempre che non avesse la vista di Superman.
“Non è del tutto vero quello che ti ho detto prima” sussurrò appoggiando il naso freddo al mio collo. Ahi, ci siamo. Qui giace Rynn McRyan, prosciugata da un vampiro alla tenera età di sedici anni… “Un leggero cambiamento c’è; però, se vuoi vedere tu stessa, devi girarti”.
Il sole era completamente scomparso. Mi voltai verso di lui, incerta su quel che avrei dovuto aspettarmi e rimasi immediatamente colpita dalle sue emozioni. La luce che lo avvolgeva fino a quel momento era stata calda, dorata e brillante. Adesso Gabriel era avvolto da una luce luminosa pazzesca, di un azzurro simile ai suoi occhi. Glielo dissi.
“Le tue emozioni ora sono blu” sorrise. Facendolo scoprì i denti e mi resi conto che i canini erano spaventosamente lunghi. Finchè teneva socchiusa la bocca non si notava, ma appena faceva un sorriso eccoli lì, sfacciati e brillanti. E spaventosi. Lo guardai ipnotizzata. “Adesso puoi…?”
“Adesso sì” distolse lo sguardo, la luce restò fortissima. Avrebbe dovuto offuscarsi, perché col linguaggio del corpo mostrava timore, invece brillava come non mai. Probabilmente la sua natura ora modificava anche le sue emozioni. Ero incerta sul da farsi. Glielo chiesi.
“Vuoi andartene?” Lui mi guardò, titubante.
“Solo se tu vuoi che me ne vada”.
“No, non voglio” mi appoggiai contro di lui. Mi sentivo stranamente tranquilla. “E’ più difficile, adesso?”
“Un po’”.
“Ma… devi farlo tutti i giorni?” Avevo appoggiato una mano sul suo petto: era difficile resistergli. Lo stavo accarezzando distrattamente, fingendo di non preoccuparmi dei suoi sfacciatissimi denti a dieci centimetri dalla mia giugulare. Sembrava che stesse tremando. Non capivo se per la sete o per la carezza.
“No, non è necessario. Basta anche meno” sussurrava. E continuava a brillare di blu. Luce fredda.